Ilva, fabbrica occupata a Genova. Mise: ostacolo alla trattativa

Tensione a Genova: un gruppo di lavoratori della Fiom, durante l’assemblea dei lavoratori sull’Ilva convocata dall’Rsu, ha deciso di occupare la fabbrica di Cornigliano per protesta contro il piano industriale deciso dalla Am InvestCo, la joint-venture composta dal gruppo franco-indiano ArcelorMittal e il Gruppo Marcegaglia, che si è aggiudicata la gara per l’acquisizione dell’Ilva.

Dopo la mancata intesa ai primi di ottobre tra sindacati, governo e Am InvestCo, l’incontro del 31 ottobre ha riaperto la trattativa, e il 9 novembre al Mise le parti si dovranno riunire nuovamente attorno al tavolo per trovare un accordo sul piano industriale. Il 14 novembre il punto di discussione sarà invece l’aspetto ambientale.

È proprio in merito al piano industriale che gli operai Fiom hanno espresso il loro dissenso annunciando una ‘protesta a oltranza’, nonostante il governo nell’ultimo incontro del 31 ottobre con Am InvestCo si sia impegnato a tutelare i diritti dei lavoratori: è stato confermato infatti il taglio di 4 mila posti di lavoro in tutta Italia, di cui 600 solo a Genova (su un totale nella regione di 1.499). Quello che più contestano i sindacati Fiom è l’abolizione dell’accordo di programma firmato nel 2005 da cinque ministeri ed enti locali, che forniva garanzie di continuità occupazionale e salariale per tutti i dipendenti della regione in caso di cessazione dell’attività.

Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil, insieme a Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom sostengono una linea ben precisa: «Per la nostra organizzazione è necessario che il ministro Calenda riveda la sua scelta di non convocare al tavolo sull’Accordo di programma tutti i soggetti firmatari. […] Non è sufficiente aver congelato il procedimento ex articolo 47 per avviare il confronto. La vertenza per la cessione del Gruppo Ilva non è un fatto tecnico tra governo, azienda e sindacati: è un confronto da cui dipendono occupazione, produzione industriale e risanamento ambientale».

La protesta della Fiom però, non trovando l’appoggio di Fim e Uilm, segna una divisione all’interno dei sindacati, e arriva proprio nel momento in cui c’era bisogno di una collaborazione comune. Secondo il segretario generale Fim Alessandro Vella infatti, «le soluzioni vanno trovate insieme e non dividendo i lavoratori […] quanto accaduto oggi invece rappresenta la solita pantomima della Fiom […] che a tutto mira, tranne che alla ricerca di soluzioni per i lavoratori e per il lavoro a Genova», rincara Vella, facendo notare che questa «mossa» della Fiom, non prende in considerazione la volontà della maggioranza dei lavoratori e in vista della ripresa della trattativa con Arcelrlor Mittal è «inutile e dannosa».

Con questa nota, anche il Ministero dello sviluppo economico esprime tutto il suo disappunto sulla questione: «Desta stupore e sconcerto che la Fiom-Cgil promuova, fuori da ogni regola, l’interruzione delle attività e proclami il presidio dello stabilimento Ilva di Genova, mentre il confronto fra le parti si è finalmente concretamente avviato». E ancora

«Il ministero dello Sviluppo Economico, con molta determinazione, è intervenuto per consentire la ripresa del confronto tra azienda e sindacati su basi più favorevoli per i lavoratori sia per quanto riguarda gli aspetti occupazionali sia con riferimento a quelli relativi al reddito per tutti i lavoratori ILVA. Ovviamente continuerà a vigilare affinché il negoziato si concluda con il consenso di tutte le parti. Proprio mentre si apre il confronto, reparto per reparto, del piano industriale proposto dall’investitore una simile iniziativa rischia di mettere a repentaglio la trattativa per tutta l’ILVA».

DA PUBBLICA A PRIVATA, FINO AL COMMISSARIAMENTO

Da quando l’Iri ha chiuso i battenti, molte aziende italiane un tempo finanziate dall’istituo statale per la ricostruzione industriale sono state costrette alla privatizzazione ma, abilità o inabilità dei nuovi manager a parte, è inevitabile che queste abbiano accusato il contraccolpo della brusca interruzione di iniezione di capitali da parte dello Stato. La ‘crisi’ ha toccato un po’ tutti i settori sul territorio nazionale, dal trasporto aereo (si veda la faccenda Alitalia) a quello siderurgico (Ilva), anch’esso più che fondamentale per l’economia e il Pil del Paese.

Nel caso dell’Ilva, è stata venduta dall’Iri al Gruppo Riva nel 1995, che l’ha gestita fino al 2012. Proprio in quell’anno ha avuto infatti inizio il commissariamento dell’azienda a seguito dell’avvio dell’inchiesta giudiziaria sull’impatto ambientale e sull’inquinamento dell’impresa siderurgica, che ha portato alla condanna di Emilio Riva e di diversi altri dirigenti. Da qui il sequestro degli impianti (anche se Ilva ha sempre continuato a operare nonostante lo stop imposto dalla magistratura) e le numerose proteste dei lavoratori, con implicata la delicata questione del mantenimento dei posti di lavoro, dal momento che la situazione esterna si rifletteva sui conti interni all’azienda. Nel 2017 finalmente, il gruppo Am InvestCo si aggiudica la gara di vendita e per Ilva si auspica l’inizio di una nuova fase, proteste ‘a oltranza’ permettendo.

 
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