La persecuzione religiosa e la necessità di comprendere la Fede

Questo articolo è stato adattato da annotazioni consegnate alla Conferenza internazionale sulla libertà religiosa, tenutasi a Ottawa – in Canada – l’11 marzo 2015 all’interno della sede del Parlamento canadese.

Uno studio del 2011 effettuato dal Pew Research Center [un’organizzazione di esperti che si occupa di problematiche sociali e demografiche, ndt], ha stimato a circa due miliardi e cento milioni il numero dei cristiani in tutto il mondo. Secondo l’Associazione Internazionale per i Diritti Umani, gruppo laico con membri in 38 Paesi, l’80 per cento di tutti gli atti di discriminazione religiosa commessi attualmente nel mondo, sono diretti contro i cristiani. Il Pew Research Center, aggiunge che l’ostilità contro il cristianesimo ha raggiunto un nuovo picco nel 2012, anno in cui i cristiani hanno dovuto affrontare una qualche forma di discriminazione in ben 139 Paesi, ovvero in quasi tre quarti delle nazioni di tutto il mondo.

Secondo l’autore Paul Marshall, l’America Latina è oggi una delle regioni in cui le persone sono più libere di praticare la loro fede. In questi ultimi anni anche i Paesi dell’Europa centrale, a eccezione di quelli della ex Jugoslavia, sono stati in gran parte risparmiati dalla persecuzione religiosa. Ci sono molti Paesi religiosamente liberi in Africa e tra gli Stati asiatici del Pacifico. Marshall aggiunge:«Nei sondaggi nazionali standardizzati prodotti per il Centro per la libertà religiosa, la Corea del Sud, Taiwan, il Giappone, il Sud Africa, il Botswana, il Mali e la Namibia sono religiosamente più liberi di quanto non lo siano la Francia e il Belgio».

L’organizzazione cristiana Porte Aperte, pubblica un elenco annuale dei Paesi in cui le persone sono meno libere di seguire la propria fede. In cima alla lista c’è la Corea del Nord, seguita da Iran, Afghanistan, Arabia Saudita, Somalia, Maldive, Yemen, Iraq, Uzbekistan, Laos e Pakistan.
Di seguito, dei brevi approfondimenti su tre di questi Paesi della lista e su di un quarto non incluso.

ARABIA SAUDITA

L’Arabia Saudita, conta più di un milione di lavoratori stranieri cristiani, vieta loro sia di consacrare delle chiese sia di pregare in privato: il precedente re saudita, permetteva alla sua polizia religiosa di fare irruzione nelle riunioni religiose cristiane private e di incriminare i partecipanti per il reato di ‘blasfemia’.

Oggigiorno, la diffusione del wahhabismo saudita è chiaramente la causa di molti problemi di violenza internazionale. Lo storico Bernard Lewis, ad esempio, ha documentato come i wahhabiti abbiano guadagnato l’influenza nel regno saudita: «I proventi derivanti dal petrolio hanno permesso loro (di stabilire una rete ben finanziata di scuole e università) di diffondere questa fanatica forma distruttiva di Islam in tutto il mondo musulmano e tra i musulmani in Occidente».

IRAN

C’è una forte preoccupazione internazionale per i circa 300 mila fedeli bahá’í presenti nel Paese, dal momento che sono privi di ogni diritto legale e che tutto il loro apparato direttivo si trova in carcere. I musulmani sunniti vengono maltrattati e decine di cristiani sono stati arrestati e incarcerati per aver tentato di praticare il cristianesimo.

Struan Stevenson, presidente della Europe Iraq Freedom Association, ha avvertito che il regime di Teheran ha lo stesso obiettivo (dell’Isis) di fare uso della violenza per creare un califfato universale e «Asservire il mondo a [un regime di] corruzione medievale della fede musulmana». Ha inoltre messo in guardia nei confronti della cooperazione tra l’Occidente e l’Iran nella guerra contro l’Isis: potrebbe infatti essere «estremamente pericolosa» e potrebbe innescare una guerra settaria tra sciiti e sunniti capace di martoriare la regione per decenni.

CINA

La repressione dei buddisti tibetani e degli uiguri musulmani dal parte Partito-Stato di Pechino è ormai ben nota.

Il regime ha a lungo cercato di sottomettere i cristiani, attualmente stimati in Cina tra gli ottanta e i 125 milioni. L’Amministrazione statale per gli Affari religiosi, che controlla tutte le religioni in Cina, gestisce l’Associazione del movimento patriottico delle Tre Autonomie per i protestanti e l’Associazione patriottica cattolica, che non riconosce il Papa. Il numero dei cristiani che frequentano le chiese approvate dal Partito è attualmente stimato in venti/trenta milioni di persone; dai cinquanta ai 75 milioni di cristiani appartengono a ‘chiese indipendenti’ non registrate.

Il Falun Gong, una disciplina spirituale di derivazione buddista/taoista diffusa in tutto il Paese, che consiste nella pratica di esercizi e meditazione e che, a metà degli anni 90, secondo una stima del governo cinese stesso contava dai settanta ai cento milioni di praticanti, viene gravemente perseguitato dal 1999.

Un libro di Ethan Gutmann uscito nel 2014 e intitolato La Carneficina (The Slaughter), chiarisce il contesto in cui la persecuzione diquesta comunità di praticanti va inquadrata. Nel libro, infatti, l’autore illustra come è arrivato a concludere che, nel solo periodo 2000-2008, gli organi vitali di 65 mila praticanti del Falun Gong e quelli di un numero tra i due e i quattromila tra uiguri, tibetani e cristiani delle chiese indipendenti, siano stati prelevati per alimentare un ripugnante commercio: gli organi umani vengono espiantati con la forza e venduti – a prezzi elevatissimi – a ricchi cinesi e a ‘turisti di organi‘.

PAKISTAN

Secondo le stime del governo pakistano, i cristiani che vivono nel Paese (che conta una popolazione di oltre 170 milioni di persone) sono circa tre milioni e 800 mila, e molti vivono nel terrore della sua legge contro la blasfemia, che comporta la pena di morte e che negli ultimi anni è stata applicata arbitrariamente contro le minoranze religiose.

Per esempio nel 2010, Asia Bibi, cristiana e madre di cinque bambini, è stata condannata a morte con l’accusa di aver insultato il profeta Maometto. Quando il governatore del Punjab, Salman Taseer, ha valutato le possibilità di rimettere in libertà la donna, è stato assassinato dalle sue stesse guardie del corpo.

Il 2 marzo 2011 anche il ministro delle minoranze federali del Pakistan, Shahbaz Bhatti, a sua volta preoccupato per la signora Bibi, è stato ucciso. Il ministro, di fede cristiana, aveva predetto la sua morte dal momento che si era impegnato, mesi prima, sostenere la libertà religiosa per i pakistani di tutte le fedi. Questa conferenza si tiene in suo onore.

QUELLO CHE I GOVERNI POSSONO FARE

1. I governi democratici dovrebbero utilizzare i miliardi di dollari in aiuti che doniamo per far valere la propria autorità nei confronti di quei Paesi fuorilegge. Il commercio/investimento, potrebbe essere condizionato, almeno in parte, alla tutela della libertà di coscienza e di culto per tutti i cittadini. Perché, molti chiedono, i contribuenti canadesi dovrebbero dare aiuto allo sviluppo di quei regimi che perseguitano minoranze religiose di qualunque fede?

2. Mentre in tutto il mondo continuiamo a combattere la persecuzione delle minoranze religiose, i governi democratici devono continuare a proteggere le proprie minoranze spirituali nazionali. Dobbiamo garantire che tutte le minoranze possano seguire il loro credo, vivere e lavorare liberamente, senza paura. A loro volta, i governi dei Paesi a maggioranza musulmana dovrebbero fare di più per integrare pace e tolleranza nel tessuto delle loro società. Se questi Paesi non creeranno e costruiranno a livello nazionale delle culture basate sull’armonia religiosa, la lotta al terrorismo jihadista sarà difficile.

3. Il Canada e gli altri Paesi dovrebbero amministrare le nostre risorse politiche per porre in essere un’efficace pressione. C’è la necessità di un sostegno coordinato della libertà religiosa, da parte del nostro ambasciatore per la Libertà religiosa, delle nostre missioni diplomatiche nei Paesi a rischio e infine dei parlamentari, su questioni come cambiare le leggi sulla blasfemia e contro le altre libertà religiose. La questione di rivedere o abrogare la legge sulla blasfemia in Pakistan e le sue applicazioni attuali, dovrebbe essere prioritaria nell’ordine del giorno ogni volta che i funzionari canadesi incontrano quelli di Islamabad. Nei dibattiti multilaterali, i funzionari del governo dovrebbero impegnarsi in continui discorsi a favore delle comunità religiose e dei singoli che non hanno la possibilità di parlare.

4. E’ difficile comprendere la radicalizzazione islamica in un Paese come il Canada, a parte quei messaggi velenosi su internet provenitenti dall’estero e/o da parte del wahhabismo saudita quale causa maggiore. In Occidente, incluso il Canada, il consumismo, la laicità e la denigrazione della fede in generale e in questioni attinenti ai giovani – che possono rendere il fondamentalismo in tutte le forme di fede allettante per chi abbia bisogno di certezza nella vita – stanno senza dubbio confondendo alcuni giovani.

Il libro Canadian Islam: Belonging and loyalty (L’Islam in Canada: Appartenenza e fedeltà) scritto dall’imam di Ottawa Zijad Delic e pubblicato nel 2014, include questi due punti:

• «Sotto diversi punti di vista, il Canada è una terra di immigrati e dei loro figli, che insieme costituiscono una delle principali società multiculturali democratiche del mondo. In realtà, il Canada è ampiamente considerato come il modello, o il pezzo forte, del multiculturalismo».

• «Il modello canadese di cittadinanza, in contrasto con i vari modelli dei Paesi europei, consente un approccio pluralista a tutti i suoi cittadini, compresi i cittadini di fede musulmana, che hanno la possibilità di sviluppare un’identità musulmana canadese».

Mohamad Jebara, altro rispettato imam di Ottawa, ha ricordato ai canadesi, dopo gli eventi di Parigi, che il modo migliore per sconfiggere coloro che «ci odiano è dare loro ciò che meno si aspettano: amore».

Le nostre culture e comunità religiose necessitano ancora di molto impegno per comprendersi meglio reciprocamente. Se ci allontaniamo gli uni dagli altri, sminuiamo noi stessi. Dobbiamo restare uniti per i nostri valori nazionali.

5. Il governo del Canada potrebbe ospitare una conferenza internazionale sulla costruzione di una maggiore comprensione interreligiosa fra le nazioni del ventunesimo secolo. Dobbiamo stare tutti insieme per abbracciare la diversità e rispettarla. E allo stesso tempo dobbiamo lavorare insieme per impedire che le ideologie violente, ristrette e sono causa di divisione, minino il senso stesso di ciò che siamo e che vogliamo essere.

CONCLUSIONE

Permettetemi di concedere l’ultima parola alla signora Maryam Rajavi, devota musulmana e presidente eletto del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri), che è intervenuta a un evento internazionale per la Festa della donna a Berlino:

«Negli ultimi due secoli il nostro mondo ha più volte raggiunto nuove vette, in larga misura grazie ai movimenti di uguaglianza delle donne… Purtroppo; l’avanzamento dell’ideale di uguaglianza è arrivato oggigiorno tuttavia a fronteggiare una terribile barriera, il fondamentalismo islamico. Mentre questo fenomeno mette a rischio di genocidio, terrorismo e discriminazione tutta la regione e il mondo intero, è anche il più ostile verso le donne. Per questo motivo, oggi, la condizione delle donne in Medio Oriente è del tutto intrecciata con l’insicurezza, l’oppressione, la condizione di vivere senza una casa, l’omicidio e la schiavitù.
Tuttavia, voglio dire che c’è un modo per sconfiggere e sopraffare questa forza distruttiva, e c’è una soluzione: il potere delle donne è il più grande elemento di sfida al fondamentalismo islamico».

 

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non rispecchiano necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

David Kilgour è co-presidente degli ‘Amici canadesi di un Iran democratico’ e direttore del Consiglio per una Comunità delle Democrazie (Ccd) con sede a Washington. È ex deputato del Partito Conservatore e del Partito Liberale nella regione del sudest di Edmonton e ha inoltre prestato servizio come Segretario di Stato per l’America Latina e per l’Africa, Segretario di Stato per l’Asia-Pacifico e Vice Presidente della Camera.

È coautore, con l’avvocato canadese per i diritti umani David Matas, dell’inchiesta sulla persecuzione contro i 100 milioni di cinesi praticanti della Falun Dafa
Bloody Harvest: The Killing of Falun Gong for Their Organs.

 

Articolo in inglese: ‘Religious Persecution and the Need for Inter-Faith Understanding

 
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