Kyle Bass: crollo imminente dell’economia cinese

Ha avuto ragione sui subprime, sull’oro e fin dall’inizio sulla crisi giapponese: è l’investitore texano Kyle Bass. Ma anticipa forse troppo i tempi il suo appello su una crisi bancaria imminente in Cina e sulla svalutazione dello yuan entro i prossimi due anni? 
«È una conclusione scontata – afferma davanti a Grant Williams di RealVisionTV – solo non sappiamo quando; la sensazione è che stia accadendo ora, mentre ne parliamo».
Bass, a fine 2015, aveva immediatamente dato la sua visione pessimistica sulla Cina, quando la moneta era sotto pressione e il Paese perdeva capitali al ritmo di circa 100 miliardi di euro al mese.

Da febbraio di quest’anno, e a partire dal cosiddetto Accordo di Shanghai (ossia dei ministri delle Finanze del G20), le perdite sono state abbattute, sebbene la moneta si sia svalutata su base pluriennale fino a 6,66 yuan per dollaro.

Allora perché Bass pensa che la situazione in Cina stia precipitando? Si sa che il debito cinese è eccessivo, soprattutto quello societario. Di conseguenza, diverse stime danno il rapporto totale tra debito e Pil del Paese superiore al 250 per cento; ma considerando che supera di poco quello giapponese (245), perché concentrarsi  proprio adesso sulla Cina?

«Il mercato obbligazionario cinese è congelato. Dall’11 aprile i mercati delle obbligazioni societarie cinesi hanno ricevuto 150 annullamenti su 210 offerte annunciate», dice Bass. E infatti, il mercato cinese delle obbligazioni societarie, che ha contribuito a mantenere a galla l’insostenibile debito privato delle aziende, come anche migliaia di miliardi di prestiti ristrutturati – i cosidetti Wealth Management Products (WMP) – è in difficoltà nel 2016.

Secondo Bloomberg, le imprese cinesi hanno raccolto 1,85 mila miliardi di yuan (280 miliardi di euro) di obbligazioni onshore [ossia del mercato valutario interno, ndt] tra aprile e luglio di quest’anno, il 30 per cento in meno rispetto a tre mesi prima.

Sono aumentati anche i fallimenti. Sebbene i default aziendali siano poco oltre la decina, i tribunali cinesi hanno gestito 1.028 casi di fallimento nel primo trimestre del 2016, segnando un più 52,5 per cento nell’ultimo anno.

«Ci sono moltissimi parallelismi perfetti tra il sistema del credito ipotecario americano, o tra il sistema bancario europeo, e il sistema bancario cinese. Quello che è successo in quei sistemi dimostra che ci sono problemi – afferma Bass, sottolineandone la gravità – e vediamo che sta iniziando proprio adesso».

Essendo chiaro il parallelismo con i fatti accaduti negli Stati Uniti nel 2008 e in Europa nel 2010, Bass pensa che i problemi legati alla Cina siamo di portata maggiore, perché «Dimostrano un disallineamento del 10 per cento nella situazione patrimoniale del loro sistema. Il nostrdisallineamento era del 2,5 per cento e sapete quello che ha prodotto».

Secondo Bass, sono stati prima di tutto i mutui insoluti a colpire il sistema bancario, portando quindi a una forte svalutazione dello yuan.

«Il modo giusto per affrontare questa situazione, non è l’Armageddon. Stanno per ricapitalizzare le banche, spalmare il debito della People’s Bank of China, tagliare la riserva obbligatoria e ridurre il loro tasso di interesse sui depositi a zero. Gli stessi interventi del governo degli Stati Uniti durante la nostra crisi».

Queste contromisure – a parità di altre condizioni – porterebbero a una svalutazione. Ma la valuta cinese è già sotto pressione, perchè molti cinesi – sfiduciati dal sistema bancario – stanno portando il loro soldi fuori dal Paese.
Bass stima che le sofferenze potrebbero
comportare perdite fino a 3 trilioni di dollari, il 30 per cento del Pil. I risparmi dei cittadini cinesi si basano su questi prestiti, e non aspetteranno di vedere se i numeri di Bass sono corretti. «In Cina, gli sforamenti di credito rispetto alle normative sono già inclusi», dice Bass.

Secondo un rapporto, Goldman Sachs stima che i deflussi netti di capitali dalla Cina nel primo trimestre del 2016 siano stati di circa 123 miliardi di euro, il 70 per cento dei quali dovuti all’esportazione di valuta da parte dei cittadini cinesi. E lo fanno nonostante i controlli del 2016 sulla fuga di capitali siano più severi, utilizzando sia metodi illeciti, come il contrabbando, che leciti, come l’acquisto di immobili perfino a Vancouver e a New York.

Bass sostiene che non c’è via di scampo per il regime, anche se sta cercando di gestire svalutazione al massimo delle proprie possibilità. «Il governo cinese vuole una svalutazione, ma la vuole alle sue condizioni».

La Reuters sostiene che alla banca centrale cinese non dispiacerebbe veder slittare la valuta cinese a 6,80 nei confronti del dollaro, un obiettivo che probabilmente supererà se le cose non cambiano.

Bass chiarisce anche il motivo per cui il regime non si sarebbe opposto alla svalutazione della moneta, sebbene di misura. E sostiene che uno dei più stretti collaboratori del leader cinese Xi Jinping, il vice segretario Wang Yang, pensa che il Giappone abbia fatto un errore a non svalutare a metà degli anni ’80, proprio mentre cresceva la bolla del credito.

«Wang sostiene l’errore del Giappone sia stato accettare il Plaza Accord. Il Giappone ha deciso di sottomettersi agli Stati Uniti, ancora una volta, e di sacrificare la sua crescita economica a quella degli Stati Uniti». Infatti, con il dollaro svalutato e lo yen giapponese rafforzato, gli Stati Uniti, alla fine, sono usciti da un decennio di stagflazione. Mentre quello che è successo in Giappone all’inizio degli anni ’90 è stato poco lusinghiero. Secondo Bass, però, questa volta sarà diverso: «Stanno per fare ciò che è meglio per la Cina, ossia svalutare la moneta in termini reali».

Dopo la svalutazione e la ricapitalizzazione del sistema bancario, è il momento di nuovi acquisti: «Se si dispone di più soldi, sarà il momento migliore per investire. Sarà il momento migliore di sempre per investire in Asia».


Articolo in inglese: Kyle Bass: ‘We Are Seeing the Chinese Machine Break Down’

 
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