La Cina contro gli investimenti all’estero

Dopo un 2016 da record per la fuga di capitali all’estero, la Cina quest’anno intende cambiare passo; e sembra ci stia riuscendo: le riserve di valuta estera sono aumentate per quattro mesi consecutivi fino a maggio, quando i capitali in entrata hanno superato quelli in uscita, e gli investimenti diretti all’estero sono diminuiti di almeno il 46 per cento durante i primi 6 mesi del 2017, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Pechino sta utilizzando un approccio basato su più metodi per arginare il flusso di capitali all’estero: gli enti di vigilanza, per esempio, hanno posto restrizioni alle attività di raccolta fondi delle compagnie assicurative, una fonte principale delle recenti acquisizioni estere. A fine giugno, inoltre, la Commissione di Vigilanza Bancaria della Cina (Cbrc) ha chiesto alle banche di controllare la loro esposizione a vari conglomerati con attività all’estero, tra cui il Wanda Group di Dalian. E, di recente, le entità di vigilanza stanno applicando regole più severe prima di approvare investimenti stranieri; inoltre i media statali vengono usati per denunciare chi viola le regole.

La Cina sta prendendo soprattutto di mira i cosiddetti ‘trasferimenti di asset’ ovvero l’acquisto di asset stranieri con scarso o inesistente potenziale di ritorno economico. Questi acquisti, agli occhi delle autorità di vigilanza, sono solo un modo per spostare o riciclare fondi all’estero.

Luciano Spalletti, allenatore dell’Inter, ad una conferenza stampa a Nanchino, nella provincia del Jiangsu, il 23 luglio. A giugno il club ha annunciato che sarebbe stato acquisito dalla Suning (STR/AFP/GETTY IMAGES)

«La Cina – dichiara Wang Chunying, portavoce dell’Amministrazione Statale degli Scambi Esteri (Asse), secondo Caixin, rivista di finanza cinese – continuerà a incoraggiare solo gli investimenti esteri genuini e rispettosi delle regole, attuati da compagnie competenti in ambito finanziario». L’Asse è l’ente di vigilanza cinese per gli scambi esteri.
Leggendo tra le righe, è chiaro che le entità di vigilanza ritengono che alcuni acquisti stranieri di alto profilo, avvenuti in tempi recenti, siano stati sostenuti da finanziamenti di dubbia natura; inoltre la qualità di questi asset solleva non poche domande.

L’UTILIZZO DEI MEDIA

Pechino ha anche utilizzato i media di Stato per criticare la recente ondata di acquisizioni straniere di alto profilo da parte delle compagnie cinesi: negli articoli e nei servizi, vari studiosi e esperti di finanza hanno messo pubblicamente in dubbio le motivazioni dietro questo genere di affari.

Durante un programma della China Central Television (Cctv) del 18 luglio, il presentatore ha chiesto perché un rivenditore di elettrodomestici cinese poco noto si comprerebbe l’Inter, considerato anche che il club ha perso soldi per gli ultimi 5 anni: «Alcune compagnie sono già parecchio indebitate in casa, eppure spendono a iosa con i prestiti bancari all’estero – ha affermato Yin Zhongli, ricercatore dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali durante il programma della Cctv, secondo il South China Morning Post – Penso che molti affari per gli acquisti all’estero abbiano scarse probabilità di generare flussi di capitale e non posso escludere la possibilità del riciclaggio di denaro». L’Accademia Cinese delle Scienze Sociali è affiliata al Consiglio di Stato cinese.

Le azioni in Borsa di Suning, società di elettrodomestici che ha comprato l’Inter, sono cadute immediatamente dopo il programma della Cctv. Yin Zhongli, il ricercatore, ha poi chiarito che non intendeva riferirsi a Suning in particolare, ma stava commentando in generale sulle aziende cinesi che comprano asset all’estero.

FRENARE GLI AFFARI

Wang, portavoce di Asse, ha affermato che l’entità di vigilanza si concentrerà sugli acquisiti esteri riguardanti immobili, alberghi, intrattenimento, cinema e club sportivi. I settori non sono casuali: sono stati i principali obiettivi degli uomini d’affari cinesi durante l’ultima ondata di acquisti.

L’Ente di vigilanza bancaria cinese ha di recente chiesto alle banche di esaminare la loro esposizione a vari conglomerati cinesi, tra cui il gruppo assicurativo Anbang, il Wanda Group di Dalian, l’Hna Group, il Fosun International Ltd e il Rossoneri Sport Investement Lux, che ha acquistato il Milan ad aprile.

Gli immobili e gli hotel all’estero sono obiettivi frequenti del gruppo assicurativo Anbang e del conglomerato Hna, mentre gli studi cinematografici di Hollywood e i cinema hanno ricevuto enormi investimenti dal costruttore Wanda.

Anche la proprietà di club sportivi stranieri ha attirato i controlli delle autorità di vigilanza cinesi. La proposta originale di Rossoneri per l’acquisto del Milan era quasi decaduta dopo i suoi numerosi rinvii dovuti alla mancanza di volontà da Pechino di approvare la fuoriuscita di certi fondi dalla Cina. L’accordo si è poi concluso ad aprile dopo che il fondo speculativo Elliot Management, dell’investitore miliardario Paul Singer ha fornito parte del finanziamento. Oltre alle due squadre italiane, le compagnie cinesi possiedono parte dell’inglese Aston Villa, dell’Atletico Madrid e della francese Ogc Nice.

Wu Xiaohui, presidente di Anbang, è stato incarcerato dalle autorità cinesi a giugno. Anbang è stata tra le più attive negli affari con l’estero negli ultimi tre anni. Ha la proprietà dell’hotel Waldorf Astoria a Manhattan e di Strategic Hotels & Resorts con sede a Chicago. Nel 2016, Anbang aveva anche cercato – fallendo – di acquisire Starwood Hotels & Resorts Worldwide.

Si ritiene che Wu sia un alleato stretto dell’influente fazione politica guidata dall’ex leader del Pcc Jiang Zemin che si oppone alla leadership di Xi Jinping, l’attuale capo del Partito. Jiang è stato il leader assoluto della Cina per più di 12 anni (1989-2002) e ha continuato a conservare il proprio potere sul regime cinese tramite i suoi alleati per altri 10 anni (2002-2012). Da quando però Xi Jinping è salito al potere nel 2012, il nuovo leader ha ingaggiato una guerra senza sosta per sradicare l’influenza di Jiang e della sua fazione.

A giugno delle fonti vicine a Zhongnanhai, quartier generale del Partito Comunista Cinese, hanno riferito a Epoch Times che Wu è uno dei «guanti bianchi», ovvero dei riciclatori di denaro, che operano per la fazione politica di Jiang e per la famiglia di Zeng Qinghong, l’ex vice presidente cinese e da tempo braccio destro di Jiang.

HNA E LE BANCHE AMERICANE

L’Hna, anch’essa attiva negli acquisti all’estero, potrebbe ritrovarsi in una situazione di isolamento, a causa di come è vista da esperti e da importanti banche di Wall Street.

La scorsa settimana, Bank of America ha chiesto ai suoi banchieri di smettere di collaborare con il Gruppo Hna e i suoi enti affiliati per le transazioni future, a causa di preoccupazioni sui livelli di debiti del gruppo e sulla sua struttura di proprietà poco trasparente, secondo un articolo di Bloomberg, che riferiva anche che molte altre banche, tra cui Morgan Stanley e Citigroup avevano dato simili direttive al loro personale. Una fonte in una importante banca di Wall Street ha confermato l’esattezza dell’articolo di Bloomberg.

Attualmente, Hna sta per chiudere l’acquisto di una quota di maggioranza nel fondo speculativo SkyBridge Capital. Il fondatore e co-manager di SkyBridge è Anthony Scaramucci, che è stato per breve tempo a capo della comunicazione per Donald Trump.

Prima che i banchieri possano condurre affari con potenziali clienti è richiesta l’approvazione dei ‘compliance department’ bancari: un processo noto nel mondo anglosassone come Kyc (know your client), che serve a esaminare il merito di credito del cliente, i suoi risultati precedenti e la struttura della proprietà. Secondo l’articolo, Citigroup e Morgan Stanley hanno avuto difficoltà a ottenere sufficiente chiarezza sulle fonti di finanziamento di Hna e sulla struttura proprietaria della sua società.

Similmente ad altri conglomerati cinesi, Hna ha una filiale nella borsa di Hong Kong, ovvero l’Hna Holding Group Co. Ltd., di proprietà di un’altra compagnia assolutamente poco trasparente a livello di proprietà.
La struttura completa di Hna è infatti costituita da una complessa rete di fondi di investimento, agenzie dei governi locali e provinciali e di piccole iniziative imprenditoriali.

Sono tuttavia 13 gli individui che realmente controllano il 76 per cento della compagnia, mediante aziende intermediarie.

Chen Feng, la faccia pubblica della compagnia, controlla il 15 per cento di Hna e ha legami con l’ex candidato alla presidenza degli Usa Jeb Bush e con l’investitore americano George Soros. La persona che detiene la maggiore quota proprietaria è Guan Jun (29 per cento), il quale non svolge alcuna mansione per la compagnia ed è relativamente ignoto. Secondo il Financial Times, gli indirizzi che fanno riferimento a Guan in vari documenti pubblici includono un salone di bellezza poco importante nella parte occidentale di Pechino, un ufficio qualunque sempre a Pechino e un altro appartamento nella zona sud-ovest della capitale.

Hna è inoltre piena di debiti: a fine 2014 aveva un debito combinato di 196 miliardi e 900 milioni di yuan (circa 25 miliardi e 300 milioni di euro) nel bilancio, rispetto a soli 73 miliardi e 200 milioni di yuan in capitale proprio (circa 9 miliardi e 400 milioni), stando ai prospetti compilati presso l’ente di vigilanza irlandese sulle security in relazione all’offerta obbligazionaria di 1 miliardo di dollari nel 2015 da parte di una delle sue filiali.

Anche se i provvedimenti delle singole banche americane hanno poco a che fare con le politiche cinesi o la volontà degli enti di vigilanza di Pechino, sembra proprio che, da una parte e dell’altra, le aziende cinesi che cercano di acquistare asset stranieri incontreranno sempre maggiori difficoltà sul loro percorso.

Articolo in inglese: China Capital Outflows to Tighten in 2017

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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