La fragilità del sistema di asilo politico in Italia

La chiusura delle frontiere con i Balcani e l’accordo tra l’Ue e la Turchia hanno determinato una diminuzione negli arrivi di migranti e rifugiati in Grecia. Tuttavia in Italia gli arrivi sono continuati a un ritmo pari a quello dello scorso anno, quel che è cambiato è che sono in numero minore a raggiungere l’Europa del Nord, con il risultato che il sistema italiano fatica ad accogliere le domande, e sono i migranti a pagarne il prezzo.

Secondo il Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR), fino a quest’anno, sono arrivati in Italia dal mare più di centomila migranti. Durante l’estate sono sbarcati ogni settimana fino a diecimila persone.

Il sistema dei centri di crisi dell’Unione Europea, introdotto alla fine del 2015, avrebbe dovuto mettere ordine nella procedura d’arrivo, e porre fine al caos di cui siamo stati testimoni l’anno scorso, al culmine della crisi dei rifugiati: era stato concepito per differenziare i migranti cosiddetti ‘economici’ che possono essere espulsi subito, da quelli con diritto alla protezione internazionale.

Inoltre, tra le persone identificate come migranti, sono numerose quelle che non possono essere rimpatriate facilmente, poiché mancano accordi con i loro Paesi d’origine per la riammissione.

Il nuovo sistema mirava anche a facilitare il trasferimento delle richieste d’asilo presentate agli Stati in ‘prima linea’ come l’Italia e la Grecia, verso altri Stati della Ue e, in effetti, questi hanno accettato di accogliere 160 mila persone fino al 2017.

Però, il bilancio del trasferimento è catastrofico: a metà luglio solo 3056 migranti sono stati dislocati e solo 843 di questi dall’Italia. Inoltre, tra le persone qualificate come migranti economici, molte non possono essere rimpatriate per l’assenza di accordi con i Paesi d’origine.

L’Ue ormai esige che siano rilevate le impronte digitali di tutti i nuovi arrivati, questo significa che non potranno chiedere asilo in altri Paesi Ue senza rischiare di essere rimandati in Italia, in applicazione della Convenzione di Dublino [Trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo, ndt]

Questa situazione, associata ai controlli più rigidi messi in atto nelle frontiere con Svizzera e Francia, ha causato il raddoppio delle domande d’asilo nei sistemi di accoglienza italiani: sono a oggi 140 mila. 

UNA SITUAZIONE IMPOSSIBILE  

Il ricercatore italiano Yasha Maccanico, che lavora per Statewatch – un’organizzazione per i diritti civili – ha detto che in Italia c’è una «situazione impossibile e insostenibile». Ha infatti dichiarato a Irin [Integrated Regional Information Networks, agenzia di stampa dell’Onu, ndt]: «La dislocazione era l’obbiettivo primario per la creazione dei centri di crisi, ma non ha affatto funzionato e, qualunque sforzo faccia lo Stato per offrire infrastrutture adeguate, non sarà sufficiente per accogliere la massa dei migranti».

Il sistema dei centri di crisi prevede l’identificazione e la registrazione dei migranti, tramite unità mobili nei porti d’arrivo o in uno dei quattro centri specializzati: due in Sicilia, uno a Lampedusa e uno a Taranto. 

In realtà, meno della metà dei nuovi arrivati passa per i centri di crisi e la maggior parte degli sbarchi avviene in porti lontani dai centri. Sotto la spinta della Commissione europea, il ministero dell’Interno sta formando altre unità mobili, ma nell’attesa che siano pienamente operative, la maggior parte dei migranti è trasferita in altre strutture per il controllo dei documenti. 

Carlotta Sami, portavoce dell’HCR , ha riferito a IRIN: «Sappiamo che attualmente almeno il 38 percento di coloro che arrivano passa per i nostri centri. Gli altri sono trasferiti nei posti di polizia per l’identificazione e verso i centri di accoglienza di altre zone». L’HCR fornisce informazioni di base a quasi tutti i migranti e ai rifugiati che arrivano nei porti italiani, ma solo se i loro documenti vengono controllati dai centri di crisi, ricevono informazioni dettagliate e sostegno. La Sami aggiunge: «Chi non è trasferito in altri centri non sempre ha accesso a informazioni complete. È altrettanto importante che i migranti ricevano un sostegno giuridico solido nei centri e dalla polizia, ma non sempre è così».

INGRESSO NEGATO

Giulia Capitani, consigliere per le politiche migratorie e d’asilo presso Oxfam Italia, è preoccupata per la crescente difficoltà di monitorare i migranti trasferiti direttamente in altri centri di accoglienza per la gestione delle pratiche: è convinta infatti che «la rilevazione delle impronte e le espulsioni avvengano in maniera molto approssimativa» e questo complica l’intervento degli avvocati e delle organizzazioni per i diritti umani. La sua preoccupazione nasce dal grande numero di «respingimenti differiti», seguito all’introduzione dei centri di crisi.

Oxfam Italia stima che più di 5 mila migranti provenienti da Paesi con basse percentuali di concessioni d’asilo – principalmente dal nord e dall’ovest dell’Africa – abbiano ricevuto tali avvisi tra il settembre 2015 e il marzo scorso: dal ricevimento dell’avviso hanno sette giorni per lasciare l’Italia a proprie spese.

Secondo Fausto Melluso dell’Arci Palermo, questo provvedimento ha costretto molti migranti a entrare in clandestinità, ha detto in proposito: «Almeno il 90 percento non ricorre contro questa decisione: sono molti ora che devono nascondersi e arrangiarsi per sopravvivere». In Sicilia queste persone sono spesso sfruttate dalle organizzazioni criminali per lavori forzati nelle campagne o per il commercio della droga.

La rivendicazione del diritto a chiedere la protezione internazionale non è che il primo passo dell’interminabile processo d’asilo che implica richieste, rigetti e appelli che possono protrarsi fino a due anni, come spiega Melluso: «Le persone talvolta sono preda della depressione, quando vengono lasciate in questo modo nell’incertezza». È anche uno dei motivi che spiegano la saturazione del sistema di accoglienza italiano.

CAMBIARE LE COSE

In seguito a una campagna nazionale condotta da avvocati e attivisti che denunciavano le procedure, il ministero dell’Interno nel maggio scorso ha finalmente adottato nuove direttive. Ha stabilito chiaramente che tutti i migranti hanno il diritto di chiedere la protezione internazionale e di avere accesso alle informazioni in merito a tale diritto, indipendentemente dalla loro nazionalità.

Secondo le organizzazioni che operano con i migranti in Sicilia, il numero di espulsioni negli ultimi mesi è molto diminuito. Ma non è sparito completamente: Simon McMahon, ricercatore dell’Università di Coventry, che studia i sistemi dei centri di crisi nel sud Italia, ha segnalato di aver sentito dire da attivisti siciliani che i migranti continuano a ricevere gli avvisi. L’ottobre scorso ha incontrato alcuni migranti, trasferiti in centri di zone isolate prima che gli fossero recapitati gli avvisi di rimpatrio e ha riferito a Irin: «Queste ordinanze sono usate per far uscire le persone dai centri e fare posto ai nuovi arrivati. In effetti c’è una grande carenza di spazio».

Secondo McMahon, questa prassi è usata per rispondere a necessità di breve termine, ma rischia di causare problemi nei tempi lunghi. E aggiunge che è difficile valutare la portata del problema, in quanto c’è un ritardo tra l’emissione dei provvedimenti e la comunicazione tra i destinatari e gli organizzatori degli aiuti: «Si ignora se queste ordinanze siano decise su vasta scala, ma sembra che siano a livello discrezionale… In funzione della necessità del momento delle autorità».

Oxfam lavora attualmente in collaborazione con altri partner per accertare quanti migranti ricevono il rifiuto di ingresso. Secondo i responsabili dell’organizzazione, l’emissione di questi avvisi è in procinto di creare «una nuova categoria di persone invisibili».

Articolo in francese: De la fragilité du système d’asile italien

Traduzione di Francesca Saba

Il punto di vista di questo articolo è del suo autore e non riflette necessariamente quello di Epoch Times. 

 
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