La dittatura iraniana è al capolinea?

Di Ali Reza Jahan*

Tra gli iraniani fuggiti all’estero regna il cinismo quando si discute della possibilità di un cambiamento politico in Iran. Non è una novità ed è il risultato dei quaranta anni di dominio del regime islamico.

Gli iraniani sparsi per il mondo si augurano un cambiamento, ma hanno sviluppato la profonda sensazione che sia estremamente improbabile. Mentre i media forniscono resoconti e dati aggiornati, gli iraniani della diaspora si lanciano in dotte argomentazioni ed enfatizzano i trascorsi storici, per giungere puntualmente alla conclusione che non c’è nessun cambiamento concreto all’orizzonte.

Guardando o ascoltando le ultime notizie, alcuni iraniani danno lievi accenni di approvazione. Altri non sono per niente d’accordo. Altri ancora puntano il dito contro l’esperto di turno in Tv e, guardando parenti e amici, dicono «Ma chi è questo!?», e contestano le belle teorie del commentatore sulla base di esperienze (le proprie) accumulate nel corso di un’intera vita. Il cinismo annebbia le loro menti e la maggior parte dei loro discorsi sul tema, anche quelli più animati, terminano con un un mite e cordiale sorriso – o con un espressione astuta – e il pensiero che nulla cambierà.

Come biasimarli? La mente umana è abituata a vedere le cose in maniera binaria.

Il libro di Malcom Gladwell David and Goliath: Underdogs, Misfits, and the Art of Battling Giants (Davide e Golia: Perdenti, disadattati, e l’arte di battere i giganti), aiuta a comprendere quanto sia sbagliato fare assunzioni categoriche basandosi sulle dimensioni, sul retaggio, sulla storia o sulle proprie percezioni.

La società insegna che i più grandi vincono e che i più piccoli e deboli perdono sempre. Poi dopo aver visto il regime vincere sempre, anno dopo anno, diventa naturale credere che le cose andranno cosi per sempre. A quel punto, la ripetizione di questa dinamica non è più solo un insegnamento scolastico ma diventa un esperienza di vita.

Gladwell e altri hanno contribuito a mostrare l’erroneità di queste assunzioni. Ma sfortunatamente un simile modo di pensare sembra essere ancora preponderante quando si parla delle recenti proteste in Iran.
Alcuni parlano del potere del leader teocratico Ali Khmanenei e del ferreo controllo che esercita sul popolo iraniano grazie alla Guardia Rivoluzionaria, del lungo dominio del regime islamico, del crescente numero delle vittime e degli oltre mille arresti registrati sino a oggi. Oltre al blocco dei social network, inclusi Twitter, Telegram e altri. E sostengono che questi elementi erano presenti anche nelle precedenti proteste (compresa la più grande mai avvenuta sino a oggi: la sommossa post elettorale del 2009) e che tutte, alla fine, sono state represse dal regime, che è riuscito cosi a preservare il suo potere tirannico.

Tuttavia ci sono alcuni fattori senza precedenti nei disordini e nelle proteste scoppiate a Mashad il 28 dicembre 2017 e proseguite in oltre 80 città dell’Iran.

In prima battuta sono iniziate tutte spontaneamente, senza una guida politica. Bisogna poi considerare che oggi quasi tutta la popolazione iraniana possiede uno smartphone e ha accesso ai social network, mentre nel 2009 la situazione era diversa. Inoltre la tecnologia delle Vpn adoperata per aggirare il firewall del regime, (che impedisce agli iraniani di accedere, condividere o distribuire informazioni) è ormai ampiamente conosciuta e utilizzata dai cittadini.
E l’assoluta maggioranza del popolo iraniano considera il presidente ‘eletto’ Hassan Rouhani, in perfetta simbiosi con Khamenei (Guida Suprema dell’Iran) e con il regime stesso.

Ma, cambiando argomento, se si analizzano i fatti che hanno condotto al crollo di alcuni regimi si può osservare che non sono sempre stati una serie di eventi logici, precisi, guidati da forze interne o esterne: a volte è semplicemente accaduto, perché i tempi erano maturi.
Si prenda come esempio il crollo del Muro di Berlino: venne diffusa per errore una breve conferenza stampa del membro del Politburo, Günter Schabowski, che annunciava dei piccoli cambiamenti nella politica di gestione del muro-confine, ma le masse fraintesero il messaggio della comunicazione e presero d’assalto il Muro.
Un agente (veterano) della Stasi in servizio, fece una telefonata ai suoi superiori per chiedere istruzioni, mentre la pressione stava aumentando, e alla fine permise a un piccolo drappello di persone di passare dall’altra parte. Inaspettatamente questa piccola ‘breccia’ segnò il crollo del muro, e in poco tempo tutti poterono accedere liberamente alla Germania Ovest.

Naturalmente questi fatti sono solo un brevissimo riassunto, ma mostrano che un muro può cadere per un malinteso, quando la pressione raggiunge il limite. E a volte un regime tirannico, spinto dalla propria paranoia, può causare da solo il proprio collasso.

Tornando a Teheran, sembra che l’ex presidente integralista Mahmoud Ahmadinejad, la cui elezione aveva scatenato le grandi proteste del 2009, sia stato arrestato a inizio gennaio con l’improbabile accusa di aver fomentato le rivolte di dicembre. Siamo ai titoli di coda del regime islamico e dei suoi leader? Forse sì.

* L’autore ha scelto di adottare uno pseudonimo per evitare possibili ritorsioni da parte del regime islamico iraniano.

 

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di Epoch Times.

Articolo in inglese: The Closing Credits For the Goliaths of Tyranny in Tehran

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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