Intervista a Dino Zoff: l’Italia di Conte può andare lontano

Dino Zoff, uno dei migliori portieri della storia del calcio, si racconta a Epoch Times in un’intervista che mette in risalto il campione sportivo, ma anche il campione di vita: la sua modestia, cordialità e professionalità lo inquadrano ormai nella figura di un uomo d’altri tempi, a cui, soprattutto oggi, guardiamo con un po’ di nostalgia.

Zoff ha probabilmente sigillato quell’emozione lirica su quello che, secondo la sua modestia, è un ruolo tutt’altro che artistico. Ma noi crediamo che grazie a SuperDino il portiere possa essere un artista, semplicemente perché attraverso la sua straordinaria carriera ha scritto, proprio come farebbe un poeta, una storia d’amore per il calcio e per lo sport che è rimasta nel cuore di tutti noi.

Zoff ha mosso i primi passi nelle giovanili dell’Udinese, per poi esordire sempre con i friuliani in serie A a 19 anni, il 24 settembre del 61. Nei primi anni sessanta viene acquistato dal Mantova dove gioca 131 partite in cui tutti possono già notare di che pasta è fatto. Nel ’67 arriva infatti la cessione al Napoli, dove nella stagione 70-71 guida i partenopei al record, ancora imbattuto nella loro storia, di 18 gol subiti in 30 partite. Nel ’68 esordisce in nazionale contro la Bulgaria al San Paolo di Napoli, e vince l’unico europeo della storia della nazionale italiana. Il decennio che va dai primi anni 70 a inizio anni 80, con sei scudetti alla Juventus in undici stagioni dove non ha saltato neanche una partita, due Coppe Italia, una Coppa Uefa e un titolo di Campione del Mondo (Spagna ’82), costituiscono l’apice assoluto della sua carriera da calciatore, dove per altro ha stabilito il record di imbattibilità in serie A di 903 minuti (battuto poi da Rossi e recentemente da Buffon), e il record, ancora vigente, di imbattibilità in nazionale di 1142 minuti in partite ufficiali consecutive. ? inoltre il portiere più anziano ad aver alzato la coppa del mondo, all’età di 40 anni, e l’unico portiere italiano ad aver vinto sia un mondiale che un europeo.

Nella carriera da allenatore ha allenato la Juventus, guidandola al bis Coppa Italia e Coppa Uefa. Ha guidato anche la nazionale Olimpica, la Lazio, di cui è stato anche dirigente, la Fiorentina, e la nazionale italiana a Euro 2000.

Il campione del mondo di Spagna ’82, tra le altre cose ha anche parlato di Euro 2016, esprimendo la propria convinzione che quest’Italia ha le carte in regola per poter andare lontano.

La conosciamo come un portiere pragmatico e concreto, che amava affrontare ogni parata con semplicità. Riuscire a fare questo richiede anche saper mantenere un certo livello di calma e lucidità, senza farsi troppo emozionare dalle circostanze. È stato sempre facile per lei mantenere la calma, anche nelle partite più importanti?

«Guardi, diciamo che io sono una persona equilibrata e di conseguenza ho questo equilibrio. Che poi sia freddo e distaccato non è proprio vero: certo, ho equilibrio e quindi anche in porta mi comporto di conseguenza cercando, come diceva lei, la semplicità, perché la semplicità insegna a sbagliare di meno, ecco, a essere preciso sulle cose; questo è vero, però le partite le ho sentite anche io e ci sono dei pre-partita che sono di un’importanza notevolissima e quindi si sentono particolarmente».

E come gestiva l’emozione, la tensione in quei momenti?

«Non si gestisce… secondo coscienza, secondo il carattere; logicamente sei abbastanza teso, concentrato per quello che succederà; di conseguenza poi quando scendi in campo l’interesse della partita è così presente che insomma, ti scarichi un po’».

Cosa ha provato nell’indossare per la prima volta la maglia della nazionale nel 1968, a 26 anni, e poi vincere l’europeo?

«Ho provato abbastanza emozione, anche perché esordivo a Napoli dove giocavo, dove avevo tantissimi tifosi, quindi diventa una responsabilità di far bene, di non deluderli, e di conseguenza era una partita abbastanza sentita; poi la semifinale in modo particolare con la Russia, lì ci sono state, veramente 90 mila persone a sostenerci. Insomma, eran cose belle».

Come reagiva alle sconfitte, come il gol subito ad esempio al mondiale del ’78 contro l’Olanda?

«Capendo che alla fine con molte cose si esagera troppo, perché adesso, quando si fanno dei gol così da lontano dicono che sono eurogol, mentre prima era colpa mia [sorride ndr]; al di là di questo, con la coscienza e con la convinzione che lo sport ha degli alti e dei bassi, non sempre sei in piena forma nonostante magari stai conducendo una vita normale, e di conseguenza ho cercato di reagire lavorando, non parlando, e spesso è servito».

E invece al contrario ai tanti elogi ricevuti?

«Per quanto riguarda quello secondo me, è più importante saper vincere che saper perdere eh, perché son situazioni che ti portano così, non dico che ti monti la testa, però insomma, ti fanno sentire un po’ sulle nuvole e questo è pericoloso».

Qual è la maggiore differenza tra il calcio di oggi e quello di una volta?

«Non c’è molta differenza, la diversità è nelle generazioni, adesso c’è una gioventù forse diversa; il calcio è sempre stato sport di spettacolo, però adesso la percentuale di spettacolo è aumentata a discredito dello sport se vogliamo, quindi sceneggiate in campo, proteste… ecco sono cose che purtroppo a me non piacciono».

Il più bel ricordo di quei mondiali dell’82 o un episodio che le è rimasto impresso

«Di intenso… è stato tutto un crescendo rossiniano, quindi di soddisfazioni ce n’erano, fino al culmine della premiazione per aver vinto la Coppa; poi naturalmente tutto è passato dalle buone prestazioni contro l’Argentina, per non parlare con il Brasile eccetera. Penso però che l’esultanza finale sia stata quella con la più grande felicità».

Che cosa è per lei il successo?

«Il successo… è aver lavorato bene; io sono friuliano e di conseguenza il lavoro è sacro, e quindi diciamo che è la testimonianza di un lavoro fatto bene, ecco questo mi piace».

Secondo lei il talento è innato o si può acquisire con la pratica?

«Il talento… le attitudini bisogna averle, poi dopo bisogna lavorarci su molto, poi certamente ci sono i fenomeni che non hanno imparato niente perché sanno già tutto, perché la natura, Dio, ha dato loro… non so Maradona, Pelè e simili, quelli erano artisti».

Beh possiamo dire tranquillamente che anche lei è al loro livello…

«No no no, io al mio livello ho dato un contributo però non mi sento mai un artista anche perché il portiere non può essere un artista, perché non inventa niente, deve solo cercare di mettere a freno l’estro e la creazione degli altri».

Prima ha fatto riferimento a Dio, qual è il suo rapporto con la fede, è credente o no?

«Sì sono credente ma diciamo se vogliamo un po’ all’acqua di rose, fondamentalmente però sì, ci credo».

Quale pensa sia o sia stato un suo degno successore?

«Certamente Buffon, sta facendo particolarmente bene».

E in passato?

«In passato ce n’erano tanti molto bravi, il periodo mio forse era una scuola di portieri di grande levatura, da Albertosi, Cudicini, Vieri, Sarti; ecco adesso, purtroppo, non siamo più scuola».

La sua parata più bella? E quella più importante?

«Quella più importante è senz’altro quella che mi ricordano tutti col Brasile col colpo di testa di Oscar a fine partita, e quindi questa è stata la più importante e anche la più bella se vogliamo; poi dopo ce ne sono magari tante di più belle in volo, però quella è rimasta negli occhi di quasi tutti».

Per quanto riguarda la carriera da portiere si porta dietro dei rimpianti?

«No no io non mi porto dei rimpianti, nel senso che sono fatalista un po’ e poi dopo… è inutile, se ho sbagliato in un momento vuol dire che in quel momento non potevo far diversamente, o non ero in grado di far diversamente»

E in quella di allenatore?

«Ma no, ho avuto delle soddisfazioni, con la Juventus non quotatissima come adesso vincere Coppa Italia e Coppa Uefa… Coppa Italia col grande Milan a Milano, insomma è stata una grande soddisfazione».

Parlando di Euro 2000, ero curioso di sapere cosa ha pensato dopo il rigore a cucchiaio di Totti, se lo aspettava?

«Non mi impressiono su queste cose anche perché l’avevo già visto fare nel ’76 da un giocatore cecoslovacco; e quindi l’importante è che la palla finisca dentro. Ecco, io sono molto per il risultato»

Si sente di dire qualcosa a un giocatore come Totti, che si avvia verso la fine della sua carriera?

«È stato grande indubbiamente, io mi aspettavo qualcosa di più in campo internazionale, però che sia un fenomeno lo sta dimostrando. Peccato che in campo internazionale non abbia fatto quello che avrebbe potuto fare».

Ha mai ricevuto delle parole di scuse da Berlusconi dopo quel che disse alla fine di quell’europeo?

«No no è passato, è successo, è inutile star lì a… peccato che abbiam fatto un grande europeo e a 20 secondi dalla fine svanì quel sogno».

Qual è per lei il miglior attaccante che ha avuto in squadra, quello che meglio ha valorizzato le sue parate?

«Ma sa, io ho avuto Sivori, Altafini, Platinì, e Rossi…»

E il miglior difensore che più l’ha aiutata a difendere la porta.

«Tanti, tanti, ma direi Scirea per la sua grande classe, grande stile»

E come allenatore della Nazionale, il miglior giocatore che ha allenato?

«Erano tutti bravi, da Totti, Conte, Maldini e tanti altri»

Che posto occupa la sua carriera nella sua vita?

«Determinante, ho fatto sempre calcio dopo una certa età, dopo aver lavorato un po’, e quindi direi che devo ringraziare il calcio che mi ha permesso di migliorare… perché io sono ingenuo, credo ancora che lo sport debba migliorare l’uomo, e siccome io ho fatto calcio come un uomo di sport, mi è servito molto».

C’è stata nella sua vita una persona di riferimento, sulla quale ha sempre potuto contare?

«Tante, ne ho avute tante, certamente mi ero legato molto a Bearzot, conterraneo, visione della vita più o meno simile, quindi direi Bearzot; oppure Giagnoni ai tempi del Mantova…»

E nella sua vita non sportiva?

«La moglie, la famiglia, tutte le componenti della famiglia»

I valori che pensa siano più importanti per affrontare la vita.

«Il coraggio, la dignità; se uno ha un piatto di minestra ha il dovere di avere dignità, se no non vale niente; se uno non ha il piatto di minestra ci si può passare sopra, però se hai il piatto di minestra è un obbligo averla».

Per quanto riguarda gli attuali europei, come vede la nazionale? Può arrivare fino in fondo?

«Abbastanza bene, la vedevo anche prima abbastanza bene. Poi certo, credo che il primo turno si passi normalmente, e dopo è da giocare. Però non la vedo battuta, insomma è una squadra che può andare abbastanza lontano».

Chi è la favorita alla vittoria?

«Mah, fin qui non si è visto molto, certo c’è la Germania, Spagna, Francia, insomma sono queste che sembrano le favorite. Però si vedrà, perché per adesso non hanno fatto molto anche loro».

Intervista rivista per brevità e chiarezza

 
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