La Cina affronta «la crisi del debito interno». Intervista all’economista Carmen Reinhart

Solitamente un economista non è una celebrità, ma Carmen Reinhart rappresenta un’eccezione, dopo aver pubblicato nel 2009 il libro Questa volta è diverso.

«Carmen Reinhart e Ken Rogoff sono stati vicini allo status di celebrità come un economista non potrà mai», aveva scritto il professor Randall Wray.

Il motivo di quest’insolita attenzione è da ricercarsi nella frase finale del loro libro, che è stata confermata dai fatti: sebbene le persone di oggi possano sostenere che ‘questa volta è diverso’, le crisi finanziarie seguono modelli storici. La Reinhart e il suo co-autore Kenneth Rogoff hanno analizzato questi modelli in oltre 800 anni di Storia, scoprendo che quando arriva una crisi, non è molto diversa rispetto alla precedente. Sei anni dopo la pubblicazione di questo libro, Carmen Reinhart, professoressa di Sistema finanziario internazionale ad Harvard, vede nuovamente i segnali della crisi.

Epoch Times l’ha intervistata sul perché la Cina sia, nello stesso tempo, differente e non differente, sulla crisi persistente nei mercati emergenti, sul Fondo Monetario Internazionale, e sui più alti tassi d’interesse statunitensi.

Che tipo di scenari vede per la Cina?

«Anche in uno scenario buono l’economia cinese sta rallentando, ma non sta implodendo. Senza farne un dramma, un cambiamento dagli investimenti ai consumi può significare che molti dei piani d’investimenti esteri diretti nei mercati – che li perseguono in modo così aggressivo, in particolare quelli riguardanti l’incremento di forniture di materie prime emergenti – non sono più una priorità. Qualunque cosa accada in Cina ha ripercussioni nel resto del mondo. Credo che le ripercussioni più marcate non si stiano ripercuotendo in Europa, e neanche tanto negli Stati Uniti, ma nei mercati emergenti».

Nel suo libro analizza il profilo del debito dei Paesi, al fine di prevedere le crisi finanziarie. Come appare il profilo della Cina?

«Se si guarda alla Cina, il suo debito estero calcolato era estremamente basso. Ma esiste un settore bancario ‘ombra’ in cui le imprese che avevano accesso ai mercati finanziari internazionali sono entrate nel business dei prestiti per le imprese più piccole, ossia quelle imprese nazionali che non hanno accesso ai mercati internazionali dei capitali. Questo significa che esiste un’intera porzione di debito al di fuori del settore bancario che potrebbe anche introdurre un elemento di disallineamento di valuta, in uno scenario di cui ancora non conosciamo il quadro della situazione. Pertanto, essenzialmente ci sono da medie a piccole imprese, che si trovano in una zona di scarsità d’affari, che non hanno entrate dirette e una valuta forte, ma che hanno acquisito il debito in valuta forte. Nel corso degli ultimi due anni [la Banca dei Regolamenti Internazionali, ndr] ha scritto di questo e sta cercando di quantificare il problema. A mio avviso però, credo che la più grande preoccupazione per la Cina non sia il debito estero, ma il debito interno».

Quindi la Cina è diversa?

«Assolutamente sì, ed è parte della storia. Ognuno è diverso, ogni crisi è diversa. Il problema è che non è tutte le crisi sono uguali e non tutti i Paesi sono uguali, non esiste quindi una ricetta. È come una malattia: se dieci persone diverse hanno la stessa malattia, tenderanno a mostrare alcuni sintomi comuni. Ovviamente la tipologia varia se si hanno 70 anni o 10, qual è il proprio stato di salute e così via, ma esistono sintomi comuni.

I debiti interni della Cina sono in larga misura un grande mistero. E questo non vale solo per me, sono un mistero in generale. Allora cosa sappiamo e cosa non sappiamo? Per esempio, se si dà uno sguardo al credito interno, questa è davvero l’attività delle banche; c’è qualcosa che non quadra, ma riportano i dati al Fondo Monetario Internazionale – quei dati sul credito interno mostrano un aumento del credito negli ultimi dieci anni. Davvero un grande boom del credito. Se si guarda al debito pubblico, il debito interno si avvia a diventare sempre più nebuloso, poiché i dati del debito interno sono molto più difficili da reperire. Anche quelli sul debito pubblico federale sono difficili da trovare. Tecnicamente questi debiti non sarebbero dovuti esistere, ma sappiamo tutti che le province [della Cina, ndt] tramite terze parti e le operazioni nel settore immobiliare concedevano molti prestiti, durante il boom immobiliare e delle infrastrutture. Molti di quei debiti erano di breve durata e i tassi d’interesse abbastanza alti. Quando si è in rapida crescita e tutto va a gonfie vele, si fanno le cose in grande: non ci si preoccupa degli alti tassi d’interesse e non ci si preoccupa del fatto che siano a breve termine, poiché il prestatore vede che tutto va bene ed è disposto a estenderlo.

Quando invece le cose iniziano a rallentare, alcuni progetti iniziano ad andare male e diventa evidente che i progetti non stanno diventando redditizi, allora il debito a breve termine diventa un problema reale. Anche se sono disposti a estenderlo, lo fanno a un tasso molto alto. Stanno cercando di consolidare molti debiti delle provincie cinesi, che si potrebbero definire debiti  fluttuanti: debiti a breve termine e ad alto rendimento. Stanno cercando di creare o di razionalizzare un mercato interno, stanno cercando di allungare le scadenze. In altre parole, stanno tentando di ristrutturare i debiti nazionali: allungando le scadenze, tagliando i tassi d’interesse su questi debiti e forse anche cancellando quelli che sembrano irrecuperabili. Questa è una grande sfida.

Di solito la crisi bancaria e la crisi valutaria vanno di pari passo, quando il settore bancario in particolare, ma non solo, presenta molto debito estero. Questo non è il caso della Cina. In Cina il problema del debito è molto più di un problema interno, ma questo non significa che non si possa avere una forte crisi del debito interno, anzi, si stanno muovendo nella direzione di una ristrutturazione di quello che è assolutamente necessario». 

Ci sono delle somiglianze con il Giappone?

«Cioè se Cina è un caso completamente diverso? La crisi bancaria del Giappone, che ha avuto inizio nei primi anni 90, non era una crisi esterna. A quel tempo il Giappone non aveva – come non ha ora – il debito estero di cui si parla. Il Giappone aveva molto debito interno connesso al boom del mercato azionario Nikkei, a sua volta in relazione con il boom dei prezzi immobiliari in Giappone. Perciò presentava una notevole crisi interna. Questo è davvero quello di cui stiamo parlando nel contesto della Cina. Osservando la maggior parte degli indicatori, credo che stiamo assistendo alla più grande fuga di capitali dalla Cina.

Il Giappone ha avuto un notevole rallentamento dell’attività economica. Ha sperimentato una correzione enorme dell’indice Nikkei e dei prezzi immobiliari, ed è entrato in una fase di crescita molto più lenta. Tuttavia, nessuno di questi fattori è stato associato a un collasso dello Yen: lo Yen non è crollato. In realtà, nel tempo lo Yen è aumentato di valore di diversi punti percentuali, poiché il problema dei prestiti esterni non lo toccava. 

Se si è un Paese che ha preso in prestito del denaro nella propria valuta e il debito è detenuto dalle istituzioni locali, il governo ha molta più influenza sul debito degli abitanti che stanno detenendo il debito.  Prima di tutto, si può, in una certa misura, ridurre il debito ricorrendo all’inflazione. In secondo luogo, si può certamente avere molta più influenza su come regolare il sistema finanziario per far loro detenere il debito, affinché lo ristrutturino. Quindi, in altre parole, il Governo ha molto più peso quando il debito è detenuto dai cittadini, rispetto a quando è detenuto da non residenti. La Grecia è in una situazione in cui il suo debito attualmente è detenuto dalle istituzioni ufficiali che si trovano al di fuori del controllo del governo greco».

Cosa ne pensa del cambiamento di tendenza dei flussi di capitale?

«Nel periodo in cui la scommessa era unidirezionale, la tendenza per il renminbi era di aumentare di valore; chiaramente questo non sta accadendo. Piuttosto si sta verificando un cambiamento nei flussi di capitali e difatti il cambiamento ha anche accelerato gli acquisti degli immobili a Londra, a Boston e a New York. Si può notare che non sono solo buoni del Tesoro e questo si osserva in Cina e in Russia. Si è passati attraverso un periodo in cui c’era questa moneta a senso unico – una moneta che stava aumentando di valore mentre i capitali stavano affluendo – che ha fatto retromarcia. Avere un periodo in cui i propri abitanti vogliono diversificare, non è lo stesso che avere una crisi del debito estero.

Così il vento è cambiato. Una volta che il boom immobiliare è cominciato a diminuire, si sono verificate due cose: una è stata che alcuni hanno investito nel mercato azionario e hanno visto il grande boom di azionario cinese; l’altra è che questo sembra essere un periodo in cui si è interrotto l’accumulo di riserva e si inizia a notare un calo. Si cominciano a vedere alcuni elementi nelle quote dei portafogli lontani dalla Cina». 

Che cosa può fare il regime cinese?

«Se nelle provincie si hanno tutti questi crediti in sofferenza da ristrutturare e ci si attiva per ristrutturarli equamente (in modo piuttosto aggressivo e abbastanza rapidamente), si avrà un recupero molto più veloce rispetto a quello del Giappone e della maggior parte dell’Europa, ossia tagli e rifiuto delle ristrutturazioni. Al contrario, facendo l’esempio dell’Islanda e dell’Irlanda, l’Islanda è stata molto più aggressiva nelle svalutazioni dei debiti privati. Ora, in Cina resta da vedere […] Abbiamo a che fare con una zona estremamente opaca. Non è come quello che si può dire sull’Islanda o sull’Irlanda, dove effettivamente conoscevamo i numeri. Siccome il debito è interno, sono propensa a credere che avranno, rispetto al Giappone e all’Europa, minori restrizioni e che si muoveranno in modo più aggressivo.

Ora, mi lasci dire qualcosa in un contesto storico. Il fatto che abbiano intenzione di continuare a crescere come stavano crescendo, mi rende davvero ottimista? No. Penso che, guardando agli Stati Uniti quando stavano ottenendo il predominio nell’economia mondiale, esistano grandi cicli.

Ci sono stati decenni grandiosi e anche alcuni piuttosto scarsi. Gli anni 70 del 1800 furono realmente sfavorevoli. Gli anni 90 del 1800 anch’essi furono piuttosto sfavorevoli. Ritengo che il motivo per il quale i mercati sono stati così scossi, sia dovuto al fatto che credevano che i Cinesi in qualche modo s’impadronissero dell’economia. Questo significa che la differenza di sviluppo è stata pari a zero. C’è già stata una fase di espansione eccezionale. Credo che nei prossimi anni ci sarà una recessione in quel ciclo».

Articolo in inglese: ‘ This Time Is Not Different: China Faces ‘Internal Debt Crisis’— Carmen Reinhart

 
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