La Nuova Via della Seta, Pechino alla conquista del mondo

Di Leo Timm

Avendo a disposizione una ricchezza e un’ industria seconde solo a quelle degli Stati Uniti, il regime cinese sta utilizzando l’immagine dell’antica Via della Seta per dare vita a un progetto che potrebbe consentirgli di accrescere enormemente la propria influenza economica e politica in Asia e in Europa.

La ‘Nuova via della Seta’, meglio nota come ‘One Belt, One Road’ (Obor), è il fondamento della politica estera di Xi Jinping da quando, nel 2013, è diventato il leader del Partito Comunista Cinese. Negli ultimi anni Pechino ha speso centinaia di miliardi di dollari in questa iniziativa, e ha dichiarato che nei prossimi cinque anni – collaborando con decine di Paesi – investirà 5 mila miliardi di dollari in progetti energetici e grandi infrastrutture marittime e terrestri.

I progetti della Nuova via della Seta, che attraversa oltre 60 nazioni, per ora hanno ottenuto risultati contrastanti. Se, da una parte, immettere miliardi di dollari in economie in via di sviluppo (o in crisi) porta ovvi benefici diplomatici, resta da vedere se Pechino riavrà mai indietro le ingenti quantità di denaro che sta prestando a Paesi poveri o potenzialmente instabili. Questo è uno dei motivi per cui persino gli alleati più stretti di Pechino sono restii a impegnarsi completamente nella ‘One Belt, One Road Initiative’.

A novembre del 2017 il Pakistan si è ritirato da un investimento di 14 miliardi di dollari, che i rappresentanti del governo hanno definito «contrario agli interessi del Paese». Pochi giorni prima, il Nepal aveva annullato la costruzione di una centrale idroelettrica, del valore di 2,5 miliardi di dollari, che sarebbe stata costruita da un’azienda statale cinese, come parte integrante della Nuova Via della Seta. Anche il governo del Myanmar (l’ex Birmania) ha bloccato un progetto simile, affermando di non essere più interessato alla costruzione di dighe idroelettriche.

Il progetto della Nuova Via della Seta consiste in sei lunghi corridoi economici sulla terra ferma, chiamati ‘Economic Silk Road’, che partendo dalla Cina si dirigono verso il centro, il sud e il sud-est dell’Asia e, a nord, verso la Siberia. E l’iniziativa include anche una Via della Seta Marittima, che collegherà i porti cinesi con le città dell’Oceano Indiano e con alcune zone dell’Africa orientale.

ACCRESCERE LA PROPRIA INFLUENZA

Aldilà dei dubbi sulla fattibilità economica dell’Obor, la comunità internazionale teme che il promotore, il Pcc, stia tentando di comprare la fedeltà politica dei Paesi coinvolti, e di rafforzare la propria posizione geostrategica. In un’era in cui il Pcc afferma di non essere intenzionato a esportare la rivoluzione comunista, le generose donazioni per ambiziosi progetti, quali dighe e linee ferroviarie ad alta velocità, sembrano comunque avere lo scopo di far confluire gli interessi dei governi locali con i piani a lungo termine di Pechino.

La Strategia per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, pubblicata il 18 dicembre 2017, chiede agli Stati Uniti di riconoscere ufficialmente e studiare attentamente gli sforzi di Cina e Russia a danno dell’ordine internazionale, consolidatosi dopo la Guerra Fredda: «Sappiamo che i nostri avversari non si atterranno alle nostre regole. Aumenteremo la nostra competitività per fronteggiare la sfida, proteggere gli interessi americani e preservare i nostri valori. […] Pur sapendo che Cina e Russia stanno indirizzando i propri investimenti verso Paesi in via di sviluppo, per aumentare la loro influenza e ottenere vantaggi competitivi nei confronti degli Stati Uniti».

A luglio del 2016, la Corte internazionale dell’Aia ha stabilito che le rivendicazioni territoriali del regime cinese nel Mar Cinese meridionale sono infondate. In qualità di Paese maggiormente toccato dalle rivendicazioni di Pechino, erano state le Filippine a portare il caso davanti alla Corte internazionale, tre anni fa. Ma la posizione di Manila è cambiata dopo l’elezione a presidente di Rodrigo Duterte.

Il presidente filippino Rodrigo Duterte e altri capi delegazione posano per una foto di gruppo durante il Belt and Road Forum presso il lago di Yanqi, alla periferia di Pechino, Cina, 15 maggio 2017. (Damir Sagolj-Pool/Getty Images)

Le Filippine sono infatti coinvolte nel progetto della Via della Seta marittima, e sperano di trarre beneficio dai miliardi di dollari che il governo cinese intende investire nel sistema dei trasporti e nella rete energetica del Paese. Secondo il giornale filippino PhilStar Global, è ormai chiaro che «la chiave per ottenere grandi vantaggi da questa relazione, è rinunciare a parte dei nostri diritti di sovranità».
In seguito all’arbitrato sul Mar Cinese del Sud, Duterte, che è diventato famoso per i suoi insulti ai leader stranieri e per la brutale repressione nei confronti dei trafficanti e dei consumatori di droga, ha proposto che le Filippine collaborino direttamente con Pechino per risolvere al meglio le proprie dispute territoriali.

Nel Laos, poi, le aziende cinesi stanno lavorando alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità, che avrà un costo di 5 miliardi di dollari; mentre in Malesia è previsto un investimento complessivo di 20 miliardi di dollari per la realizzazione di tre isole artificiali, denominate Melaka Gateway, e la costruzione di una linea ferroviaria costiera. Progetti simili esistono anche in Tailandia, Cambogia e Indonesia.

Nel dicembre 2017, il governo dello Sri Lanka ha concordato una concessione di 99 anni alla Cina, per il porto strategico di Hambantota, nell’Oceano Indiano. Una decisione scaturita, almeno in parte, dall’impossibilità di restituire 8 miliardi di dollari di debiti, che lo Sri Lanka aveva contratto nei confronti di alcune imprese statali cinesi.

NUOVA VIA DELLA SETA O STRADA SENZA USCITA?

Circa duemila anni fa, gli eserciti della dinastia Han sottomisero le tribù nomadi e aprirono la Via della Seta, creando una rotta commerciale che attraversava l’Asia centrale, e che permise alle meraviglie della civiltà cinese di raggiungere persino l’Impero Romano.

Oggi, i corridoi economici dell’Obor attraversano la Russia e l’Asia Centrale e, in ultima analisi, mirano all’Europa, facilitando il commercio via terra e portando Pechino nelle grazie delle autorità locali. Il Kazakistan e altri Stati post-sovietici dell’Asia centrale, sono pesantemente coinvolti nell’Obor e sono un punto cruciale delle ambizioni di Pechino.

Il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping partecipano a un vertice durante il Belt and Road Forum a Pechino, Cina, il 15 maggio 2017. (Thomas Peter-Pool/Getty Images)

Storicamente, le relazioni della Russia con la Nato e l’Unione Europea sono state discontinue, e la Russia spesso ha cercato il sostegno della Cina. I due Paesi sono forti partner commerciali e Mosca si è dichiarata entusiasta dell’Iniziativa della Nuova Via della Seta. A giugno, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che il progetto «segna l’inizio di una nuova fase di cooperazione in Eurasia». E, nonostante i conflitti tra Russia e Ucraina (tappa cruciale nel viaggio verso l’Europa di Pechino), la Cina ha corteggiato anche il governo di Kiev, annunciando l’intenzione di investire 7 miliardi di dollari in infrastrutture in Ucraina.

Franklin Holcomb, analista intervistato dal Daily Signal ritiene che «uno scenario accettabile per entrambi i paesi [Russia e Cina, ndr], sarebbe un’Ucraina sotto il controllo politico e l’influenza militare russa, ricostruita con fondi cinesi, e che funga da canale per accrescere l’influenza cinese in Europa».

Nonostante l’ampia portata delle proposte di Pechino, resta da vedere quanto efficacemente il regime cinese potrà tradurre in realtà i propri programmi. Infatti, persino la cooperazione Sino-Russa sul versante settentrionale dell’Obor, sembra procedere con grandi difficoltà. Agli impegni presi, come osservato in un articolo pubblicato a ottobre 2017 dal Diplomat, corrisponde uno scarso sviluppo concreto, poiché il progetto sembra osteggiato dalle realtà burocratiche e finanziarie nel settore delle infrastrutture russo.
Inoltre, la presenza di forti potenze indipendenti o pro-USA, in particolare India, Australia e Giappone, costituisce una grossa incognita per il regime cinese, poiché gran parte dei progetti della Via della Seta (terrestre e marittima) sono concentrati in Asia meridionale e sudorientale.

A dicembre, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha sollecitato l’India a offrire il proprio sostegno all’iniziativa della Nuova Via della Seta, che l’India stava boicottando principalmente a causa del forte coinvolgimento del Pakistan, alleato storico della Cina. Ma Nuova Delhi si oppone al fatto che parte del corridoio economico tra Cina e Pakistan attraversi la contesissima regione del Kashmir.

Dulcis in fundo, a incrementare le preoccupazioni finanziarie del Pcc, e per estensione dell’Obor, c’è la grande riforma fiscale appena varata negli Usa. La riforma, criticata con veemenza da Pechino, mette infatti sotto pressione la pesante struttura economica cinese, che si regge su una serie di grandi holding statali piuttosto che sul settore privato.

 

Articolo in inglese: The Outlook on China’s ‘One Belt, One Road’

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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