Disinformazione e false notizie, così si combatte la Terza guerra mondiale

Di recente il termine ‘disinformazione’ è stato utilizzato in diversi contesti. Per esempio, per condannare affermazioni erronee che cercano di condizionare le elezioni, oppure per dire che queste ‘condanne’ sono a loro volta disinformazione.
Purtroppo, sebbene l’utilizzo di questa strategia stia guadagnando finalmente attenzione, molte agenzie stampa abusano di questa parola e confondono anche il significato di ‘disinformazione’ e ‘cattiva informazione’.

Una cattiva informazione non è altro che la dichiarazione di informazioni non veritiere e potrebbe riferirsi a qualsiasi cosa: da un semplice errore a una bugia propinata da un media statale. La disinformazione è invece molto più subdola.

L’obiettivo della disinformazione è di creare false percezioni, spesso attraverso incidenti architettati, e di utilizzarli come basi per argomentazioni in apparenza valide. L’obiettivo è di diffondere disinformazione attraverso agenzie stampa credibili nei Paesi target, piuttosto che essere pubblicate attraverso fonti statali. Una volta che un’agenzia diffonde una notizia, l’antagonista la può citare per rendere pubbliche le sue dichiarazioni – e queste dichiarazioni probabilmente avranno una copertura ancora maggiore, che servirà a convalidare la tesi iniziale.
Alla fine, la disinformazione ha una vita propria e ogni storia aggiuntiva serve per seppellire più profondamente la bugia sotto un velo di verità percepita.

Il governo degli Stati Uniti ha finalmente iniziato a farsi avanti contro la diffusione della disinformazione e il Congresso ha recentemente approvato una legge che cercherà di contrastarla. Il disegno di legge affronta diversi tipi di disinformazione, tra cui i gruppi di facciata, gli agenti di influenza, gli omicidi, gli atti di terrorismo, il controspionaggio offensivo e la manipolazione dei media.
I tempi, tuttavia, non potevano essere peggiori. Il disegno di legge è spesso visto attraverso la lente delle attuali controversie riguardanti gli ‘hacker russi’ e le ‘notizie false’. Questo è un momento in cui gli interessi politici stanno cercando di offuscare il significato basilare di disinformazione, facendo ironicamente disinformazione.

Alla luce di questo, vale la pena dare un forte sguardo a cos’è in realtà la disinformazione, come funziona, quali danni ha causato nell’ultimo secolo e quali sono i suoi utilizzi nel mondo reale di oggi.

UNA STORIA FATTA DI INGANNI

La disinformazione trova le sue radici nella Russia zarista, ma è stata ampiamente utilizzata dall’Unione Sovietica, fondendosi bene con la classica tecnica di propaganda comunista dell’inganno strategico.
In seguito, poco prima dell’inizio della Guerra fredda, Aleksandr Michael Sakharovsky, ex generale sovietico a capo del braccio dell’intelligence estera del Kgb, tra il 1955 e il 1970, considerò la disinformazione come arma per un nuovo tipo di guerra.

Sakharovsky concepì una possibile Terza Guerra Mondiale come «una guerra senza armi: una guerra in cui il Blocco sovietico avrebbe vinto senza sparare un solo proiettile. Era una guerra di idee. Una guerra di intelligence, condotta con una nuova e potente arma chiamata dezinformatsiya», si legge nel libro Disinformation, il cui co-autore è Ion Mihai Pacepa, l’ufficiale sovietico di più alto grado ad aver disertato in Occidente, un generale rumeno a tre stelle della Securitate.
Il compito della dezinformatsiya, o disinformazione, «era di diffondere informazioni dispregiative credibili, in modo tale che la calunnia avrebbe convinto gli altri che i bersagli erano veramente cattivi».

In seguito la tattica si affinò. Furono implementati due requisiti: la disinformazione doveva essere diffusa attraverso «fonti occidentali rispettate e rispettabili» e avere qualche «nocciolo di verità». In altre parole, la dichiarazione poteva apparire parzialmente vera, al punto che un’eventuale indagine per chiarire la verità sulla questione avrebbe dovuto essere fatta da cima a fondo. A volte sarebbe stata inoltre sfruttata dalle «spie simpatizzanti di sinistra» per aiutare a diffondere le storie inventate.

Uno dei pezzi più dannosi di disinformazione erano i Protocolli dei Savi di Sion. Si disse che questo documento fosse una trascrizione di una riunione dei leader ebrei per ottenere il controllo sui media e le economie globali. Fu pubblicato in Russia nel 1903 ed era un falso tratto da una satira politica e da un romanzo scritto diversi decenni prima. L’esistenza dell’antisemitismo e il successo commerciale di alcuni ebrei costituiva il nocciolo della verità di questi documenti.

Adolf Hitler usò I Protocolli di Sion come uno dei suoi principali strumenti politici per istigare le persone contro gli ebrei, un tipico utilizzo di disinformazione che altera strategicamente la percezione pubblica di un individuo o di un gruppo mirato.
I sovietici usarono I Protocolli in modo simile sia in Russia – principalmente per eliminare gli avversari politici etichettati come ‘sionisti’ e allo stesso modo per unire la popolazione sotto l’odio di un comune nemico – e all’estero per molti altri scopi.

Pacepa ha spiegato in dettaglio il modo in cui i leader sovietici diffusero I Protocolli nel mondo arabo, accanto alla sua definizione di ‘Sionismo americano’. Una delle principali figure dietro questa strategia è stato Yuri Andropov, ex segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica.
«Nel 1972, la macchina di disinformazione di Andropov lavorava tutto il giorno per convincere il mondo islamico che Israele e gli Stati Uniti intendevano trasformare il resto del mondo in un feudo sionista», scriveva Pacepa. L’obiettivo era di «provocare agitazione nelle masse oppresse e analfabete». Andropov riteneva che attraverso la disinformazione, «il terrorismo e la violenza contro Israele e l’America sarebbero scaturiti naturalmente dal fervore antisemita dei musulmani».

Un rapporto dell’Fbi, declassificato nel 1986, descrive queste campagne diffamatorie come una «successione concentrata, continua e concertata di attività di agitazione e propaganda specificamente ideate e programmate per influenzare l’opinione pubblica. Le campagne comuniste erano destinate a provocare, influenzare e mobilitare il maggior numero di persone in direzione dei successivi obiettivi comunisti».

GUERRA DI PERCEZIONE

La disinformazione crea un fondamento per la guerra ed è un metodo di propaganda destinato ad alterare la percezione della realtà e degli eventi. Una persona vittima di una campagna di guerra psicologica, inconsapevolmente percepirà gli eventi attraverso la lente progettata dall’aggressore.
La guerra psicologica si inserisce in un processo che i sovietici hanno soprannominato ‘demoralizzazione’; in pratica, la popolazione dei Paesi vittime della campagna diffamatoria aiuta involontariamente i sovietici a raggiungere i loro obiettivi politici.

L’uso di queste tattiche non è mai cessato e oggi può essere visto in una forma ancora più raffinata: è la strategia delle ‘Tre guerre’ del Partito comunista cinese, approvata nel 2013 dalla Commissione militare centrale come base per una guerra d’informazione.
Le Tre guerre sono: la guerra psicologica per modificare il modo in cui un avversario analizza le informazioni; la guerra legale per creare o manipolare le leggi allo scopo di creare una validità percepita; e i media di guerra, per influenzare o controllare la copertura di notizie.
Nelle Tre guerre, il regime cinese utilizza su ampia scala la disinformazione: per esempio nell’acquisizione del Mar Cinese Meridionale, nel controllo invadente di Hollywood, nel respingere all’estero i ‘temi sensibili’ attraverso la censura di Stato e nell’etichettare i dissidenti politici e religiosi.

Una delle campagne più infami di disinformazione del regime cinese è quella riguardante il Falun Gong, una pacifica disciplina di meditazione che secondo una stima passata era praticata da cento milioni di cinesi. Il 23 gennaio 2001, cinque persone, che secondo le autorità cinesi sottoposte al controllo totale del Partito Comunista Cinese erano praticanti del Falun Gong, si sono dati fuoco in piazza Tiananmen a Pechino. I leader cinesi usarono questo incidente per giustificare una persecuzione altrimenti impopolare, lanciata due anni prima.

Ma questa messinscena venne poi smascherata da un’indagine del Washington Post, che rivelò che gli individui che si erano dati fuoco non erano praticanti del Falun Gong. Successivamente False fire, documentario che ha vinto diversi premi, ha messo in evidenza diverse anomalie nel video, come ad esempio un agente di polizia che colpisce uno degli immolatori sulla testa con un manganello alzando una specie di nuvola di fumo.
Eppure, le agenzie stampa occidentali hanno continuano, anche recentemente, a fare eco alla propaganda diffamatoria sul Falun Gong: una sorta di testamento generato dall’impatto ingannevole dell’informazione.

Naturalmente, la disinformazione non viene prodotta solo in Cina. In Russia, l’ufficio che crea disinformazione è l’Agenzia di Ricerca su Internet. A settembre 2015, un video che mostrava quelli che sembravano essere due soldati americani che sparano su una copia del Corano, ha sollevato un putiferio nelle regioni musulmane della Russia. Tuttavia, un reportage della Bbc di marzo ha scoperto che non solo quegli uomini non indossavano le uniformi di ordinanza dell’esercito americano, ma è riuscita anche a individuare il luogo del video, vicino a 55 Savushkina a San Pietroburgo, luogo notoriamente collegato all’Agenzia russa di Ricerca su Internet .

Ci sono vari utilizzi della disinformazione. Per esempio, un’operazione di ‘glasnost’ [termine utilizzato per la prima volta da Gorbaciov per identificare una nuova attitudine a non nascondere le difficoltà e le informazioni, ndt] veniva spesso usata per ridurre in polvere i volti dei capi tirannici, come le rappresentazioni sontuose di Che Guevara o la foto della Corea del Nord Kim Jong Un mentre sorrideva davanti a tavoli pieni di cibo.

Le attuali polemiche sull’hacking russo stanno aiutando Donald Trump a non lasciare tracce sia di disinformazione che di cattiva informazione, o almeno la campagna della Clinton non ha dimostrato la prova secondo cui le mail trapelate mostrassero informazioni false.
Se la Russia ha davvero interferito con le elezioni in questo modo, e senza falsificare informazioni, questa allora sarebbe ‘guerra politica’ e non disinformazione.  Inoltre le ‘notizie false’ sarebbero allo stesso modo cattiva informazione – non disinformazione – e spesso non sono difficili da smascherare.
Naturalmente, questo non minimizza le preoccupazioni relative a un presunto intervento straniero nelle elezioni, ma invece cancella la definizione di base di disinformazione.

Se si dimentica il significato delle parole – e soprattutto se queste vengono travisate per buttare benzina sul fuoco della polemica  politica – diventa facile perdere poi la capacità di comprenderne il significato originale. La disinformazione è stata la più dannosa di tutte le armi politiche dalla fine del Ventesimo secolo. Basti pensare che è stata impiegata nell’Olocausto, nella propaganda terroristica e in quasi ogni atrocità comunista.

E se ci si dimentica anche del suo significato originale, questo potrebbe facilitare il suo utilizzo in atrocità future.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore  e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

 

Articolo: The Misinformation on Disinformation

Traduzione: Massimiliano Russano

 

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