La guarigione, una perfetta integrazione di mente, anima e corpo (P. 2)

Prosegue il viaggio di comprensione della malattia con Erica Poli, psichiatra, psicoterapeuta e autrice di libri sulla guarigione, il rapporto di coppia e la coscienza. In questa seconda parte, la dottoressa Poli approfondisce il salto quantico di coscienza, un fenomeno studiato anche dalla fisica, e le sue implicazioni a livello mentale nella guarigione.

Dottoressa Poli, nei suoi libri ha parlato del salto quantico di coscienza. Cosa significa?

È un’espressione che nasce nel 1975 dal fisico Fred Alan Wolf. Scrisse il libro The Quantum Leap, appunto il salto quantico, riferendosi a quello che avviene nell’elettrone quando viene irradiato da un raggio di luce oppure durante la cessione di energia di un atomo: l’elettrone in questione acquisisce energia e può fare un salto, ossia passare a un livello energetico superiore, ruotando su un orbitale più esterno al nucleo dell’atomo. Tutto questo comporta un incremento d’energia di questa particella. Tutte le reazioni chimiche di ossido-riduzione prevedono questo e nelle molecole è all’ordine del millisecondo.

Secondo Wolf, quando si acquisisce consapevolezza accade un insight: in pratica la persona comprende ma questo non significa capire. Si capisce solo la testa, si comprende invece con tutto il proprio essere – testa, cuore, mente, corpo – una cosa che porta a un cambiamento di prospettiva e di visione e quindi a un cambiamento di energia.

Una differenza interessante

Quante persone hanno fatto un’esperienza ma poi non sono cambiate? Per esempio, quante volte una persona ha capito che avrebbe dovuto lasciare il partner ma non l’ha fatto? Freud diceva che l’uomo non è padrone in casa sua, nel senso che la mente razionale non decide nulla, l’uomo si illude di prendere decisioni su base razionale. Le decisioni vengono prese subito.
Bob Marley diceva che se si ha un dubbio, è bene deciderlo di affidarlo a una moneta. Non perché sia importante affidarsi all’esito della moneta, ma perché quando si sta per lanciare la moneta in aria e si sta per conoscere l’esito, si capisce in quale risultato si spera di più, quello che si vuole veramente.

Ecco, nella vita agiamo sempre così perché l’intelligenza somatica è molto più forte di quella razionale. Una parte di noi, inconscia, agisce; quella conscia è solo retrospettiva. In altre parole, prima si prende la decisione e poi si giustifica dicendosi per esempio che era opportuna o la migliore e ci si convince che quelle fossero le reali ragioni. Ma in realtà erano altre e le ragioni vere sono dominate dai copioni inconsci, che provengono a loro volta dalle esperienze infantili e persino dal contesto familiare di nascita, a sua volta all’interno di un inconscio collettivo come diceva Jung. Difatti, le decisioni che prende un italiano in Italia, sono completamente diverse rispetto a un eschimese che ha vissuto in un igloo combattendo per vivere la sua vita libera e selvaggia.

L’uomo tende quindi a giustificare?

Tantissimo. Si pensi per esempio alle scelte compiute: spesso hanno in realtà riprodotto le azioni infantili oppure azioni non volute che si temeva accadessero. Alcune mie pazienti mi dicono di aver sempre avuto paura di non riuscire a replicare un matrimonio bello come quello dei genitori e alla fine si sono separati dolorosamente. Oppure qualcuno ha sempre avuto paura di non essere realizzato nel lavoro e poi si è verificato.

L’uomo costruisce il proprio destino e la paura lo inganna, una cosa che aveva detto anche il Budda. La maggior parte delle persone non agisce perché vuole una cosa, ma perché vuole evitarla. Per esempio si evita di litigare per il quieto vivere o non si chiede l’aumento per evitare seccature, o non si va a sciare per evitare di farsi male.
Se a questo aggiungiamo la cultura cattolica e l’educazione scolastica si ottiene ‘il massimo’. La cultura cattolica (non quella cristiana) è basata sulla colpa e sull’evitare una punizione. E anche a scuola si deve studiare altrimenti la maestra punisce con una nota sul registro, invece di studiare perché è bello imparare.

Da cosa derivano queste paure?

Dai copioni delle persone. Io ho avuto un genitore che non aveva paura di arrabbiarsi, ma della tristezza. Ho imparato che la tristezza è pericolosa, la rabbia no. E quindi cercherò sempre di evitare la tristezza e non andrò per esempio all’ospedale per andare a trovare l’amico che si è operato perché non voglio vedere gente che soffre poiché mi intristisce. Lo faccio per evitare qualcosa che temo, quando in realtà se vivessi questa situazione non mi farebbe così paura.

Viverla aiuterebbe?

Certo, le persone hanno paura di essere travolte dalle emozioni e le rifuggono – il problema di questo secolo e dei precedenti. Poi una volta rifuggita, dimenticano l’emozione, la rimuovono o, come diceva Jung, la proiettano e la chiamano destino.
Spesso le persone affermano di un avvenimento è capitato perché era destino; avevano invece evitato o rimosso una paura e poi l’hanno ritrovata. Tutto quello che viene rimosso non si conosce e non si può quindi gestire, si è totalmente disarmati.
Secondo Jung, l’uomo ha un unico compito: individuarsi, diventare chi è. Ma per diventare chi è, deve congiungere gli opposti, la parte bella di se stessi e quella non piacevole. Le persone invece rimuovono le cose che non piacciono, di solito sono cose che non piacevano ai genitori e poi le trovano di fronte e spesso li incontrano nei partner. Il partner si presenta come uno specchio rispetto a quello che ancora una persona non vede di se stesso. La persona, ignara, si accanisce a voler chiudere la relazione o ne rimane infelice e cerca una compensazione all’esterno, come tradire, fare shopping compulsivo o sesso a pagamento.

La parolina magica è ‘integrazione’. Tutto quello che si integra si mantiene in una condizione di equilibrio. L’avevano capito bene gli antichi romani, che lasciavano spazio a cultura e tradizioni nei popoli che assoggettavano.

E quindi anche di controllo?

Sì. Marie Louise von Frantz, colei che ha anche terminato alcune opere incompiute di Jung, diceva che quando si nasce si ha il concetto dell’ombra Junghiana, ossia parti di noi che non ci piacciono e che rifiutiamo e le mettiamo in un fagotto dietro le spalle, le mettiamo in ‘cantina’. Abbiamo una bella casa ordinata, ma chiusi sotto chiave al buio ci sono quelle cose, che premono e spingono alla porta ma alla fine rompono la serratura e fanno irruzione. Sono brutti e sporchi perché sono vissuti in cantina per anni ma sono parte di noi. Il punto è che se si fanno sedere in salotto, questo comporta l’aver superato la paura di sentire e di conoscere qualcosa di ignoto. In questo modo almeno si hanno di fronte, si vede la loro faccia e come si comportano. Se si tengono in cantina, le serratura alla fine saltano.

Nella mia esperienza professionale, ho visto tanti pazienti colpiti da malattie molto gravi, non solo tumori, in cui l’arrivo della malattia aveva provocato una brusca risalita dalla ‘cantina’ dei personaggi che erano lì da tempo.

La malattia può essere un’opportunità di dialogo tra queste parti?

Sì e l’ho imparato dai pazienti. Quando viene diagnosticata una malattia grave, le priorità cambiano. Francamente non si è più interessati al collega che fa saltare i nervi. La malattia ripristina delle priorità basiche e mette a confronto con se stessi delle situazioni che prima non si affrontavano poiché non si aveva tempo, oppure “perché non si fa”, o perché “poi cosa dicono gli altri?”, insomma l’uomo vive così. La malattia è come una cesura. Naturalmente sto parlando di quelle che causano paura. Quante volte i miei pazienti mi dicono: “Dottoressa, ma io cosa ho vissuto? Io non volevo questa vita”. La malattia ti restituisce, a volte anche crudelmente, a te stesso. Nelle grandi partite della vita, nascita e morte, si è da soli.

Una responsabilità individuale

Certo. Il medico, per quanto sia una figura fondamentale, accompagna in questo viaggio (per me la malattia è un viaggio che spero si risolva sempre bene). Per questo ritengo che nella facoltà di medicina dovrebbero introdurre un esame di filosofia, in cui discutere dei temi di vita, morte, paura, mistero, di chi è l’essere umano veramente.
In passato il medico era anche un cerusico, un sacerdote: una sovrapposizione tra figura religiosa e medica. Il medico avrà sempre a che fare con il mistero della vita, basti pensare per esempio alla nascita di un bambino. Abbiamo un sistema immunitario potentissimo, ma il feto, che è un enorme antigene poiché ha solo per metà il dna della madre, per nove mesi non viene rigettato ma non è stato ancora capito il motivo. È un gigantesco corpo estraneo. Il medico è quindi un detentore di saperi misteriosi. E la figura più vicina, assieme al prete e al filosofo, a questi misteri.
Ma, ripeto, il medico non è responsabile del viaggio ma delle cure prestate mentre il paziente compie il suo viaggio. È responsabile del trattamento e del supporto ricevuto, ma la partita si gioca da soli. Infatti, alcuni guariscono, altri no.

Essendo una psichiatra, e cercando di capire il ruolo della psiche nella guarigione in un momento di validazioni da parte della scienza, mi sono chiesta quale fosse l’elemento che determinasse la guarigione oppure no. Inoltre, alcune persone guariscono a dispetto delle prognosi, a differenza di altre che non guariscono nonostante la prognosi favorevole. Mi sono sempre interrogata su questo e ho osservato, nella mia esperienza di quindici anni, che guarisce chi compie il salto quantico.
In pratica, nel momento in cui si viene raggiunti da questa esperienza che fa paura, ossia l’essere malati e non avere una prassi di vita consolidata, guarisce la persona che accoglie questa situazione come un’opportunità ed è pronta a ribaltare tutto con dei cambiamenti.

Un cambio di paradigma?

Sì, detto anche cambio di prospettiva. Si compie un salto di coscienza e si pensa che se questa malattia è arrivata è perché è stata creata da se stessi. Viene da dentro e serve per comunicargli qualcosa. Da qui, si parte per un viaggio di trasformazione, un viaggio alchemico, dove la terapia farmacologica e l’intervento chirurgico è sicuramente un pezzo importante e fondamentale in alcuni casi (niente a che vedere con certi filoni che propinano di non curarsi). L’intervento chirurgico e il farmaco aiutano e sostengono; non si può affrontare un viaggio di coscienza se per esempio si vomita cinque volte al giorno della bile. Farmaco e intervento chirurgico vanno benissimo, ma sono aspetti che lavorano solo sul piano dell’organo, in modo meccanico sul pezzo che si è rotto e deve essere aggiustato. Ma da lì, parte un viaggio alla ricerca di un significato che cambia la vita. E chi guarisce non è più come prima in molti aspetti, come nelle relazioni o nel lavoro.

In questi casi il paziente non attribuisce al caso l’arrivo della malattia

Sì. Diciamo che il corpo umano ha ampi margini. Quando ci tagliamo un dito non è necessario chiedersi il motivo, sebbene a volte in incidenti simili alcune persone si chiedano il perché. Per esempio, un mio paziente, al terzo incidente in moto si è domandato il motivo e abbiamo notato assieme che c’erano delle questioni coinvolte.
Comunque, tornando a prima, il corpo ha ampi margini di recupero: quando ci si taglia un dito non è importante indagare la causa per guarire. Ma è anche vero che a volte, ci si taglia un dito perché per esempio si era stanchi o nervosi oppure preoccupati. Ma ripeto, in questi casi ci si può affidare al corpo che ha i suoi margini di compenso e quindi non è necessario che la coscienza faccia un salto per guarire.

Quando succede invece qualcosa di importante che mette in scacco i margini di recupero e compenso dell’unità psiche-soma, allora la coscienza deve per forza intervenire. Il corpo in pratica sta chiedendo aiuto perché da solo non riesce a guarire.

Un salto che solo la coscienza può fare?

Sì ed è proprio lì la difficoltà. Un mio paziente ha il morbo di Crohn da venti anni e mi ha spiegato di aver compreso la ragione della sua malattia: suo padre era violento e l’ha odiato, il fratello è morto per una overdose. Mi diceva che dentro di sé rimuginava da anni e sentiva di avere come un intestino annodato di rabbia. Aveva fatto dieci anni di psicoanalisi ma non era cambiato niente. Tornando a prima, un conto è capire con la testa, un conto è incorporarlo, ossia fare diventare la propria comprensione come un corpo – il livello della coscienza. Quando cambia questo, il proprio assetto energetico non è più quello di prima.

Conosco e applico molte tecniche, ne ho studiate tante e posso dire che ci sono sicuramente strumenti più validi rispetto ad altri; in altre parole se a una persona faccio fare trattamenti emozionali, energetici o di biorisonanza, ho più probabilità che la sua coscienza si accenda. Ma non ho la certezza e questo va detto. Altrimenti si creano della ‘fantamedicine’ pericolose e nel mio ambiente ne vedo molte di queste cose.

Ogni persona è un mondo a sé, per fortuna. Personalmente riconosco che lavorando su emozioni, aspetto vibrazionale, suono, ritmo, armonia, medicina tradizionale cinese, omeopatia e tecniche a mediazione corporea, esiste una maggiore probabilità che il salto accada. Ma non posso garantirlo.
Ho avuto una paziente che facendo soltanto delle sedute, ha sperimentato un cambiamento di vita da un tumore desmoide. Ora ha scritto un libro sulla sua esperienza.
Ma ho avuto pazienti che meditando, cambiando alimentazione e andando anche in pellegrinaggio, sono rimaste come prima. Perché nonostante capissero, almeno secondo la mia attuale comprensione, non avevano catalizzato l’energia sufficiente affinché la loro comprensione si traducesse concretamente in un cambiamento della loro vita. Restavano le persone di prima.

Come se l’elettrone rimanesse sullo stesso orbitale?

Esatto. Come dire che è stato irradiato ma non ha fatto il passaggio. Spesso accade questo perché il contesto socio-familiare non era in accordo alle scelte del paziente. Sempre più mi avvalgo di un intervento di equipe, soprattutto in caso di patologie gravi e cerchiamo di coinvolgere i familiari. Spesso i pazienti, dopo essersi sentiti bene durante la seduta, ricadono nella stessa dinamica precedente una volta che ritornano nell’ambiente familiare, contornati da persone che la pensano esattamente come prima.
Se si prende un magnete e si inserisce in un campo più grande, si orienterà secondo le linee di forza del campo magnetico più grosso. Questo per dire che se una persona ha un tumore ma il giorno dopo un medico le dice che non può guarire ma può soltanto controllare la progressione della malattia: si capisce bene quanto questo messaggio sia distruttivo.
Tra l’altro esiste uno studio francese, in cui è stato domandato a degli oncologi se ritenessero corretto dire a un paziente affetto da tumore metastatico, di non pronunciare in sua presenza la parola guarigione e sostituirla con ‘stabilizzazione’ o ‘mantenimento’. Tutti hanno risposto di sì. In altre parole, gli oncologi di fronte a quel genere di paziente non avrebbero pronunciato la parola guarigione poiché sapevano che il paziente non poteva guarire.
È stata poi condotta un’indagine di compliance al trattamento, ossia quanto una persona aderisce al trattamento: è risultato che i pazienti che ricevevano la comunicazione dell’impossibilità di guarire dalla malattia, perdevano una percentuale significativa di compliance al trattamento. Alcuni di questi, addirittura non si curavano neanche a sentire quelle parole dei medici.
Dopo aver visto questi risultati, più del 50 per cento degli oncologi ha deciso di cambiare comunicazione; dicevano che non erano in grado di valutare la percentuale di guarigione, ma che erano comunque le migliori terapie di cui disponevano. Questo ha incrementato la compliance. Il che significa che le parole sono potenti, sono il primo farmaco.

Le parole riflettono il proprio modo di pensare

Certo. Consideri che un pensiero è un fenomeno innanzitutto elettromagnetico. È l’attivazione di un’area cerebrale con una elettricità, con sinapsi che causano vibrazioni che a loro volta si trasmettono al corpo.
Il Dalai Lama dice che il pensiero è la cosa più concreta di cui l’uomo dispone perché ha un correlato fisico. Un pensiero ripetuto per giorni è potente. Basta considerate l’ipnosi e qui penso anche ai vari messaggi che ci vengono imposti, come per esempio quella della crisi. Non ci rendiamo conto ma è un’ipnosi che genera una ricaduta.
Ora sappiamo e abbiamo compreso il motivo per cui nelle religioni orientali si usa la ripetizione del mantra o di una preghiera. Non sono superstizioni. Tanto per cominciare la ripetizione del mantra tranquillizza la mente perché blocca l’ansia. Inoltre, il mantra è un suono che ha un correlato elettromagnetico. L’acqua, [del corpo umano, ndr] funge da diapason e risuona in tutte le cellule.

Il salto quantico di coscienza presuppone l’energia sufficiente, che dipende da pensieri, emozioni e alimentazione ­­– fattori che dipendono dall’individuo. E poi esistono fattori ambientali, come la famiglia e la società. Alcune persone hanno fatto anche gesti radicali, come non dire niente ai familiari.
Per esempio, una mia paziente, che poi è guarita, aveva un tumore all’endometrio ma non ha comunicato nulla alla famiglia. Ha detto semplicemente che andava a operarsi per un fibroma: una decisione di un coraggio estremo, che probabilmente io non avrei avuto la forza di fare. Era una signora che già di suo meditava, faceva yoga e aveva anche due figli piuttosto grandi. Pensava che se lo avesse detto ai familiari, l’avrebbero spaventata e creato più ansia. Dopo essersi fatta operare, non ha accettato alcune terapie e alla fine è guarita. Non voleva avere il modellamento di paura vissuto da una sua parente.

Viceversa, una persona mi ha detto molto lucidamente, di conoscere il motivo per cui aveva contratto la sua malattia e sapeva come avrebbe dovuto agire. Pensava di dover ribaltare la sua vita, ma non se la sentiva. Il prezzo da pagare secondo lei era troppo alto poiché avrebbe fatto soffrire molte persone. E alla fine se ne è andata. Sosteneva che anche se fosse morta sarebbe stato meglio, in quanto i familiari se ne sarebbero fatti una ragione; se invece si fosse allontanata dal contesto familiare, come pensava di fare, troppe persone ne avrebbero sofferto. Si era sottoposta a tutti i trattamenti possibili, come l’adroterapia, in aggiunta tutte le terapie alternative. Ricordo una delle ultime sedute: “So cosa dovrei fare ma non me la sento, è troppo. O si sbloccano determinate situazioni, altrimenti non le faccio perché sennò mi sento in colpa”. Per lei era più importante salvaguardare una certa idea che i familiari avevano di lei, non perdere la faccia con alcune persone e non deluderle.

Esiste quindi un aspetto del salto quantico di coscienza un po’ egoistico: la partita è la tua. La malattia potrebbe essere vista come un fenomeno evolutivo perché nell’evoluzione delle specie arrivano delle catastrofi, come per esempio quella dei dinosauri. Secondo me, la malattia è una ‘catastrofe’ che costringe a un cambiamento di condizioni: o si riesce a cambiare fortemente oppure si perde la partita.

Intende malattie dove è implicata la morte?

Non necessariamente. Una mia paziente ha l’artrite reumatoide da anni. Questa signora aveva sposato un uomo che non amava, per uscire da una difficilissima situazione familiare. Il marito aveva anche delle problematiche. Ha sviluppato un disturbo ossessivo-compulsivo e il figlio e il marito la accudivano. In questo modo teneva sotto controllo il marito, in quanto era costretto a tornare a pranzo per vedere come stava. In un certo senso lo aveva in pugno. Improvvisamente il marito è morto per infarto e la signora aveva perso il suo oggetto di controllo.

C’è sempre una parte di ego coinvolta

Sì, è brutto a dirsi ma le malattie hanno un vantaggio secondario. Permettono sempre di fare o non fare qualcosa. Nello stare male c’è sempre un vantaggio. Il marito era morto e anche il figlio aveva fatto un sospiro di sollievo. Ma in seguito, pochi mesi dopo la morte, la moglie ha sviluppato un’artrite reumatoide galoppante, per cui non cammina. E quindi il figlio è attualmente costretto a occuparsene. La signora si sottopone tuttora a delle sedute e ha avuto dei rilasci emotivi, ma un giorno mi ha detto: “Se io stessi bene, mio figlio starebbe con me, considerato che la fidanzata vive lontano?”

Il vantaggio secondario di cui ha parlato

Sì. E non riguardano solo i tumori sebbene mi riferisca sempre a malattie di una certa entità. Certamente non riguardano casi di raffreddore o influenza, ma a volte nella gastrite, si prende l’antiacido. Un mio cliente voleva vendere una casa per aprirsi un’attività. Ma la moglie non era d’accordo perché la considerava rischiosa e la casa doveva servire ai figli. Questa persona aveva una scelta: scegliere la sua inclinazione o tenersi la gastrite. Alla fine ha scelto la sua strada e i sintomi gastrici sono passati. A volte si parla quindi di malattie minori, ma esistono comunque indicatori biologici immagazzinati sotto forma di messaggi – il corpo non dimentica e prima poi accusa il colpo, a meno che si cambi.

Comunque, a volte basta ridurre il carico somatico del 20-30 per cento per cambiare la situazione. Per esempio questa persona non ha venduto subito la casa, ma gli è stato sufficiente esternare alla moglie i suoi desideri per sperimentare un cambiamento relazionale con lei. Prima si sentiva costretto a eseguire degli ordini, ma in questo era complice poiché aveva in precedenza vissuto, subito e accettato le sgrinfie della madre.

 

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