Ilva, da Emiliano timidi segnali di apertura

Sulla strada per rendere grande Ilva, il governo ha ancora un ultimo ostacolo, che non si chiama più Antitrust, ma Michele Emiliano, con il suo ricorso al Tar. Il presidente della regione Puglia infatti, non sembra entusiasta di accogliere nella Terra degli Olivi il colosso mondiale dell’acciaio, nonché futuro acquirente Ilva, ArcelorMittal. Almeno non senza delle garanzie da parte del governo di rispetto delle leggi, della Costituzione e della «salute dei cittadini» pugliesi e in particolare di Taranto.

Il ritiro del ricorso al Tar, presentato da Emiliano per presunte irregolarità nelle autorizzazioni ambientali per l’Ilva, secondo quanto ha dichiarato venerdì ai giornalisti lo stesso presidente della regione Puglia, è dunque vincolato alle suddette condizioni, tra cui l’apertura da parte del governo al processo di decarbonizzazione. E per questo Emiliano si è reso disponibile a trattare col governo. Ma senza un punto di incontro, chiosa Emiliano, il ricorso «non sarà mai ritirato».

Fin qui tutto nella norma o quasi. Se non fosse per l’ultima, se non primaria condizione imposta da Emiliano: che Carlo Calenda «si faccia da parte e ci consenta di dialogare con il presidente del Consiglio che peraltro è l’autore dell’atto (sul piano ambientale) impugnato» da Regione e comune di Taranto. Condizione che, ovviamente, risulta di difficile attuazione, dal momento che Carlo Calenda, in quanto ministro dello Sviluppo Economico, assolve tramite il ministero al compito del governo sulla vicenda Ilva.

Tra Michele Emiliano e Carlo Calenda non scorre buon sangue, questo è ormai assodato da tempo: l’ultimo battibecco risale al 20 dicembre scorso, quando Emiliano, al tavolo con Calenda e i rappresentanti dell’acquirente di Ilva, si era già rifiutato di ritirare il ricorso al Tar, ed era per questo stato accusato da Calenda di voler far saltare a tutti i costi la trattativa.

«Calenda   ̶ ha continuato Emiliano nel tentativo di spiegare la sua insolita richiesta   ̶ ne ha dette di tutti i colori sul comune e sulla regione, e io questa cosa non gliela perdonerò mai […] Prima ha tentato di escluderci dal tavolo, poi ci ha sottoposto a pressione per ritirare senza condizioni un ricorso, dicendo che noi volevamo far chiudere la fabbrica e che eravamo semplicemente la “cultura del no”. Ha tentato di soffocare il nostro diritto».

Incomprensioni a parte, che evidentemente non sono però trascurabili, Emiliano, bypassando Calenda apre a Gentiloni e dichiara: «se raggiungiamo un accordo sulla applicazione della legge regionale sulla previsione del danno sanitario (Vds), e otteniamo la possibilità di dimostrare che la decarbonizzazione non ha questo differenziale di costo così elevato come si sostiene, e che quindi si parte con la decarbonizzazione almeno sui due gruppi da ristrutturare, allora noi siamo a buon punto».

Il timore di Calenda è che per via del ricorso e i conseguenti attriti interni, gli acquirenti possano abbandonare all’ultimo. Ma Emiliano ha in passato sdrammatizzato affermando di non vedere pericoli di questo genere all’orizzonte: «La pendenza del ricorso, privato della cautelare, lascia tempo mesi per la discussione e si può tranquillamente trovare la soluzione senza alcuna drammatizzazione».

A ogni modo, ricorso o altre soprese permettendo, è data oramai quasi per certa l’approvazione da parte della Direzione Generale sulla Concorrenza dell’Unione Europea all’acquisizione di Ilva da parte di Mittal nel prossimo mese di febbraio. A questo proposito Emiliano, mostrandosi disposto a collaborare con il governo, anche se a metà, ha concluso: «Se noi troveremo un accordo e se avremo la garanzia della tutela della salute dei pugliesi e in particolare dei cittadini dell’area metropolitana di Taranto, è mia intenzione anche proporre alla nuova proprietà dell’Ilva che una delle società di proprietà della Regione Puglia entri nel capitale della nuova Ilva».

 
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