Le riserve in dollari della Cina sono a rischio

Dopo il rallentamento dell’economia cinese e la svalutazione dello yuan, gli analisti si sono affrettati ad abbassare le loro stime sulla Cina. Solo i deflussi di capitali starebbero aumentando, con effetto sulle riserve in valuta estera.

Secondo alcune stime, l’importo totale dei deflussi è pari a 300 miliardi di dollari da giugno 2015. Inoltre, da agosto 2014, la Cina ha dovuto vendere quasi 400 miliardi di riserve valutarie in dollari per gestire i deflussi e stabilizzare il tasso di cambio. E non è tutto perché, secondo Barclays, questa cifra potrebbe raggiungere i 1.200 miliardi di dollari in uno «scenario di ribasso». La banca ha spiegato infatti in una nota che «in un tale scenario negativo potrebbe esserci pressione sulla banca centrale affinché procuri al mercato circa il 10-12 per cento del Pil in riserve [fino ad arrivare a 1.200 miliardi l’anno], per compensare sia il deflusso che le richieste di hedging [strategia d’investimento che riduce la volatilità di un portafoglio mediante l’utilizzo di alcuni strumenti derivati, ndt]».

Ma quello che è saltato agli occhi degli analisti è che, entro un anno, la Cina dovrà rimborsare buona parte dei 1.400 miliardi di dollari di debito estero. Questo porterà a un deflusso netto, giacché i soldi devono essere spostati all’estero per il rimborso. Inoltre, la maggior parte di questo debito è a breve termine, e i mutuatari dovranno ripagarlo al più presto. Le ragioni dell’aumento di questo debito in Cina sono legate anche all’andamento delle esportazioni. Difatti, nel corso degli ultimi anni il debito estero è aumentato, dato che le imprese cinesi hanno utilizzato i tassi d’interesse – a buon mercato e in dollari americani – per compensare la caduta delle esportazioni. Ma in seguito, considerato che le esportazioni sono diminuite negli ultimi anni, sono entrati meno dollari in Cina.

Secondo gli analisti, questa distensione è dovuta al famigerato carry trade, in cui, in questo caso specifico, gli speculatori hanno preso a prestito i dollari americani per finanziare le loro operazioni di trading in yuan, che di solito garantivano un rendimento più elevato. L’affare non era male: gli speculatori prendevano a prestito i dollari americani a tassi molto bassi, investivano il denaro in Cina con un guadagno garantito del 10 per cento, senza doversi preoccupare dell’inadempienza (proibita dalla politica) e del rischio di cambio (lo yuan è ancorato al dollaro).

Ma dopo le prime inadempienze in Cina, all’inizio del 2014, e una moneta non più esente da rischi (vedere la svalutazione di agosto), molti investitori del carry trade si sono spaventati, e si arrivati a questo punto.
«Considerate le crescenti incertezze che circondano le prospettive di crescita e il percorso della valuta della Cina, si è già verificato un rallentamento del ritmo di domanda per il carry trade dello yuan. Ogni futura liquidazione – considerato che s’intensificano i deflussi di capitale, che aumenta la volatilità dello yuan all’estero e che s’indebolisce la moneta – potrebbe causare l’aumento della domanda di dollari», hanno scritto gli analisti. Anche il recente rapporto del Beige Book della Cina supporta quest’ultima dichiarazione. Secondo la relazione, infatti, sia le rendite sui prestiti bancari che le obbligazioni nazionali sono calate drasticamente, indicando un allentamento monetario interno e una valuta più debole.

Se la Cina arriverà a vendere 1.200 miliardi di dollari della sua residua scorta di riserva su un totale di 3.500 miliardi di dollari (un terzo dei quali è costituita da Buoni del Tesoro), per gli Stati Uniti questo potrebbe significare dei tassi d’interesse decisamente più elevati. Naturalmente la Cina potrebbe anche permettere che la sua moneta perda il 20 per cento e mantenere le riserve, tuttavia sembra non essere ancora pronta per questa azione di libero mercato.

Articolo in inglese: ‘China May Have to Sell $1.2 Trillion in Reserves Every Year

 
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