La dittatura cinese ‘riforma’ il Diritto marittimo

Il regime di Pechino sta lavorando da alcuni mesi per istituire due nuovi Tribunali internazionali di Diritto marittimo, che serviranno per convalidare l’interpretazione ‘cinese’ delle controversie marittime.
Questo è solo l’ultimo dei segnali che il regime dittatoriale cinese non rinuncia alle proprie ambizioni nel Mare Cinese del Sud, sebbene nel 2016 la Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia ne abbia già dichiarato illegittime le rivendicazioni.

Il 25 ottobre scorso, durante il Forum di Shanghai per la legislazione marittima internazionale, studiosi e funzionari cinesi hanno confermato l’intenzione di istituire due tribunali internazionali di Diritto marittimo per delineare la visione ‘cinese’ su questa materia. Le dichiarazioni dei funzionari e degli studiosi hanno fatto eco a un articolo pubblicato a giugno sul sito web ufficiale della Nuova via della Seta. L’articolo annunciava che gli esperti di Diritto erano al lavoro, per istituire un Centro internazionale di arbitrato marittimo, al fine di rendere la Cina «il centro dell’arbitrato e della giurisprudenza marittima internazionale».

Le ambizioni della Cina nel Mare Cinese del Sud hanno come base teorica la ‘linea dei nove punti’ (Nine-dash line), linea che è stata tracciata secondo l’interpretazione cinese della storia, ma che da lungo tempo viene contestata dalla maggior parte degli Stati limitrofi. Nell’ultimo decennio, la Cina si è impegnata in numerose opere di costruzione di isole artificiali, con annesse basi militari, nei pressi dell’atollo di Scarborough e in altri punti chiave del Mar Cinese Meridionale. Per questo motivo le Filippine, nel 2013, si sono rivolte alla Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia, per contrastare le azioni e le rivendicazioni del ‘regno di mezzo’, il quale però ha scelto di non presentarsi davanti alla Corte, e solo nel dicembre del 2014 ha inviato un documento ufficiale, dove chiarisce la sua posizione sulla controversia.

Al termine del processo, noto come Arbitrato sul Mar Cinese Meridionale, nel luglio del 2016 la Corte ha emesso un verdetto nettamente favorevole alle Filippine. Il Governo cinese ha reagito attaccando con veemenza la Corte Permanente di Arbitrato, e rifiutandosi di applicare la sentenza, sebbene abbia firmato la ‘Convenzione dell’Onu sul Diritto del mare’, e sia obbligato quindi dalle norme di Diritto internazionale ad adeguarsi alle decisioni della Corte.

Manifestanti anti-Cina davanti al Consolato cinese a Makati, Filippine, durante una protesta contro le rivendicazioni territoriali cinesi. (Dondi Tawatao/Getty Images)

È lecito pensare che proprio in seguito alla sentenza della Corte dell’Aia, la Cina abbia iniziato a progettare la creazione di una Corte internazionale alternativa, controllata dal proprio Governo: un’azione che avrebbe anche l’effetto di mettere in dubbio la legitimità degli istituti giuridici internazionali, come la Corte Permanente di Arbitrato.

La Cnn ha riferito per la prima volta nel marzo scorso, che la Corte Suprema del Popolo cinese aveva approvato l’idea di istituire un ‘Centro Marittimo Giudiziario Internazionale’, per far diventare la Cina una grande «potenza marittima». A giungo il progetto è stato modificato per includere anche un “Centro per l’Arbitrato Marittimo internazionale”, e sebbene non sia ancora chiaro quali saranno le differenze tra i due organi, di sicuro entrambi serviranno per dare più voce in capitolo alla Cina, nelle questioni che riguardano il Diritto marittimo internazionale.

Durante il forum del 25 ottobre, è stata citata una frase attribuita a Gu Chao, segretario generale della ‘Commisione cinese per l’arbitrato marittimo’: «il ‘Centro Marittimo Giudiziario Internazionale’ [cinese] e il ‘Centro per l’Arbitrato Marittimo internazionale’ si completeranno a vicenda nel loro operato e contribuiranno a rafforzare la posizione della Cina nell’arena internazionale».

I funzionari e gli studiosi di Diritto cinesi hanno anche affermato che, per completare con successo l’Iniziativa della Nuova Via della Seta, è fondamentale che la Cina assuma un ruolo centrale nell’ambito del Diritto internazionale. Lin Guoping, vicepresidente della Shanghai Law Society, ha dichiarato che in sostanza la Nuova Via della Seta non si limita a essere «una strategia per la crescita economica, ma è anche una strategia politica […] ed è intesa a far apparire la Cina come una super potenza, con uno Stato di diritto effettivo».

Tuttavia, è molto probabile che il piano della Cina per ridisegnare il Diritto marittimo internazionale a suo vantaggio, incontrerà forti resistenze, soprattutto da parte dei diretti interessati, come le Filippine. La ‘linea dei nove punti’, che è il fondamento delle rivendicazioni della Cina nel Mar Cinese Meridionale, è stata completamente respinta dalle Filippine e dalla maggior parte degli altri Paesi della regione, nonché dalla sentenza della Corte Permanente di Arbitrato del 2016.

Secondo John Burgess, direttore esecutivo del programma di Diritto internazionale presso la Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts Unviersity, se il governo cinese istituirà un proprio centro internazionale di arbitrato marittimo «nella migliore delle ipotesi sarà ridondante e inutile. Nella peggiore sarà un istituto di arbitrato sottomesso al governo cinese, che potrà deviare dalle procedure stabilite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto marittimo (Unclos). In questo caso genererà una serie di precedenti coerenti con la linea cinese del diritto marittimo, indebolendo così il sistema globale, neutrale e veramente internazionale garantito dall’Unclos».

 

Articolo in inglese: China to Create Its Own International Courts for Maritime Claims

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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