La Cina è più povera di quanto sembri

Nel 2014 il Pil della Cina supererà quello degli Usa con 13 miliardi e 750 milioni di euro contro 13 miliardi e seicento milioni, lo ha annunciato il Fondo Monetario Internazionale sulla base dei calcoli della parità dei poteri d’acquisto (Ppp).

Queste stime «non si avvicinano nemmeno [alla realtà, ndt]», hanno commentato esperti cinesi. Perciò i media hanno rilasciato speciali resoconti in cui hanno dichiarato: «sebbene l’economia cinese sia stata definita la ‘numero uno’, il Pil pro capite del Paese è di cinquanta anni in ritardo (rispetto al Pil pro capite degli Usa)». I resoconti cinesi dicevano che stavano «rettificando gli equivoci».

La Cina ha rifiutato il titolo di ‘numero uno’ perchè conosce il suo stato reale.

Il 30 aprile, la Banca Mondiale ha pubblicato un resoconto in cui preannunciava l’ascesa della Cina a potenza economica ‘numero uno’ al mondo. Comunque la Cina ha rifiutato questo titolo e in questo modo Pechino ha dimostrato di conoscere le infinite contraffazioni dei dati statistici del Paese.

In realtà, il calcolo del Prodotto interno lordo (Pil) non corrisponde alla forza economica: primo, anche se il Pil totale è alto, quello pro capite è basso; secondo, l’eccessivadisparità tra ricchi e poveri provoca una polarizzazione dei modelli di consumo delle famiglie e colpisce negativamente la domanda interna, una forza fondamentale per stimolare lo sviluppo economico di un Paese; terzo le risorse naturali sono il fondamento primario per lo sviluppo sostenibile di un Paese, ma la Cina deve fare troppo affidamento su fonti esterne.

VIVERE IN POVERTÀ

Nel 2013, un totale di 16 Paesi nel mondo aveva il Pil superiore a un miliardo di dollari (780 milioni di euro circa). Gli Stati Uniti avevano un Pil di circa 12 miliardi e 650 milioni di euro, il più elevato al mondo. La Cina, al secondo posto,ha registrato un Pil di oltre sette miliardi di euro e ha superato nettamente i quasi quattro miliardi e settecento milioni di euro del Giappone .

Tuttavia, gli Stati Uniti sono undicesimi per Pil procapite con circa 40 mila euro, mentre la Cina è ottantaseiesima con poco meno di 5.200 euro.

Poiché in Cina la ricchezza è troppo concentrata su pochi eletti, il Pil pro capite non può dimostrare il reddito standard della grande maggioranza del popolo cinese, così come il Pil totale non può dimostrare il potere economico della Cina.

Nel luglio di quest’anno, l’Istituto per lo Studio delle Scienze sociali dell’Università di Pechino ha emesso la «Relazione del 2014 sullo sviluppo dei mezzi di sussistenza popolare in Cina». Secondo il rapporto, nel 2012 il coefficiente di Gini (una misura della dispersione statistica in cui lo zero rappresenta l’uguaglianza assoluta e l’uno rappresenta la disuguaglianza assoluta) del patrimonio netto delle famiglie cinesi ha raggiunto lo 0,73.

L’1 per cento delle famiglie di rango più alto possiedono un terzo del patrimonio della Cina, mentre il 25 per cento dei nuclei familiari più poveri possiedono circa l’1 per cento del patrimonio totale del Paese.

Un’altra serie di dati confermano l’eccesso di concentratazione della ricchezza della Cina. Secondo il ‘Wealth-X and Ubs Billionaire Census 2014’, in Cina 152 persone hanno un patrimonio netto superiore a un miliardo di dollari (780 milioni di euro circa), seconde solo agli Stati Uniti .

Tuttavia la realtà in Cina è crudele: a un’estremità ci sono i miliardari che occupano il secondo posto nella classifica mondiale, dall’altra estremità ci sono duecento milioni di persone povere che spendono in media un dollaro al giorno (80 centesimi di euro circa) e 468 milioni di persone che ne spendono meno di due.

Il rapporto dell’Università di Pechino divide i modelli di consumo cinesi in cinque categorie: il tipo povero e malato, la formica, la lumaca, il prudente e sicuro, e il tipo in cerca del piacere.

Riguardo alla distribuzione in Cina, si nota come la grande maggioranza occupa l’estremità composta da famiglie cinesi della categoria che reprime i consumi (tipo formica) e da quelli con pesanti oneri economici dovuti alle cure mediche, all’istruzione e all’alloggio (tipo di lumaca e la categoria dei poveri e malati).

D’altra parte, alcuni nuclei familiari vivono nell’abbondanza (il tipo in cerca del piacere). Tra la città e la campagna c’è un enorme discrepanza nei livelli dei consumi: le aree rurali hanno una maggioranza di famiglie del genere povero e malato, a differenza delle città e dei paesi con una prevalenza del tipo in cerca del piacere o del tipo prudente e sicuro.

LA DOMANDA INTERNA

Da molto tempo in Cina, la crescita economica si affida alla ‘troika’ del commercio estero, degli investimenti e della domanda interna.

Allo stato attuale, la Cina è in procinto di perdere il suo status di fabbrica del mondo. Il commercio estero soffre gravemente e sebbene di tanto in tanto si rianimi di nuovo, la tendenza a lungo termine è a calare.

Gli investimenti derivano da tre aree: il governo (incluse le imprese di proprietà del regime), il settore privato e le fonti straniere. Gli investimenti pubblici sono in calo così come quelli degli imprenditori stranieri verso la Cina.

In Cina per trasferire i capitali all’estero, i ricchi utilizzano conti di carte di credito, istituti bancari all’estero e investimenti esteri, rendendo del tutto inutili le restrizioni sullo scambio massimo di valuta. Il continuo fluire di capitale fuori della Cina, ha costretto il governo cinese ad avviare, nel mese di luglio, un piano per combattere il riciclaggio di denaro.

Della ‘troika’, rimane solo il sistema della domanda interna. L’inadeguatezza dei tassi di consumo della Cina è stata un problema a lungo termine. Secondo le statistiche ufficiali, negli ultimi anni la spesa per consumi delle famiglie rappresenta solo il 48 per cento del Pil della Cina. È di gran lunga inferiore all’80 per cento della media mondiale, ma è inferiore anche al 60 per cento della Cina di vent’anni fa.

Nel 2013, i ricercatori cinesi hanno suggerito che il tasso di consumo della Cina è stato sottostimato. Infatti, i numeri non hanno tenuto conto dei consumi delle abitazioni: ovvero una rilevante somma di denaro incluso l’affitto, i costi di manutenzione e bollette del gas, dell’elettricità, dell’acqua. Questa teoria lo spiega.

Indipendentemente dal fatto che le spese per l’alloggio siano o no incluse nei tassi di consumo, è ancora difficile alterare la realtà che in Cina i modelli di consumo delle famiglie sono altamente polarizzati e che queste spese supplementari non vadano a incrementare la domanda interna.

Qualunque mercato non può sicuramente prosperare se fa affidamento solo sul sostegno del governo e dei ricchi. Ad esempio, il mercato cinese immobiliare dipende completamente dal sostegno di questi due settori ed è completamente indipendente dalle reali capacità di spesa e di domanda del popolo cinese, e alla fine questo ha creato una considerevole bolla economica.

La produzione e la distribuzione di un Paese sono come le ruote anteriori e posteriori di una vettura. La produzione determina la quantità dell’offerta e la distribuzione decide l’entità della domanda. Il fatto di avere una maggiore offerta rispetto alla domanda può essere paragonato a una automobile con solo le sue ruote anteriori sterzanti e che quindi non può viaggiare correttamente.

In modo simile, in una società con gravi disparità di distribuzione si presenteranno vari tipi di intensi conflitti e di anomalie. Persino se questa società gode di prosperità economica a breve termine, gli resterà difficile preservarla.

POVERA DI RISORSE NATURALI

Il governo cinese continua a promuovere l’idea delle ‘tre fiducie in se stesso’: nel sistema politico cinese, nella linea del Partito e nella teoria del Partito. Tuttavia per quanto riguarda la carenza di risorse naturali, il governo è relativamente lucido e consapevole della propria situazione.

La quantità di risorse energetiche pro capite è bassa, con la quantità di fonti energetiche quali carbone e acqua, e di petrolio e gas naturale pro capite che raggiungono rispettivamente soltanto il 50 per cento e il 7 per cento del livello medio mondiale. Inoltre, la quantità di terra arabile pro capite è solo il 30 per cento della media mondiale.

Adesso il governo cinese ammette la crisi ecologica e la forte tendenza al peggioramento dell’inquinamento di acqua, terra e aria. Ad esempio, 349 milioni di mu di terreno (circa 232.678 milioni di metri quadrati) che rappresentano il 19,4 per cento delle terre coltivabili della Cina, sono stati gravemente inquinati.

Considerando che la quantità di acqua disponibile è insufficiente e che anche il suo livello di contaminazione è elevato, la mancanza di risorse idriche ha parimenti posto un problema critico. Inoltre secondo la valutazione del Carico globale di malattia (Gbd) del 2010, l’inquinamento atmosferico ha causato la morte prematura di un milione e 200 mila persone, quasi il 40 per cento del totale mondiale.

Il governo cinese è certamente al corrente di questi fatti: l’autosufficienza della Cina nella produzione alimentare è scesa a un tasso dell’86 per cento, con il Paese che importa grandi quantità di riso, grano e mais. La Cina fa affidamento sulle importazioni per gran parte della sua energia e dei minerali, e dipende per almeno il 50 per cento da tecnologie estere (la dipendenza dalla tecnologia estera per gli Stati Uniti e il Giappone è appena il 5 per cento).

Questo sistema economico è estremamente debole perché dipende dal mercato internazionale per i mezzi di produzione e di sussistenza. Qualsiasi variazione nella situazione politica internazionale pregiudicherebbe la fornitura e i prezzi nel mercato cinese.

Per esempio per quanto riguarda l’utilizzo del petrolio, il cosiddetto ‘sangue dell’economia moderna’, la Cina dipende dalle importazioni, principalmente dal Medio Oriente, America Latina, Africa, Russia e da altre parti, per quasi il 65 per cento.

Il Medio Oriente e l’Africa sono entrambi classificati come regioni politicamente altamente instabili. L’acquisizione di energia da parte della Cina significa per lei essere facilmente influenzata dai cambiamenti politici.

Negli ultimi dieci anni, la Cina ha fatto delle operazioni di acquisto di azioni e di società una strategia importante negli investimenti esteri. Attualmente a causa dei cambiamenti nella situazione politica di quei Paesi esteri, molti di questi investimenti si sono resi vani.

Ad esempio, la Cina ha investito in Libia circa 16 miliardi di euro, tuttavia questo investimento si è rivelato inutile a causa della Primavera araba del 2011. La Cina ha anche investito sostanziosi importi in Sudan, tuttavia a causa dei feroci scontri politici nel Paese ha dovuto inviare un esercito di settecento truppe per proteggere il suo patrimonio all’estero.

Per più della metà del secolo scorso gli Stati Uniti hanno fornito la sicurezza pubblica per l’ordine internazionale, mentre la Cina e la maggior parte del resto del mondo hanno beneficiato di questa situazione. In futuro probabilmente la Cina, dal momento che la politica estera degli Usa è cambiata, per proteggere i suoi investimenti all’estero dovrà contare maggiormente su se stessa.

La Cina si sente insoddisfatta del suo titolo illusorio di numero uno e questo perché Pechino è consapevole di essere stata incoronata come prima potenza economica del mondo mentre in realtà è solo ‘dorata in superficie, ma scadente e in rovina al suo interno’.

Tuttavia dopo aver esaminato come questo titolo ha avuto origine, la Cina non può incolpare la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, perché i dati annacquati sono stati forniti dall’Ufficio nazionale di Statistiche della Cina (Nbs). Per quanto riguarda il governo cinese, piuttosto che lamentarsi dello status di ‘numero uno’, sarebbe meglio che eliminasse il vizio di falsificare i dati statistici.

Pubblicato originariamente su Voice of America.

He Qinglian è un autrice ed economista cinese di primo piano. Attualmente vive negli Stati Uniti, ha scritto ‘China pitfalls’, che tratta la corruzione nella riforma economica cinese degli anni 90, e ‘The fog of censorship: Media control in Cina’, che affronta il tema della manipolazione e del controllo della stampa.

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non rispecchiano necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Articolo in inglese: China Is Poorer Than It Appears

 
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