Viaggio nell’industria del doping, la piovra che strangola lo sport in tutto il mondo

Il doping è un fenomeno indissolubilmente legato al mondo dei farmaci, ed è evidente che le persone che ne fanno uso alimentino il traffico e la produzione di queste sostanze. Chiarire le responsabilità dei produttori di questi farmaci è quindi una questione importante per comprendere il loro ruolo in questa pratica proibita e sleale.

Renzo Ferrante, maresciallo del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma dei Carabinieri intervistato un anno fa da Epoch Times, ha fatto chiarezza su questo problema, rappresentando un mondo fatto di mercato nero, farmaci contraffatti, false prescrizioni mediche e laboratori clandestini.

«L’esperienza investigativa accumulata in oltre venti anni di lotta al fenomeno doping da parte dei Nas dei Carabinieri mostra come il fenomeno abbia assunto ormai dimensioni endemiche, con milioni di assuntori in tutto il mondo, la cui domanda ha conseguentemente generato un mercato vastissimo e variegato, sempre in crescita, e un considerevole giro d’affari. La realtà produttiva necessaria a far fronte a tali volumi assume connotazioni molto variegate, passando da realtà di livello industriale alla cucina di casa dello ‘spacciatore’ di strada.

Se, per facilitarne l’analisi, volessimo schematizzare l’aspetto produttivo dei farmaci e delle sostanze a effetto dopante, potremmo utilizzare una triplice ripartizione secondo la forma e il livello di organizzazione:

  • la produzione industriale ‘etica’ di medicinali, destinati alla cura di patologie, ma i cui effetti possono costituire un potenziamento delle performance sportive, ovvero provocare un incremento delle masse muscolari per fini di cultura fisica (il cosiddetto fenomeno delle ‘diverted medicines’ o ‘drug diversion’);
  • la produzione industriale ‘dedicata’, in strutture di buon livello tecnologico operanti secondo tecniche Gmp [Good manifaturing pratices, norme di buona fabbricazione, ossia un insieme di regole e procedure con cui vengono prodotti i farmaci, ndr] ma con destinazione prevalente il mercato dell’illecito;
  • il mondo dei cosiddetti Ugl (Underground laboratoires), ovvero i laboratori clandestini allestiti senza alcuna garanzia di sicurezza.

Vedremo come la provenienza sia caratterizzante anche per la successiva destinazione con fini di doping.

La drug diversion è il fenomeno del dirottamento di farmaci leciti per scopi illeciti; parliamo quindi di medicinali prodotti dalle case farmaceutiche multinazionali o nazionali generalmente in grandi volumi, frutto di ricerca scientifica e oggetto di sperimentazione clinica, destinati a curare le patologie più diverse. Tra di essi, le categorie più soggette a diversione sono senz’altro gli steroidi anabolizzanti (testosterone e suoi derivati), gli ormoni peptidici (eritropoietine e loro evoluzioni, ormoni e altri fattori di crescita) e i corticosteroidi, a cui si aggiungono i farmaci più innovativi, i prodotti della farmacogenetica [una nuova branca della medicina che applica che le conoscenze della genetica per produrre farmaci, ndr].

Da più parti, in passato, sono state formulate accuse contro i gruppi farmaceutici, considerati poco attenti nel cogliere le sproporzioni tra il reale fabbisogno di farmaci per la cura della popolazione di persone affette da determinate patologie e l’effettiva domanda presente sul mercato. Non possiedo dati per poter esprimermi su tali tesi. È altresì documentato come la collaborazione di un produttore con l’Agenzia mondiale antidoping (Wada) abbia permesso, almeno in un caso, di smascherare efficacemente l’uso di un nuovo farmaco – l’Epo di terza generazione – mediante la predisposizione preventiva di idonei standard per il test sulle urine, segno che una collaborazione, oltre che è auspicabile, è possibile.

È comunque certo che quella della produzione lecita rappresenti la fonte di elezione per gli sportivi di alto livello, professionisti o dilettanti, realizzandosi così l’illecito a livello di canale distributivo. Questo deriva dalla necessità, per i soggetti utilizzatori sottoposti a controlli antidoping, operati anche a sorpresa e fuori dalle competizioni, di essere sicuri di cosa stiano assumendo in termini di principio attivo contenuto, di dosaggio e di farmacodinamica [lo studio degli effetti del farmaco sull’organismo e il suo meccanismo d’azione, ndr] (soprattutto in relazione alla metabolizzazione, latenza e all’escrezione urinaria). Solo un farmaco industriale controllato può garantire questo tipo di stabilità.

La ‘diversione’ di tali farmaci si realizza nelle varie fasi distributive, anche se non mancano i casi in cui a cadere preda della spasmodica ricerca di novità sono addirittura molecole ancora in fase di sperimentazione clinica (è qui necessaria la consapevole partecipazione di soggetti corrotti disponibili a far sparire il farmaco dalla sede di sperimentazione). Nei rimanenti casi i medicinali con effetto doping entrano nel canale illecito grazie a:

  • reati contro il patrimonio in danno di strutture sanitarie (creando, tra l’altro, per quelle pubbliche, un danno rilevante per lo Stato, trattandosi spesso di farmaci molto costosi), di grossisti, di autotrasportatori e altri soggetti coinvolti nella distribuzione – si crea così un vero e proprio mercato nero;
  • prescrizioni mediche false sia dal punto di vista materiale che ideologico (attestazione di patologie inesistenti) che ne permettano l’acquisto presso i soggetti autorizzati (farmacie);
  • vendita da parte delle farmacie senza il rispetto dell’obbligo di ricetta.

Gli altri due tipi di produzione nascono invece già per fine illecito e alimentano la fetta più alta in termini di valori economici del mercato nero. Quello più interessante dal punto di vista investigativo è senza dubbio il settore della produzione industriale ‘dedicata’ in strutture di livello industriale operanti secondo tecniche Gmp ma con destinazione prevalente il mercato dell’illecito.

Nei miei vent’anni di esperienza nel settore ho visto nascere dal nulla e crescere aziende, create e gestite dal crimine organizzato, in grado di stabilire in alcune particolari zone del mondo vere e proprie industrie dotate di strutture e attrezzature all’altezza di gruppi farmaceutici di medio livello.
Inizialmente lo scopo di tali strutture poteva coincidere con quello di produrre medicinali contraffatti, ovvero riprodurre farmaci ad azione dopante che costituissero repliche, più o meno fedeli, di farmaci noti già in commercio. Ricordo a metà degli anni ’90, la presenza sul mercato nero di un farmaco a base di ormone della crescita che era stato quasi perfettamente clonato dall’originale, compreso il packaging e il foglietto illustrativo. Ci accorgemmo della falsità solo all’atto di ricostruirne le fasi distributive (quel lotto, in realtà, non era mai stato prodotto, il contraffattore aveva poi esagerato nell’attribuzione del periodo di validità, sforando di un anno rispetto allo standard del produttore).

Tale tendenza è andata man mano a ridursi, anche per l’impiego da parte dei produttori reali di ingenti risorse nell’attività di monitoraggio anticontraffazione, con la possibilità di investigare.

È così che, soprattutto nel campo degli steroidi anabolizzanti, sono nati veri e propri marchi proprietari destinati dichiaratamente al mercato illecito; marchi in alcuni casi diventati storici e garanzia di alti standard produttivi (paradossalmente oggetto essi stessi dell’attacco dei contraffattori).

Geograficamente parlando, queste strutture vengono allocate in Paesi che da un lato non possiedono legislazioni rigide in termini di produzione farmaceutica, dall’altro hanno un tenore di vita della popolazione generalmente modesto, tale da rendere più facile  la corruzione dei funzionari pubblici preposti al controllo e delle forze di polizia: le zone geografiche più interessate risultano i Paesi dell’ex blocco sovietico, alcune aree dell’Asia (Cina e Thailandia in primis), il Messico.
Mi è capitato un caso, alcuni anni fa, il caso di un produttore di una nota marca di steroidi anabolizzanti, che occupa una fetta rilevante nel mercato nero mondiale e che ha stabilito la propria sede produttiva in un Paese dell’est europeo. Siamo stati costretti a incontrare i magistrati e gli investigatori di quella nazione, per una riunione sotto l’egida dell’Interpol e di un’agenzia dell’Unione Europea, al di fuori del loro Paese di origine, non potendosi essi stessi fidare del proprio ambiente nazionale per garantire la riservatezza dell’incontro.

Questi gruppi criminali riescono quindi a organizzare le necessarie reti per acquisire le materie prime provenienti prevalentemente dalla Cina, per la successiva trasformazione. Un ruolo fondamentale nel determinare la crescita esponenziale di tali traffici è senza dubbio la diffusione della rete internet, ove poi tali farmaci vengono venduti grazie alla nascita quotidiana di migliaia di siti internet dedicati.

Per dare un’idea del giro d’affari che si è creato intorno a tale fenomeno, posso citare il caso di un altro produttore di steroidi anabolizzanti di nazionalità sudafricana, anche lui ‘titolare’ di un marchio molto noto di steroidi anabolizzanti, che la Food and Drug Adminitration americana [letteralmente Agenzia per gli alimenti e medicinali, è l’ente governativo statunitense che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici, ndr]  accreditava, sulla base di un’indagine chiusa nel 2008, un fatturato di 80 milioni di dollari l’anno; parliamo del 2008 e di un solo produttore.
A partire dal 2010, quest’uomo e la sua organizzazione sono stati oggetto di un’indagine dei Nas di Firenze, durata alcuni anni e che ha portato alla luce l’esistenza di una rete di vendita a livello mondiale collegata attraverso una sofisticata rete di comunicazione online, tale da permettere comunicazioni anche criptate e in tempo reale tra i membri dell’associazione in diversi Paesi del mondo. Questa rete era capace di creare siti internet destinati alla presentazione e alla vendita dei prodotti in tutto il mondo utilizzando rotte di spedizione europee ed extraeuropee e la parcellizzazione dei carichi per minimizzare il rischio di sequestro doganale e di polizia.

Il terzo punto è rappresentato dal mondo dei cosiddetti Ugl (Underground laboratoires), ovvero i laboratori clandestini, costituiti in genere da piccole unità gestite da singoli o gruppi ristretti di criminali e allestiti senza alcuna garanzia di sicurezza. Proprio l’assoluta mancanza di garanzie di igiene e sterilità costituiscono un enorme pericolo per la salute degli assuntori.
Ho scoperto il mio primo laboratorio clandestino dove venivano confezionati steroidi anabolizzanti a Piacenza nella seconda metà degli anni 90, in cui un individuo privo di qualsiasi preparazione chimico-farmaceutica confezionava flaconi multidose di steroidi anabolizzanti nel garage di casa.

A distanza di quasi 20 anni poco è cambiato: è di qualche giorno fa la conclusione a livello mondiale dell’Operazione Underground, indagine congiunta condotta dall’Europol e dalla US Drug Enforcement Administration [Dea, polizia federale antidroga statunitense, ndr], sotto la cui egida hanno operato forze dell’ordine di quindici Stati membri (tra cui, per l’Italia, il comando Carabinieri per la Tutela della salute) e altri partner internazionali quali Australia, Islanda, Svizzera, e Interpol, con il determinante supporto dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada), che per la prima volta ha ufficialmente supportato l’azione di polizia mirata alla repressione dei traffici di sostanze doping.
L’obiettivo principale dell’operazione era appunto l’individuazione e lo smantellamento di laboratori clandestini di produzione di steroidi anabolizzanti; a livello globale sono state 135 mila le dosi di steroidi anabolizzanti sequestrate, oltre a 636 chilogrammi di principi attivi di origine cinese, due milioni di dollari americano, oltre a beni mobili e attività. Sono stati eseguiti 92 arresti, decine perquisizioni e sequestrati 16 laboratori clandestini per la produzione di steroidi».

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