Le nuove medicine, tra approcci olistici e nuovi anticorpi contro il cancro

È noto che la medicina si avvale delle conoscenze di svariate discipline come fisica, psicologia o perfino bioingegneria per cercare di garantire il miglior benessere psicofisico dell’individuo. Interrogarsi sulle sue potenzialità future in campo preventivo e terapeutico diventa quindi un viaggio appassionante.

Per conoscere alcuni di questi aspetti, Epoch Times ha intervistato Vincenzo Soresi, primario emerito dell’ospedale Niguarda di Milano, specialista in oncologia clinica, malattie polmonari e anatomia patologica. Soresi è anche libero studioso di neurobiologia e autore di tre libri.

Dottor Soresi nel suo libro Mitocondrio mon amour sostiene che per invecchiare bene il mitocondrio giochi un ruolo fondamentale. Può spiegare questo concetto?

Intanto bisogna spiegare cos’è il mitocondrio, che penso non sia noto a tutti i lettori. Milioni di anni fa la cellula viveva in anaerobiosi, cioè in assenza di ossigeno. A un certo punto il mitocondrio, che era un batterio, si è affiancato alla cellula e gli ha fornito ossigeno; da quel momento diciamo che è nata la vita. Una volta un mollusco viveva centinaia di anni, dato che viveva in anaerobiosi; con la presenza d’ossigeno si è sviluppata la vita ma si è chiaramente accorciata poiché l’ossigeno fornisce energia ma produce radicali liberi, e quindi la cellula invecchia e alla fine muore. Lo sviluppo del mitocondrio nel percorso successivo fino a noi è fondamentale poiché in una cellula muscolare esistono da tremila a quattromila mitocondri.

L’idea del mio libro mi è venuta leggendo un bel lavoro scientifico condotto tre anni fa negli Stati Uniti (che cito nel titolo) in cui sono stati selezionati 20 sessantenni a cui è stata fatta la biopsia del muscolo quadricipite per poi compararla a quella di 20 diciottenni sportivi. L’espressione genica della cellula e del mitocondrio era nettamente più bassa negli anziani, ossia meno produzione di proteine e meno vita; in altre parole il mitocondrio e la cellula erano vecchi. In seguito è stato allenato il gruppo di sessantenni per 40 minuti tre volte la settimana per sei mesi; dopo sei mesi una nuova biopsia ha dimostrato che il mitocondrio era uguale a quello del gruppo giovane. Pertanto, mentre la cellula rimane vecchia poiché il dna è troppo pesante per essere recuperato, il mitocondrio, essendo un batterio con dna breve, può recuperare con uno stimolo adeguato. Questo spiega il motivo per cui un cardiopatico, che una volta veniva tenuto a letto negli ultimi anni di vita, adesso viene invece allenato; è perché anche il muscolo cardiaco presenta una muscolatura striata ricca di mitocondri: maggiore è l’allenamento controllato e attento, più recupera mitocondri, e in questo modo il cuore riprende vitalità.

Che cosa consiglia per tenere sano il mitocondrio?

La base di tutto è l’alimentazione e il fitness. La cosa beffarda che scrivo nel mio libro è che in teoria il mitocondrio è nutrito da un coenzima Q10, molto ricco nella carne rossa. Quindi dico anche che agli anziani ogni tanto una bistecca non fa male. In senso lato un’alimentazione ricca di proteine naturali, cioè proteine vegetali, è adeguata e poi si possono usare delle integrazioni che ottimizzano il lavoro mitocondriale. Per quanto mi riguarda sto attualmente assumendo un interessante integratore che si chiama sob, sodio disosmutasi, che migliora proprio l’ossigenazione, il lavoro del mitocondrio.
Inoltre a Milano da un po’ di tempo esiste una terapia a base di ozono, che è un gas composto da ossigeno. In pratica, in strutture adeguate, ai pazienti viene prelevato il sangue, arricchito con ozono e reinfuso per potenziare il sistema immunitario. Questa procedura di ossigenazione del sangue migliora tutta l’attività mitocondriale e la risposta immunitaria. Attualmente c’è un collega, Giovanni Barco di Pisa, che da qualche anno ha brevettato un ozono liquido da iniettare direttamente in vena a molti pazienti malati – pazienti in chemioterapia – con potenziamento del benessere generale e della risposta alla chemio. L’ossigeno è alla base di tutto.

Nel processo d’invecchiamento quanto pesano due fattori molto importanti come la genetica e i fattori ambientali?

Sulla genetica si stanno conducendo degli studi di epigenetica. Recentemente è uscito un lavoro molto complesso che porterebbe addirittura alla possibilità di valutare il tempo di vita in base a un pool di epigeni di assetto genetico, un lavoro anche abbastanza inquietante. Sicuramente, in senso lato la genetica può predire la longevità; di certo, se si muore di infarto acuto è difficile leggere una premessa genetica a meno che non esista una premessa epigenetica. Faccio un esempio: nel mio libro sul mitocondrio parlo della morte dei fratelli Mango. Mango era un cantante che è morto su un palco durante un concerto. Il giorno dopo è morto il fratello e due giorni dopo, gli altri fratelli sono stati salvati per miracolo. Avevano quindi ereditato un fattore di rischio per cui, di fronte alla sofferenza, veniva liberato un neuropeptide y, una sostanza proteica che è un potente vasocostrittore. In questo senso si comprende come l’epigenetica possa spiegare i fattori di rischio.

Che cos’è l’epigenetica?

L’epigenetica è la scienza fondamentale che spiega il motivo per il quale su otto miliardi di Homo sapiens con un genoma di 22 mila geni, ognuno è diverso dall’altro. L’epigenetica sta sopra il gene, cioè attiva il gene che sviluppa la proteina che a sua volta costruisce l’organismo. Ogni gene può produrre fino a diecimila proteine; a seconda della proteina che emerge, una persona è diversa dall’altra. Quindi con l’epigenetica è stata addirittura spiegata la condizione di stress cronico con cui già nascono i bambini nipoti delle persone rinchiuse nei campi di concentramento. Questi bambini nascono con un difetto di metilazione che sottintende una condizione di stress cronico ereditata.
Adesso spiego un’altra cosa. La metilazione consiste nel fornire CH3 (gruppo metilico) al dna per stabilizzarlo; nelle mie conferenze mostro una bella diapositiva in cui si vede un topo obeso che è stato selezionato per studiarlo su questa patologia. Quando il topo obeso rimane incinta, se gli vengono somministrati pappe ricche di sostanze metilanti nei pasti (ad esempio con foglie di lattuga), il dna si stabilizza e il gene dell’obesità non viene espresso. È come dire che un bambino nasce normale e non obeso, bello no?

Il discorso dei campi di concentramento è molto interessante. Vale anche per altre patologie, come la depressione?

Assolutamente sì. La depressione genetica è la più difficile da trattare e c’è un motivo; nel mio libro spiego che è dovuto all’effetto placebo. In altre parole, l’effetto placebo è una risposta biologica molto precisa, addirittura si definisce placeboma la costruzione del proprio placebo. Pertanto ogni persona ha un placebo costituito da un pool di geni che a tutti gli effetti costruisce un ‘organo’ – il cosiddetto placeboma. Quindi se si possiede un placebo adeguato, si può rispondere agli antidepressivi, altrimenti no. Ecco perché la persona depressa a livello genetico è il depresso più grave: risponde poco agli antidepressivi. Questo mi sembra uno spunto interessantissimo, innovativo per quanto riguarda l’attività di un farmaco: si può assumere un farmaco ma funziona meglio se si è dotati di un placeboma che lo fa funzionare bene.

Ha parlato di stress. Secondo lei è da considerarsi pericoloso? 

In senso lato, lo stress è una condizione a cui tutti siamo potenzialmente esposti. Si costruisce nei primissimi anni di vita, assieme all’effetto placebo e alla resilienza, e anche questo lo spiego nel mio libro. Nei primi anni di vita si sviluppano le strutture limbiche del cervello soprattutto da un punto di vista emotivo; sono profonde strutture da considerarsi a tutti gli effetti delle strutture neuroendocrine.

Che cos’è la resilienza?

La resilienza è la capacità di superare disagi profondi vissuti nella prima infanzia oppure di convivere con malattie tumorali. Il termine si riferisce proprio alla torsione fisica dell’acciaio, che è capace di resistere fino a un certo punto oltre il quale si spezza. In termini psicologici, la resilienza nasce nei primi anni 50 nei primi studi effettuati sui bambini orfani delle Hawaii; furono seguiti per 30 anni, buona parte dei quali, grazie alla loro resilienza, hanno poi avuto successo nella vita. Ne parlo molto nel mio secondo libro Guarire con la medicina integrata, in cui ho esposto il caso clinico di un ragazzo di 36 anni condannato a morte da un tumore alla pleura. Mi sono affiancato a lui e sono riuscito a farlo vivere per otto anni; mi aveva colpito la sua resilienza – questa sua capacità di convivere con una malattia mortale – in cui ha sviluppato tutta la sua vita recuperando se stesso, la sua famiglia eccetera.

Tornando allo stress, in senso lato rende più operativi e migliora le performance e porta anche al successo nella vita. Il problema è riuscire a controllarlo e a vivere la nostra omeostasi. Stress significa passare da una condizione di omeostasi a una condizione eroica di allostasi [la capacità di mantenere stabili i sistemi fisiologico attraverso il cambiamento, ndr] che può essere mantenuta solo per brevi periodi; in caso contrario subentra una sindrome di burnout, che è una sindrome di paralisi psicologica, angoscia pura e inattività totale.

Quali sono i suoi tre migliori consigli per invecchiare bene?

Ahimé mangiare meno possibile, addirittura adesso si parla di digiuni. C’è un recente libro di Walter Longo, nutrizionista italiano che lavora negli Stati Uniti, che ha avuto successo grazie ai suoi studi sulla nutrizione prendendo come modello il lievito, poiché in questa sostanza il 50 per cento dei geni sono umani. Longo ha dimostrato che somministrando zucchero nel lievito, la cultura di lievito muore. Sulla base di queste premesse, ha sviluppato un interessante percorso nutrizionale, in cui giustamente gli zuccheri vengono addirittura demonizzati. Quindi, zuccheri e carboidrati raffinati, che sono stati sempre spinti e che creano addirittura dipendenza, vanno ridotti al minimo poiché è dagli zuccheri che derivano tutti i processi infiammatori e non in senso beffardo dai grassi. Quindi, primo punto un’alimentazione povera di zuccheri.
Secondo, un fitness controllato, quindi niente di stressogeno. Per esempio una buona camminata a passo veloce da 30 minuti cinque volte alla settimana è più che adeguata.
E il terzo punto è il controllo dello stress, cioè una presa di coscienza della nostra condizione di omeostasi. Per capire la propria omeostasi è necessario comprendere il proprio io biologico e per farlo bisogna uscire dall’io neurale ed entrare in una percezione di noi stessi. Qui si va nel difficile. Pertanto, posso dire che la mindfulness è una tecnica di meditazione interessante, in cui si attiva l’attenzione su noi stessi e le nostre percezioni ed è una tecnica che controlla lo stress.

Sta quindi parlando dell’importanza delle tecniche di rilassamento e meditazione?

Esatto e sono correttissime.

Nei suoi scritti, sostiene che il rapporto che un feto ha avuto con la madre, gioca un ruolo importante sul suo stato di salute dopo la nascita. Può spiegare meglio questa sua idea?

Lo spiega bene un libro di Sue Gerhardt, pubblicato nel 2008 dal titolo Perché dobbiamo amare i bambini. Questa psicanalista, che si occupa di disagio psichico dei bambini piccoli, ascrive il disagio ai primi anni di vita. Perciò questi sono gli anni che determinano la costruzione del cervello.
Personalmente lo spiego molto bene in un capitolo nel mio libro sul mitocondrio: il nostro cervello si costruisce con le emozioni nei primi tre anni di vita per il semplice motivo che questo organo dopo la nascita non è definito; pesa sette etti e cresce fino a pesare un chilo e mezzo nell’arco di tre anni. Si pensi a una fabbrica in costruzione in un determinato contesto: se è adeguato, armonico e sereno, tutto funziona bene, altrimenti sorgono le difficoltà. Da lì nasce quindi il nostro benessere, le fondamenta del benessere in senso psicanalitico.
Da sempre si è detto che la malattia psicosomatica sorge nei primissimi anni di vita; adesso la dimostrazione è totalmente biologica. Durante le mie conferenze, mostro alcune diapositive in cui spiego come tutta la costruzione di peptidi emozionali, cortisone, insulina, dopamina ed endorfine, avviene in quegli anni. Se il sistema funziona bene si funziona bene, altrimenti si deve correre ai ripari facendosi aiutare da psicoterapie, fitness e convivere con un disagio di cui non siamo responsabili.

A proposito di fitness, avevo letto che pratica l’urban fitness. In che cosa consiste e quali benefici ha riscontrato?

L’urban fitness è una stimolazione molto ben congegnata attraverso un’apparecchiatura, una specie di tuta con una serie di elettrodi. Si eseguono azioni posturali, come fosse un tens olistico (ma il tens si applica ai muscoli per il recupero funzionale). L’urban fitness è invece una specie di tens generale per tutto l’organismo, che viene coinvolto in una stimolazione elettrica; durante la tensione muscolare vengono forniti degli stimoli che migliorano l’allenamento muscolare e attivano il mitocondrio. L’unica accortezza è di esaminare un valore del sangue, la creatinfosfochinasi [un enzima molto diffuso nei muscoli il cui eccesso segnala la presenza di stress nell’organismo ed è dovuto a troppa attività fisica, ndr]. Se il muscolo va in sofferenza e libera un eccesso di questa sostanza, allora conviene non farlo o farlo meno.

Oltre che studioso di neuroscienze e pneumologo, è anche oncologo. Cosa riserva il futuro della medicina nella cura del cancro?

È esploso. Su un sito scientifico compilato da me in collaborazione con un mio amico, bioneuroblog.wordpress.com, scriviamo alcune sintesi di libri. La cura del cancro in questi ultimi anni si sta modificando attraverso l’immuno-oncologia e sostanzialmente la novità dell’oncologia è questa: finalmente sono stati identificati determinati anticorpi che permettono al sistema immunitario di riconoscere meglio il tumore consentendo in questo modo di poter curare il melanoma. Attualmente due nuovi anticorpi vengono utlizzati per trattare il melanoma con risultati interessanti (sono in corso nuovi protocolli terapeutici all’Istituto dei Tumori). Da gennaio 2017 verrà addirittura approvato da parte della Asl un protocollo di un immuno anticorpo come prima linea per il tumore polmonare: una rivoluzione copernicana che si sta finalmente affacciando alla medicina. Quando chiesi a Edoardo Boncinelli [prolifico genetista italiano noto per aver identificato nel 1985 i geni omeotici nell’uomo che progettano lo sviluppo dell’organismo, ndr] se la medicina è una scienza, lui rispose che è una scienza in progress. Ecco, finalmente oggi l’oncologia è diventata una medicina scientifica grazie alle scoperte della biologia.

Cosa intende per scienza in progress?

La medicina non è una scienza. Quando avevo dieci anni rischiai la vita perché il professore Pende, eminente endocrinologo degli anni 50, sosteneva che ero piccolo perché avevo il timo grosso; aveva proposto di radiarmi il timo ma così sarei morto di setticemia perchè da lì a pochi anni si è scoperto che è l’organo chiave dell’immunità. La medicina è piena di questi errori grossolani. Io stesso, facendo il patologo, estraevo con grande accuratezza le ipofisi dai cadaveri, le mettevo in un thermos a meno 20 gradi e le inviavo in Francia, perché da lì si estraeva il famoso ormone della crescita. Ho quindi collaborato senza saperlo alla diffusione della mucca pazza.
La medicina non può essere una scienza perchè si interfaccia con l’individualità biologica, frutto di milioni di anni di evoluzionismo. Sta diventando scienza relativamente alle nuove scoperte della biologia e della fisica quantistica; il nuovo passo sarà proprio nella fisica quantistica. Io stesso terrò un convegno all’Ordine dei medici il 25 febbraio 2017 con la psichiatra Erica Poli, che nei suoi scritti affronta il tema della medicina quantistica.

Nei suoi libri ha parlato degli anticorpi monoclonali per la cura del cancro. In che cosa consistono?

Il più semplice è questo: sui linfociti è stata scoperta una proteina che si chiama pdl, una specie di ‘museruola’ per il sistema sistema immunitario: lo controlla ed evita una sua reazione eccessiva. L’anticorpo monoclonale, che è stato ormai commercializzato, elimina questa proteina e scatena di conseguenza l’attività del sistema immunitario: ecco un esempio di terapia immunologica mirata. Le controindicazioni possono essere chiaramente malattie autoimmuni e polmoniti, ma contro un cancro mortale, come il cancro al polmone, viene controllato ed comunque è un rischio che vale la pena correre.

Ha anche parlato dell’importanza di utilizzare le medicine complementari nell’oncologia. Può spiegare meglio questa sua tesi?

La medicina integrata e anche quelle complementari sono state finalmente messe a fuoco anche dall’Harrison [un noto trattato americano di medicina interna, ndr], che è la bibbia della medicina e c’è un capitolo sulle terapie complementari. Queste terapie sono l’agopuntura, la nutrizione fino alla fitoterapia e all’omeopatia: tutto ciò che può lavorare sull’individuabilità biologica, associandosi a una medicina scientifica.
Ad esempio utilizzo il vischio seguendo i principi di una dieta Steineriana. Il vischio è una pianta saprofita che si nutre di altre piante e, nel caso del tumore polmonare il vischio più attivo è quello di derivazione della quercia e dall’olmo. Se una persona viene operata di tumore polmonare e ha un rischio di recidiva, personalmente non eseguo la chemioterapia ma una terapia con vischio, proprio perché è stato scientificamente dimostrato che questa pianta ha un’attività immunostimolante e antiproliferativa.
Attualmente da un po’ di tempo mi appoggio anche alla micoterapia, la terapia con i funghi; anche i funghi sono parassiti che sfruttano le altre piante. Esiste una grandissima coltivazione di funghi asiatici in Spagna sotto delle sequoie e questi funghi vengono poi commercializzati sia in Spagna che in Italia con finalità terapeutiche di vario tipo.

Parlando di guarigione, la medicina occidentale si sposterà sempre più verso un approccio olistico, tra cui anche le medicine alternative.

Tutto quello che noi medici auspichiamo. Ultimamente ho steso una relazione a 60 pediatri riguardante un fitoterapico commercializzato regolarmente in Italia, che nel 900 curava la tubercolosi. In pratica ho mostrato come questo fitoterapico stimola una cellula immunitaria macrofaga, che mangia il bacillo di Koch. È affascinante pensare che nel Novecento fosse utilizzato l’estratto di un fiore sudafricano per curare la tubercolosi. Allora, dico, recuperiamo questi valori. In Germania questo prodotto è in commercio degli anni 70 e ne sono vendute 40 milioni di unità in tutto il mondo. Mentre noi siamo figli della chimica, quindi è difficile sganciarci da un condizionamento alla sola chimica.

A proposito di olismo, le neuroscienze da anni dicono che il corpo umano è una rete di comunicazione, tra il sistema nervoso, la mente, gli ormoni e il sistema immunitario.

Il successo del mio libro Il cervello anarchico, che ha venduto 60 mila copie, si spiega con lo sviluppo del tema della pnei – la psiconeuroendocrinoimmunologia; in altre parole, la ragnatela che permetta la comunicazione tra il sistema neuroendocrino e il sistema immunitario con le strutture profonde del cervello che sono a tutti gli effetti strutture emozionali neuroendocrine. Quindi è questa rete di neurotrasmettitori, governata dalle emozioni, che ci fa stare in una condizione di benessere o malessere. Ad esempio, stamattina ho ricevuto la telefonata di una signora il cui figlio ha una malattia autoimmune che gli sta distruggendo il polmone; il suo sistema immunitario ha quindi disconosciuto il polmone e questo ragazzo morirà. Pertanto, siamo chiaramente una biologia molto delicata. Dobbiamo trattarci bene e volerci bene, amarci, amare anche gli altri e cercare di vivere il nostro io biologico con grande attenzione.

Quali sono secondo lei le potenzialità dello studio nel campo della pnei?

Enormi e continue. Perché il mio libro ha successo? Perché ha aperto la porta a tutti quelli che si occupano del corpo, dal pranoterapeuta allo sciamano, a chi fa shiatsu, riflessologia e iridologia; l’intero mondo biologico che in tutto il mondo viene affrontato da vari specialisti provenienti da vari settori come anche agopuntori e omeopati. Questo tipo di percorso lavora sulla pnei, all’interno del quale si trova la medicina scientifica che attualmente, in senso propriamente scientifico, sta studiando i recettori e le loro comunicazioni. Questo consente di avere certe terapie – ad esempio nell’artrite reumatoride esiste la terapia biologica che blocca la malattia, proprio perché blocca un certo tipo di trasmettitore. Nel morbo di Crohn, una malattia intestinale caratterizzata da ulcere e sanguinamenti, è stata identificata una sostanza che si chiama tumor necrosis factor (tnf alfa): inibendolo, si blocca la malattia. Certamente, tutto questo non è semplice poiché viene bloccato un trasmettitore che serve anche per altre comunicazioni; pertanto non è così facile affrontare in termini scientifici il controllo della malattia.

La cosa migliore è la prevenzione e dovrebbe essere giocata dalla prima infanzia. David Lynch, regista inglese, ha un’associazione che promuove la meditazione nelle scuole dieci minuti due volte alla settimana e ha ottenuto grandi successi nel bullismo. La vera prevenzione nasce quindi nelle scuole, negli asili nido, in ambito pediatrico e nelle famiglie. In Inghilterra esiste una figura che si affianca alla madre incinta, se è inadeguata.

A proposito di prevenzione cosa si sente di consigliare per condurre una vita di igiene, benessere e salute?

Quello che ho detto prima. Stare attenti a noi stessi. Essere prima di tutto profondamente ‘egoisti’ perché è il profondo ‘egoismo’ che poi apre agli altri. Se si sta bene con se stessi, si sarà sereni ed è chiaro che si sarà molto più disponibili ad interfacciarsi con gli altri. La prima attenzione l’ho già spiegata: non è l’io neurale, cioè la percezione cosciente di come siamo, ma è il nostro io biologico su cui dobbiamo stare attenti, che è il 90 per cento del nostro essere nel mondo. È lì la differenza.

Pensiamo che l’uomo sappia decidere come deve essere il nostro organismo. No, il nostro organismo va come decide di andare. Noi riusciamo a gestire in maniera inconscia il nostro benessere. L’esempio più bello di benessere è il toxoplasma, un protozoo il cui obiettivo è andare a finire nello stomaco del gatto. Viene mangiato dal topo nelle fogne, dopodiché inattiva l’enzima nel cervello del topo che gli fa temere il gatto e il topo alla fine viene mangiato del gatto: un esempio di perfetta relazione tra io neurale e io biologico.

Come vede il futuro della medicina alla luce di quanto ha detto?

Un futuro in progress, una scienza in progress che pian piano si sta appoggiando alla biologia, alla farmacologia, alla fisica e quindi sempre più diventerà scienza, relativamente al fatto che la premessa assoluta di un atto terapeutico è la relazione. Recentemente con uno psichiatra di Caserta ho presentato il libro dal titolo Il divano è meglio di Freud. Cosa vuol dire? Che è il contesto che spiega il successo della terapia. Il  paziente deve per prima cosa essere motivato ad andare in psicoterapia e il terapeuta deve accoglierlo con amore e dedizione, è da questa premessa che nasce il successo della terapia, indipendentemente dal tipo di tecnica proposta. La scelta vincente è di conseguenza la relazione empatica che è alla base di ogni rapporto medico-paziente. Tutta la medicina va rivista in questo modo.

 
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