La Cambridge University Press non si piega alla censura del Pcc

Lo scorso 24 agosto, la casa editrice Cambridge University Press ha annunciato che «non blocca e non bloccherà» le pubblicazioni online destinate al mercato cinese, l’intero suo catalogo resta «disponibile per tutto il mondo, Cina compresa». La dichiarazione è arrivata dopo che Pechino ha chiesto alla casa editrice di togliere più di trecento articoli pubblicati su una rivista accademica.

La Cambridge University Press, la più antica casa editrice del mondo, il 18 agosto ha rivelato che Pechino le aveva chiesto di bloccare l’accesso online sul mercato cinese di 315 articoli di China Quarterly, una rivista universitaria molto apprezzata ed edita dalla Cup. Gli scritti censurati trattavano temi come il Falun Gong, il massacro di Tienanmen, il Tibet e la Rivoluzione Culturale: tutti argomenti molto delicati per il Partito Comunista Cinese (Pcc).

Temendo il blocco di tutte le sue pubblicazioni, l’editore ha assecondato la richiesta di Pechino, e il 18 luglio ha dichiarato: «Sappiamo che la Cina ha negato l’accesso totale ad altri editori, valuteremo di escludere alcuni articoli (dietro richiesta), se ci sarà il rischio di veder bloccare tutto il contenuto»

La sottomissione della Cup alle pretese cinesi ha provocato forti proteste nella comunità accademica internazionale, che ha presentato una petizione firmata da circa 1.300 persone che hanno minacciato di boicottare le pubblicazioni della casa editrice britannica.
Christopher Balding, economista americano e professore associato dell’Università di Pechino, ha infatti scritto: «Se la Cambridge University Press cede alle richieste del governo cinese noi, intellettuali e universitari, ci riserviamo il diritto di intraprendere altre azioni, compreso il boicottaggio della Cup e le riviste associate». Balding ha inoltre lanciato una petizione sul forum change.org.

Nel pieno dell’indignazione crescente, la Cambridge University Press ha deciso di pubblicare i trecento articoli, insieme ad altri bloccati il 21 agosto. Lo stesso giorno, l’Amministrazione generale della stampa e delle pubblicazioni cinese ha invitato il Journal of Asian Studies (un altro giornale accademico pubblicato dalla Cup) a ritirare circa cento articoli dai suoi siti cinesi.
Nell’ambiente delle pubblicazioni accademiche senza scopo di lucro, i profitti derivanti dai lettori cinesi online sono un dato molto importante per gli editori occidentali.

Hu Ping, anziano redattore capo di Primavera Cinese, ha dichiarato che il controllo stretto del Pcc sull’accesso al mercato cinese delle pubblicazioni straniere, ha dato agli occidentali la falsa idea che ‘non importa cosa e quando e meglio che niente del tutto’. Primavera Cinese è una famosa rivista online in lingua cinese con sede a New York, che si occupa dei temi legati ai movimenti democratici e per i diritti umani in Cina.

Ha spiegato nell’edizione cinese del canale televisivo indipendente New Tang Dynasty Televison: «Gli occidentali hanno l’idea sbagliata che quello che conta è che alcuni articoli possano essere pubblicati in Cina, e dicono: “se non accettate questi, noi semplicemente li eliminiamo e ve ne proponiamo altri, meglio che niente”», e aggiunge Hu Ping: «Il risultato è che nessuno si oppone alle pretese assurde del governo cinese, e cercano piuttosto un compromesso».

Il Global Times, portavoce in inglese del Pcc, in risposta alle critiche internazionali, ha pubblicato un editoriale provocatorio: «Le istituzioni occidentali hanno la libertà di scegliere. Se non gradiscono il sistema cinese, possono smettere di fare affari con noi. Se pensano che il mercato di internet cinese sia così importante da non poterne fare a meno, devono rispettare la legge cinese e adattarsi al sistema cinese».

Cai Yongmei, editore di Open Magazine pubblicato a Hong Kong, afferma che il Pcc ha esteso all’estero il suo controllo sul pensiero e sulla parola, e distrugge la libertà di espressione e di stampa nei Paesi liberi. E ha ribadito in un’intervista a Ntd Tv: «Per quanto riguarda la soppressione e il controllo [del Pcc, ndr] della libertà di informazione e di pensiero, credo che la comunità internazionale debba esercitare una pressione più forte, non può più compromettersi».

Il 24 agosto la Cambridge University Press ha pubblicato una dichiarazione per precisare la sua posizione sulla questione della censura del Pcc, ma ha anche affermato che spetta agli «importatori cinesi decidere quali libri acquistare per la vendita in Cina».

Gli analisti sottolineano che le disposizioni della censura del Partito Comunista Cinese ne riflettono l’insicurezza, poiché gli articoli accademici sono letti solo da intellettuali che insegnano alle superiori, o da studenti diplomati, non da un largo pubblico, e hanno quindi poca influenza. Hu Ping spiega che il dominio autoritario del Pcc si fonda sulla menzogna: per questo ha tanta paura della libertà di espressione. «Una volta che la gente potrà accedere liberamente all’informazione, la propaganda del Partito diverrà inefficace. [L’accesso libero all’informazione, ndr] incoraggerà le persone a mettere in discussione il regime e a esigere la libertà e la democrazia: è evidente che questo rappresenti una minaccia per il ‘regno’ del Pcc, in quanto partito unico».

Traduzione di Francesca Saba

Articolo in inglese: Cambridge University ‘Will Not Block e-Books’ in China After Reversing Decision to Comply with Censorship Requests

 
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