La Cina svaluta lo yuan solo per sostenere l’occupazione

La Cina si sta ‘affezionando’ ai panieri di valuta: dopo che il Fondo Monetario Internazionale ha aggiunto lo yuan al suo paniere di valute di riserva (i Diritti Speciali di Prelievo), le autorità cinesi hanno deciso di utilizzare un paniere anche per monitorare il tasso di cambio della moneta, piuttosto che servirsi del solo dollaro americano. Questo apre la porta a ulteriori svalutazioni della moneta cinese, volte solo a prevenire il dilagare della disoccupazione e non a favorire la crescita economica.

Fino al 2005 la Cina monitorava l’oscillazione del dollaro e in seguito la Banca popolare della Cina (Pboc) ha iniziato ad adottare una politica di fixing del prezzo più allentata, ma che ancora manteneva il tasso di cambio sotto stretto controllo. Nell’estate del 2015 la Pboc ha quasi abbandonato questa politica e ha svalutato lo yuan, con grande stupore del mercato. Da allora la moneta cinese ha perso gradualmente valore rispetto al dollaro americano, e in quel momento si è preparata a entrare nel paniere di valute.

In realtà l’indice ponderato del Pboc è un paniere vuoto, proprio come i Diritti Speciali di Prelievo: questo indice cinese fornisce, infatti, solo un riferimento del valore dello yuan rispetto alle valute dei suoi principali partner commerciali. In circostanze normali, questo non è certamente un dato degno di nota: l’indice del dollaro Usa è esattamente lo stesso e nessuno ha mai pensato che fosse strano.

Questi panieri aiutano i responsabili politici a determinare se la loro valuta sia sopravvalutata o svalutata rispetto ai principali partner commerciali. Ad esempio, lo yuan non è molto sopravvalutato rispetto al dollaro americano, ma rispetto ad altre valute sì. E anche il Chinese Foreign Exchange Trade System, che fa parte della Pboc e calcola appunto il paniere, ha dichiarato in un comunicato stampa: «il renminbi è una moneta relativamente forte tra le principali valute internazionali».

A proposito di questo, Mark Williams, capo economista di Capital Economics ha fatto un’importante considerazione: «a causa del rafforzamento del dollaro, il renminbi è aumentato significativamente di valore in termini ponderati. Eppure, ogni debolezza sostenuta dal renminbi rispetto al dollaro tende a essere interpretata come una ‘svalutazione’ e una causa scatenante delle preoccupazioni di mercato». Certamente la mini-svalutazione di agosto non ha raggiunto neppure il 3 per cento, ma i mercati finanziari di tutto il mondo sono andati in tilt alla fine del mese.

Dal momento che il Fmi ha aggiunto il renminbi nel suo paniere di valute di riserva, a partire dal 15 dicembre la Pboc ha consentito una svalutazione dello yuan per sette giorni consecutivi – la più grande svalutazione mai effettuata. E anche questo è stato preso in seria considerazione dai media e dai mercati finanziari. Inoltre lo yuan è sceso di un altro punto percentuale – rispetto al dollaro – dal 16 novembre, proprio nel giorno in cui era quasi sicuro che la Cina avrebbe ottenuto l’approvazione per l’inserimento nei Diritti Speciali di Prelievo.

Se la Cina vuole svalutare significativamente rispetto a tutti i principali partner commerciali, dovrà diminuire ancora di più il valore dello yuan nei confronti del dollaro, che attualmente costituisce solo il 26 per cento del paniere, e che sta aumentando di valore rispetto alle altre grandi valute come l’euro o lo yen, trascinando in questo modo lo yuan all’aumento.

E secondo Goldman Sachs, la Cina svaluterà ancora lo yuan: secondo una nota rilasciata dalla banca americana, dal momento che «le autorità hanno sempre richiamato l’attenzione del pubblico sui rendimenti del renminbi in base a un indice ponderato rispetto al semplice confronto con il dollaro americano, questo rafforza la probabilità di svalutazioni moderate rispetto al dollaro, se il forte dollaro statunitense continuerà a rafforzarsi».
In altre parole, secondo Goldman Sachs, questo dà Pechino una scusa per dire: «La nostra valuta è molto sopravvalutata e abbiamo bisogno di una svalutazione, soprattutto nei confronti del dollaro».

Anche gli analisti di Macquarie pensano che nel 2016 lo yuan potrebbe indebolirsi, e ipotizzano fino a un 5 per cento di svalutazione rispetto alla valuta statunitense. Tuttavia la maggior parte degli analisti ha motivo di credere che lo yuan sia attualmente sopravvalutato del 15-20 per cento su una base ponderata. Considerata la nuova situazione dei panieri, questo rende molto probabile una svalutazione ancora più grande contro il dollaro.

LE RAGIONI DELLA SVALUTAZIONE 

Il motivo per il quale la Cina ha intenzione di giustificare una forte svalutazione della sua moneta non solo nei confronti del dollaro, ma anche delle valute dei suoi principali partner commerciali, è da ricercarsi in diversi dati macroeconomici. Molti analisti credono infatti che la Cina svaluti lo yuan per rilanciare la crescita attraverso le esportazioni. «Erano al picco solo alcuni anni fa. Le loro esportazioni nette realizzavano l’8 per cento del Pil. Ma ora costituiscono solo un paio di punti percentuali», ha spiegato Richard Vague, autore del libro The Next Economic Disaster.
Anche secondo i dati rilasciati dalla Banca mondiale, la quota delle esportazioni totali rispetto al Pil è in calo al 22,6 per cento nel 2014, dal 25,5 per cento nel 2011. In realtà, le esportazioni nette contribuiscono molto poco alla crescita del Pil, ed è quindi improbabile che il gigante asiatico attui una politica di svalutazione per questo scopo.

Il commercio contribuisce ancora in modo significativo al lavoro in Cina: «la Cina ha tanti posti di lavoro rispetto ai profitti generati, ed è molto importante per il Governo mantenere quei posti», ha chiarito Wilbur Ross, investitore miliardario della società WL Ross & Co.

È particolarmente importante mantenere l’occupazione quando l’economia rallenta e il costo del lavoro diventa sempre meno competitivo. Da questo punto di vista, il 2015 è stato un completo disastro: «da gennaio a novembre 2015, le esportazioni cinesi di prodotti ad alta intensità di manodopera sono diminuite del 6 per cento su base annua, mentre le esportazioni dei prodotti hi-tech sono rimaste stagnanti. Le esportazioni di merci trasformate, che fanno affidamento su basso costo del lavoro, sono scese del 10 per cento, mentre le esportazioni ordinarie sono aumentate del 2 per cento», ha scritto la banca d’investimento Macquarie in una nota.

Stando a un rapporto della Bundesbank, il numero dei lavoratori cinesi occupati grazie alle esportazioni ammontava ancora a 80 milioni di persone nel 2009 (10,2 per cento dell’occupazione totale), in calo dai 99 milioni nel 2007 (12,9 per cento dell’occupazione totale). Il rapporto è stato pubblicato nel 2014 e i dati a partire dal 2009 sono un po’ datati, ma riflettono anche il calo dell’occupazione a causa della crisi finanziaria.
Secondo un rapporto della George Washington University, dopo la crisi finanziaria oltre 20 milioni di persone hanno perso il lavoro nelle zone costiere cinesi. Questa è la ragione principale per il quale la Cina ha iniziato il suo programma d’investimenti e di costruzione delle infrastrutture, che ha fornito lavoro, ma anche molta sovraccapacità produttiva. Le esportazioni sono aumentate subito per un paio d’anni, ma negli ultimi cinque mesi del 2015 sono nuovamente in calo.

Dal momento che la spesa per gli investimenti sta anch’essa rallentando, e nessun aumento dei consumi finora è giunto in soccorso, i politici cinesi hanno dei buoni motivi per essere preoccupati. «La Cina è diversa dalla Russia. In Russia, quando ci sono delle depressioni, i lavoratori si ubriacano. Ma in Cina si rivoltano e riversano il loro odio contro i dirigenti del Partito Comunista, che sono per lo più delinquenti e truffatori», osserva Woody Brock della Strategic Economic Decisions Inc., una società di consulenza e ricerca sugli investimenti.
Questo equivale a dire, secondo il China Labor Bulletin, che gli scioperi e le proteste nel 2015 stanno battendo tutti i record. E questo è il motivo per cui il regime sta attuando delle politiche di stimolo su tutti i fronti: mercato azionario, governi locali, spesa per investimenti e ora anche sulle esportazioni.

Secondo Gordon Chang, autore del libro The Coming Collapse of China [L’imminente collasso della Cina, ndt] questa politica di stimolo non funzionerà: «La base fondamentale della legittimità del Partito Comunista è stata la distribuzione costante della prosperità. […] Se quindi guardiamo a tutto quello che hanno cercato di fare in passato, hanno prodotto una crescita basata su questo tipo di espedienti. Ma ora non funziona più e questo è il motivo per cui sono realmente in pericolo. E ci sono sempre più proteste».


Articolo in inglese: ‘Employment Is the Reason for China’s Devaluation, Not Growth

 
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