Salento, l’«insopportabile contraddizione» tra bellezza e morte

La Puglia, una delle meraviglie d’Italia, forse la regione ‘meglio recensita’ dai turisti esteri, top 2014 travel destination del National Geographic, ricca di suggestivi borghi e caratterizzata da uno fra i migliori mari d’Italia, è purtroppo minacciata da un pericoloso lato oscuro: l’inquinamento delle acciaierie Ilva di Taranto e la piaga del batterio Xylella.

Questa «insopportabile contraddizione» ha scioccato l’artista e antropologa italoamericana Noel Gazzano, stregata dal Salento durante una vacanza nel 2013, tanto da venirci a vivere a partire dal 2014. Nata a Imperia, anch’essa terra d’ulivi, la Gazzano – di madre americana e vissuta a lungo negli Usa – si è innamorata degli ulivi salentini, da lei ritenuti ancora più belli di quelli liguri. «E poi mi ha colpito profondamente la cultura: ci sono feste di paese incredibili, con musicisti che ci invidierebbe l’Europa intera».

Ma in seguito, lo shock, nato con il caso Xylella, batterio che ha infettato gli ulivi minacciando il patrimonio naturale ed economico del Salento, tra la disperazione dei contadini, le accuse di abusi alle autorità e quelle di cospirazione internazionale nei confronti della Monsanto e di altri attori.
Poi il terribile inquinamento dovuto all’Ilva, con i morti per tumore. E gli altri disagi, proteste e accuse riguardanti il passaggio del Tap (gasdotto transatlantico che porterà gas dalla Turchia all’Italia). E in alcuni casi le cose si sommano, come in quello dei contadini di San Pietro Vernotico (BRI) che accusano le autorità di aver usato la scusa del batterio Xylella per fare piazza pulita degli ulivi allo scopo di sgomberare il territorio per il passaggio del gasdotto transatlantico.

«È stato come quando ti dicono che il tuo grande amore della vita è ammalato», si sfoga l’artista.

I DANNI DELL’ILVA

Negli anni del miracolo industriale dell’inizio del 20 esimo secolo e poi il boom del Secondo dopoguerra, l’Ilva (ex Italsider) è cresciuta grazie alla grande domanda d’acciaio, dando lavoro a migliaia e migliaia di operai: lo stabilimento di Taranto, capace di produrre circa 3 milioni di tonnellate di acciaio liquido nel 1965 e 12 milioni nel 1993 (con un crollo negli anni recenti), nel 2015 contava 14.188 dipendenti.
Taranto venne scelta come sede dell’Ilva per la vicinanza al mare, l’abbondanza di aree pianeggianti, la disponibilità di calcare e le possibilità occupazionali per il Mezzogiorno. Scarsa era però la conoscenza e l’importanza data in quel periodo alle questioni relative all’inquinamento: in media sono stati 1650 i morti annuali nella provincia di Taranto negli anni tra il 2004 e il 2010. Non tutte le morti erano direttamente legate all’Ilva, ma molte di queste persone sono decedute per cause cardiovascolari e respiratorie, spesso attribuibili all’inquinamento. Non vengono risparmiati, pare, nemmeno i bambini nati da madri che lavorano negli stabilimenti, come nel caso del piccolo Lorenzo Zaratta, morto di tumore a cinque anni. Sebbene il nesso non sia stato accertato dalla Magistratura, la medicina lo ha già ritenuto verosimile.

Sono un’infinità, infatti, le sostanze nocive che vengono emesse dall’Ilva secondo le perizie ordinate dalla Magistratura: dati del 2010 (prima degli interventi per ridurre l’inquinamento) parlano di 11 milioni di chili di diossido di azoto e poco più di anidride solforosa emessi all’anno, oltre che di 172 milioni di chili di monossido di carbonio e 8,6 miliardi di chili di CO2, tra le numerose sostanze.

Secondo gli autori della perizia epidemiologica, «l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte». Gli effetti dell’inquinamento sono nettamente più forti nei quartieri dove sono concentrate le acciaierie, e non altrettanto rilevanti nella città di Taranto.

Molto dipende, in realtà, dalla direzione del vento e dal periodo dell’anno, con i pericoli maggiori concentrati in estate. La perizia epidemiologica ha determinato che nei quartieri di Borgo e Tamburi l’aumento di mortalità direttamente associabile all’inquinamento è del 3,3%, e la mortalità per cause respiratorie dell’8,3%, con 91 decessi e 379 ricoveri annui, in questi due quartieri, direttamente attribuibili all’inquinamento.
Secondo la perizia, l’inquinamento può causare molteplici danni alla salute, da quelli acuti (infezioni respiratorie, crisi d’asma e altro) a quelli cronici, tra cui bronchite, attacchi ischemici, ictus e anche tumori.

Il caso dell’Ilva, finito ripetutamente in tribunale, secondo le accuse non è stato solo un errore in buona fede: «Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza», affermava il Gip nell’ordinanza che nel 2012 disponeva il sequestro senza facoltà d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva, oltre che gli arresti di vari dirigenti.
Sempre in quell’anno, però, il governo ‘salvava’ lo stabilimento (de-commissariandolo) con un decreto legge, poi convertito in Parlamento.

Nel 2013 il governo ha poi commissariato l’Ilva tarantina, nominando Enrico Bondi alla direzione della società. Nel 2014 gli succederà Piero Gnudi. Entrambi saranno poi indagati per ‘getto pericoloso di cose e gestione non autorizzata dei rifiuti’, sebbene in realtà il commissario straordinario Gnudi goda di immunità penale, concessa dal decreto governativo che disciplina l’amministrazione straordinaria.

Attualmente la giustizia deve ancora completare il suo corso, e le ipotesi d’accusa parlano, fra i vari reati ipotizzati, di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, nei confronti di Nicola e Fabio Riva (quest’ultimo agli arresti domiciliari). Concussione, invece, l’accusa per Nichi Vendola, che avrebbe fatto delle ‘pressioni’ sul direttore dell’Arpa Puglia (Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione ambientale).

I dipendenti dell’Ilva sono ancora in attività, mentre si cerca di risanare l’impianto (afflitto anche dai debiti), nella speranza di evitarne la chiusura e quindi il licenziamento degli operai. Il Governo è intervenuto a fine maggio per disciplinare la vendita dello stabilimento a privati, che si dovranno fare avanti entro fine giugno. Tra le richieste vi è quella di considerare come «centrale» la valutazione del piano ambientale.

Sebbene l’impatto dell’Ilva sia stato e sia ancora tragico a livello ambientale, anche la sua chiusura porterebbe a notevoli problemi. Secondo Confindustria, i costi «saranno quasi un miliardo di euro l’anno, mentre la perdita di potere di acquisto sul territorio di Taranto e provincia è stimabile in circa 250 milioni l’anno».

INTERVENTI AMBIENTALI

Nel 2012, con interventi del governo (come anche della Magistratura) l’inquinamento a Taranto è diminuito notevolmente, dal punto di vista dell’emissione di polveri sottili e diossina, ritornate, secondo gli studi, alla normalità. Ma il problema non è completamente risolto, come è visibile talvolta a occhio nudo, o ‘a naso’. Oltre che non è noto, al di là delle parole, quanto efficacemente i prossimi acquirenti terranno in conto il problema ambientale.

L’Italia è inoltre sotto processo presso la Corte di Strasburgo con l’accusa di non aver tutelato la vita di alcuni cittadini di Taranto, deceduti presumibilmente a causa delle emissioni dell’Ilva.

A Taranto è in atto una «violazione dei diritti umani», sostiene Noel Gazzano, che ha sentito di non poter più andare avanti senza fare qualcosa: «Magari non potrò cambiare la situazione, ma sicuramente posso dire ‘No’». All’inizio del 2016, l’antropologa si è infatti impegnata in un viaggio a piedi dalla zona industriale di Brindisi – «un incubo di 4 ore per percorrere 5 km, con i camion, non si respirava, e il mal di gola» – fino a Taranto, spingendo una barella e indossando un abito dai colori accesi, ricoperto di papaveri. La barella, spiega l’artista, simboleggiava il rischio e la morte che può provocare l’inquinamento. Ma il vestito indicava la bellezza della terra, e la sua vitalità. Al tempo stesso, nella barella, protetti da un telo, germogliavano semi di canapa, pianta utilizzabile per disintossicare il terreno: un rimedio naturale alle disgrazie artificiali.

La Gazzano ha percorso il territorio salentino accompagnata da Betty Locane (logistica), Rossella Granata (foto, video e ufficio stampa) e Federica Antonelli (foto e video). Pur avendo ricevuto attenzione mediatica, e solidarietà dalla gente, l’antropologa sostiene che il problema non sia sufficientemente sentito dal Governo e dai media: «Com’è possibile che non ci siano informazioni chiare [nei media, ndr] sul dato dei tumori provocati dall’Ilva?». L’artista prende di mira anche degli interventi del Governo, che più volte ha salvato l’ecomostro.

Eppure la Gazzano ha fiducia nella gente. In Salento, afferma, «c’è un livello di amore per le proprie radici altissimo, sono attivissimi».

«C’è un fremito, una energia, che non si trova da altre parti d’Italia». Un fremito, che neppure i tumori fermeranno.

 

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