Ilva, tra Emiliano e Calenda è scontro frontale

L’Antitrust si è pronunciata sui prestiti governativi all’Ilva e ha sentenziato che 84 milioni di euro su un totale di 2 miliardi sono da considerare aiuti di Stato, e quindi illegali.

Il governo temeva molto di peggio, tanto che il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha espresso «grande soddisfazione», anche per il riconoscimento «che la Commissione ha voluto esprimere sulla conduzione da parte del governo italiano del processo di gara».
«Ritengo – afferma il ministro – che si tratti di una tappa significativa di un percorso lungo e complesso per garantire il futuro del più grande sito siderurgico europeo».

L’Ilva dovrà quindi dare indietro gli 84 milioni, mentre risulta valido il restante miliardo e 916 milioni. La minaccia dell’Antitrust è stata evitata, ma rimane ancora infuocato lo scontro tra il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il ministro Calenda.

TAVOLO SALTATO

Emiliano ha fatto ricorso al Tar perché si valuti quella che lui ritiene essere un’irregolarità nella procedura delle autorizzazioni ambientali per l’Ilva: «Il decreto impugnato – spiega su Facebook – ha illegittimamente procrastinato i termini di ottemperanza alle prescrizioni e i tempi di realizzazione degli interventi già previsti nei precedenti provvedimenti AIA, rimasti inadempiuti». Il presidente lamenta anche l’assenza di certe documentazioni legate alla valutazione di impatto ambientale e alla valutazione del danno sanitario, il tutto potenzialmente a danno della salute dei cittadini di Taranto.

Il 20 dicembre, un incontro tra Emiliano, il sindaco di Taranto, gli acquirenti dell’Ilva e il governo ha portato da un lato ad alcune concessioni da parte degli enti locali, ma dall’altro è finito in polemica, quando Emiliano non si è detto disposto a concedere quello che il ministro Calenda desiderava ardentemente, ovvero il ritiro del ricorso al Tar. A quel punto i toni, da amichevoli e costruttivi, sono degenerati, con Calenda che ha ripreso ad accusare Emiliano – come aveva già fatto nei giorni precedenti all’incontro – di voler mandare a monte tutto e di aumentare il rischio che le varie complicazioni facciano desistere gli acquirenti.

Michele Emiliano d’altra parte contribuisce ad alimentare lo scontro sul piano personale, definendo «crisi isterica» una reazione di Calenda. Un ministro che – fa notare – comunque non durerà a lungo, considerate le prossime elezioni.
Il presidente della Puglia sostiene che non ci sia alcun pericolo derivante da questo ricorso al Tar – né la chiusura dello stabilimento, né passi indietro da parte degli acquirenti – e che anzi i cittadini e l’ambiente ne potranno solo beneficiare: «La pendenza del ricorso, privato della cautelare, lascia tempo mesi per la discussione e si può tranquillamente trovare la soluzione senza alcuna drammatizzazione».

Emiliano quindi non si dice disposto a ritirare il ricorso, a meno che il governo non si impegni seriamente a risolvere le criticità individuate nell’attuale decreto.
«Se il ministro sta facendo questa pantomima perché ha capito che l’operazione ha altro tipo di difficoltà», dichiara Emiliano ai giornalisti, riferendosi al pericolo che la Direzione Generale sulla Concorrenza dell’Unione Europea non autorizzi l’acquisto dell’Ilva da parte di Mittal per «eccesso di concentrazione», allora il comportamento del ministro, che «pensa di dare la colpa alla regione Puglia e al comune di Taranto», sarebbe «immaturo»

Quello che teme Calenda – secondo l’Huffington Post – è che se il decreto del governo saltasse a causa del ricorso al Tar, l’acquirente potrebbe chiedere garanzie sull’investimento per 2,2 miliardi di euro. Cifra che, spiega Calenda, il governo non è disponibile a «buttare per il ricorso».

 
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