Intervista a Elia Viviani: a Rio 2016 sarò pronto, poi Mondiale in Qatar

Alle Olimpiadi di Rio 2016 il ciclismo italiano punterà a una medaglia su pista con Elia Viviani. Il 26enne velocista veronese però ha anche altri obbiettivi nella prossima stagione. Infatti, approdato quest’anno al Team Sky, è cresciuto ancora e si è riconfermato uno degli sprinter più forti al mondo anche su strada. Il neocampione Europeo su pista dell’omnium svela qualcosa su di lui e sul suo futuro sportivo in un’intervista via email, prima di partire con la nazionale della pista verso Cali, in Colombia, per disputare la prima prova di Coppa del Mondo nel prossimo weekend.

Cosa significa per te esserti riconfermato campione Europeo, e aver battuto il campione olimpico di Londra 2012? 

«Il campionato Europeo vinto la settimana scorsa rappresenta per me una conferma, un altro segnale dopo la medaglia mondiale conquistata lo scorso febbraio, del fatto che siamo sulla strada giusta per Rio, che questa specialità mi si addice e che nel momento in cui andremo a lavorare anche sullo specifico, e che quindi migliorerò nelle specialità contro il tempo, potrò veramente ambire a una medaglia olimpica, o meglio farò di tutto per farmi trovare pronto al 100 per cento alle Olimpiadi. Aver battuto il campione olimpico ha dato ancora più valore al mio Europeo».

Sei soddisfatto della tua stagione 2015? Perché? 

«Soddisfattissimo direi. Il nuovo team mi ha dato qualcosa in più in termini di stimoli, obbiettivi, programmazione e preparazione, e fin da subito abbiamo iniziato con il piede giusto: vittoria a Dubai e medaglie al mondiale su pista, poi le Classiche a servizio dei compagni e finalmente la vittoria che cercavo da anni, una vittoria al Giro d’Italia, il sogno di sempre. E quello sì, resta il momento più bello del mio 2015. Dopo il Giro un periodo di recupero per un gran finale di stagione e anche qui i risultati si sono visti prima con la vittoria all’Eneco Tour, poi le tre vittorie al Tour of Britain e le due ad AbuDhabi. Resta certo l’amaro in bocca per il Mondiale di Richmond: avevo lavorato sodo per quella gara e non ho raccolto niente, ma questo è il ciclismo. Il finale in bellezza con i risultati su pista sono la ciliegina sulla torta alla mia miglior stagione da professionista».

Quali saranno i tuoi obbiettivi per il 2016, oltre alle Olimpiadi su pista? 

«Il 2016 non lo abbiamo ancora programmato del tutto e nello specifico; certo che per la prima parte di stagione gli obbiettivi saranno le classiche (Sanremo e Gand-Wevelgem) e Giro d’Italia, per poi pensare solo alle Olimpiadi su pista. Il finale di stagione lo vedremo strada facendo ma il mondiale in Qatar su strada [un percorso per velocisti puri, Ndr] sarà l’obbiettivo numero uno».

É cambiato il mondo degli sprinter su strada negli ultimi anni? (Se sì) Cos’è cambiato? 

«Sicuramente negli ultimi anni le volate sono state sempre confuse, bisogna sapersi muovere e oltre a essere forti bisogna anche essere lucidi a prendere le decisioni velocemente; decidere su che ruota stare; difendersi da altri velocisti che vogliono, come te, la miglior posizione. Ci sono poche squadre organizzate con un treno vero e proprio. Con uno o due treni forti la volata esce molto più pulita e ognuno va al suo posto, ma purtroppo con il sistema dei punteggi World Tour, le classifiche generali a qualsiasi corsa a tappe sono fondamentali per le squadre quindi la squadra è sbilanciata su scalatori e gregari, noi velocisti possiamo contare su uno o due compagni che ti mettono nella posizione migliore». 

Hai corso per cinque anni con una squadra italiana poi sei passato con Team Sky, quali differenze hai notato nel correre in una squadra britannica? 

«La Liquigas poi Cannondale di Amadio mi ha insegnato a diventare corridore, mi hanno seguito come una famiglia, il rapporto con i direttori e tutto lo staff era un legame fortissimo, un gruppo fantastico e questo rendeva tutto più facile, ed è un legame che è rimasto anche ora sia con i compagni ciclisti che con lo staff anche se siamo sparsi per diverse squadre; sono felicissimo infatti di aver fatto quel percorso con loro prima di approdare al Team Sky. Da quest’anno ho migliorato sicuramente il fatto di individuare gli obbiettivi, di prepararli al meglio, di lavorare duramente a casa per migliorare in quello in cui soffro, sono stato responsabilizzato tanto e anche questo mi ha dato quel qualcosa in più. Mi fanno sentire un leader in una delle squadre più forti al mondo». 

Quando e perché hai iniziato a correre in bici? 

«Ho iniziato quando avevo 8 anni, categoria g3, per gioco ovviamente, per provare un qualcosa di diverso dal calcio, e ho seguito le orme di un compagno di classe, da lì è stato amore a prima vista, quindi non ho più smesso, sempre divertito e sempre più preso da questa passione».

La tua fidanzata, Elena Cecchini, è una ciclista professionista come te, cosa significa condividere la stessa passione? 

«Elena rende tutto più facile a me, mi capisce, sa cosa vuol dire fare sacrifici, e ne fa più di me. Capisce quando purtroppo passiamo periodi senza vederci molto, ma viviamo intensamente qualsiasi mezza giornata assieme. Quando siamo a casa in allenamento sempre assieme, ognuno fa i suoi lavori specifici ma usciamo sempre in coppia dandoci consigli e discutendo di tutto. Quando scendiamo dalla bici abbiamo una vita movimentata ma normale, come ogni coppia giovane, cerchiamo di goderci momenti come l’inverno dove passiamo un lungo periodo assieme».

C’è qualcuno che vuoi ringraziare per i risultati che hai ottenuto? 

«Inizio i ringraziamenti dalla famiglia, dai miei genitori e dalla nonna, che mi hanno sempre seguito e ancora ora quando riescono ci sono sempre, senza mai mettermi pressione e facendomi vivere il ciclismo come un gioco, un divertimento. Elena è la persona più importante per me, è lei che vive con me gioie e dolori nel ciclismo ma anche a casa quando siamo io e lei, e c’è sempre stata sia nelle sconfitte più grandi come a Londra 2012 [per aver mancato la medaglia su pista, ndr], che nelle vittorie più belle come al Giro. Il ringraziamento finale va a Franco il mio meccanico storico, quello che mi ha insegnato tutto delle bici, un mago della bici che purtroppo è mancato la scorsa primavera. Ma Matteo, il figlio, ha preso il testimone, lui è un mio grande amico, è uno dei miei fidati, senza lui che mette mano alle mie bici sarebbe tutto più difficile per me».

 
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