Il rispetto della legge nel Mar Cinese Meridionale

All’inizio di questo mese, dopo lunga attesa, il tribunale internazionale dell’Aia, in Olanda, ha sentenziato all’unanimità che non ci sono le basi legali per la ‘nine-dash line’ [la linea di demarcazione ideale sulla base della quale la Cina accampa i propri diritti sul Mare della Cina del Sud, ndr].
Pechino rivendica la sovranità sulla maggior parte del Mar Cinese Meridionale, continuando a ignorare le esclusive zone economiche delle nazioni confinanti (Filippine, Indonesia, Taiwan, Vietnam, Tailandia, Malesia e Singapore) sancita dalla Convenzione delle Nazioni Unite nella Legge del Mare del 1996.

I giudici hanno sentenziato che qualsiasi diritto storico che la Cina potesse aver avuto in passato, è stato estinto – entro le 200 miglia nautiche (370 chilometri) – dallo specifico trattato delle Nazioni Unite. Avendo ratificato l’accordo il partito-Stato di Pechino ha accettato la legittimità della corte. Il tentativo di tirarsi indietro dai propri impegni relativi alla risoluzione delle dispute assunti dieci anni fa, è pertanto nullo e privo di fondamento per la legge internazionale.
Ma Pechino, basandosi su delle mappe antiche, continua ad affermare la propria titolarità su oltre il 90 percento di quest’area di mare. Al centro della disputa è un arcipelago di aride isole divise in gruppi, fra le cui le isole Spartly al largo della costa delle Filippine.

La corte ha ritenuto di considerare le isole Spratly (rivendicate da Filippine, Cina, Vietnam, Malesia e Brunei) come «mera roccia» o «terre affioranti con bassa marea senza status territoriale», che non possono sostenere la vita umana, e pertanto non considerabili zone economiche soggette alla Legge del Mare.

Il Financial Times riporta che lo scorso marzo Barack Obama ha messo in guardia dalle gravi conseguenze che potrebbero portare le continue rivendicazioni dell’esercito cinese sulla terra della Scarborough Shoal (a meno di 125 miglia dalle coste delle Filippine, alleate con un patto di mutua difesa con gli Stati Uniti). La marina e l’aviazione degli Stati Uniti hanno iniziato quindi a pattugliare più aggressivamente la zona. Poco dopo la sentenza della corte, Pechino ha diffidato gli altri Paesi dal contestare le sue nuove legittime rivendicazioni nel Mar Meridionale Cinese, dicendo che avrebbe preso tutte le misure necessarie per proteggere la sovranità sulle proprie acque.

Precedentemente, era circolata la notizia secondo cui la Cina starebbe prendendo in considerazione il fatto di dichiarare una Zona di Identificazione di Difesa Area sul Mar Meridionale Cinese: tutti gli aerei stranieri sarebbero obbligati a identificarsi per avere il permesso di sorvolare la zona.
Agli inizi di luglio le forze armate cinesi hanno condotto esercitazioni navali e aree nella regione. La Corte Permanente di Arbitrato ha definitivamente sentenziato che la Cina «non ha diritti storici» sulle contese e ricche acque, che sono diventate una rotta centrale per il trasporto marittimo e per l’economia globale, poiché vi transitano attualmente più di 5 trilioni di dollari di scambi commerciali ogni anno.

I media del partito-Stato cinese hanno inizialmente ignorato la sentenza, definendola bizzarramente una «farsa» e una cospirazione americana. Subito prima che la sentenza fosse pubblicata, l’agenzia di informazioni Xinhua riportava che dei velivoli civili cinesi avevano eseguito con successo dei test sui nuovi aeroporti costruiti sulle isole Spratly. Pechino ha inoltre costruito degli isolotti artificiali sui quali mettere delle piccole piste di atterraggio per un possibile uso militare.

Gli Stati Uniti hanno regolarmente inviato navi da guerra e arei di ricognizione attraverso la «nine-dash line» che Pechino rivendica quale proprio confine marittimo, per sottolineare il proprio impegno nei confronti della libertà di navigazione. Queste acque, fra l’altro, producono un decimo di tutto il mercato mondiale del pesce, mentre il fondale marino si pensa contenga almeno 10 miliardi di barili di petrolio e circa 5 trilioni di metri cubi di gas naturale.

Il verdetto era previsto da tre anni. Le Filippine  avevano originariamente richiesto un pronunciamento dopo che le navi cinesi avevano ripetutamente impedito ai pescatori filippini di raggiungere l’isolotto-secca di Scarborough Shoal a ovest dell’isola filippina di Luzon.
La corte ha affermato che, sebbene essa non abbia competenza per deliberare su chi abbia la sovranità su Scarborough Shoal, può però sentenziare che la Cina «ha violato il suo dovere di rispettare i diritti tradizionali della pesca dei pescatori filippini» impedendo loro di accedere alla circostante zona ricca di pesce.

Il tribunale ha inoltre aggiunto che la Cina ha causato un danno significativo alla barriera corallina (come ad esempio nel caso della Mischief Reef) dragando il fondale marino per costruire le isole artificiali. In questo modo, Pechino ha violato un suo solenne impegno di tutela del fragile ecosistema marino.

Il Cina Global Times ha definito la sentenza una «brutale violazione» che potrebbe intensificare le tensioni militari, ma in realtà ai sensi della legge internazionale, potrebbe essere un bene incoraggiare altri Paesi del Sud-est asiatico a cercare una pronuncia sui propri territori contesi con la Cina.

L’aeronautica cinese potrebbe continuare a sostenere le rivendicazioni di Pechino sulla proprietà e la sovranità della maggior parte del Mar Cinese Meridionale, a dispetto del fatto che la corte internazionale abbia sentenziato l’opposto.

Sebbene Pechino affermi che gli altri governi sono dalla sua parte, quelli che finora hanno commentato hanno richiamato tutte le parti al rispetto della decisione della corte, e nessuno sembra essere d’accordo con Pechino sul fatto che il tribunale sia illegittimo.
Il partito-Stato calpesta i principi dello Stato di diritto nel proprio Paese, ma danneggerebbe sé stesso ancor più gravemente se iniziasse a considerarsi anche al di sopra della legge internazionale.

Per saperne di più:

 

David Kilgour, ex magistrato federale canadese, ha prestato servizio alla Camera dei Comuni del Canada per circa 27 anni. Durante il mandato di Jean Chretien, è stato segretario di Stato (Asia-Pacifico). È autore di molti libri e co-autore con David Matas di ‘Bloody Harvest: The Killing of Falun Gong for Their Organs‘.

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Articolo in inglese: The Rule of Law and the South China Sea

 

 
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