Intervista al creatore del celloridoo, il primo ‘violoncello a fiato’

Unire un violoncello con il didgeridoo, uno strumento australiano a fiato, può sembrare una cosa strana e inutile. Ma per Aidin Ardjomandi, designer iraniano di 27 anni, la combinazione tra questi due strumenti migliora la creatività e crea un coinvolgimento spirituale: così è nato il celloridoo.

Arrivato al terzo posto nel concorso ‘A design award &Competion’ del 2015, Ardjomandi sostiene che «se si vuole creare un coinvolgimento spirituale, uno strumento deve essere acustico, e non digitale come le tastiere», si legge sul suo sito. Epoch Times, mosso da interesse e curiosità, lo ha intervistato.

Dove hai preso l’ispirazione per creare questo strumento?

Il mondo sta diventando sempre più piccolo giorno dopo giorno e ora le persone con culture diverse sono così vicine le une alle altre. In questa situazione si creano sempre nuovi tipi di relazioni. Queste relazioni sono davvero interessanti per me e mi hanno anche spinto a utilizzare questa percorso nei miei disegni.

Riguardo a questo strumento: suono la chitarra e il didgeridoo [un antico strumento a fiato suonato da diverse culture, tra cui quella aborigena, ndt] e ho sempre bisogno che qualcuno si unisca a me per fare un duetto, ma tutti gli strumenti musicali sono incredibili individualmente e il genere fusion mi piace molto. Così ho iniziato a unire gli strumenti musicali per colmare questa lacuna.

Il risultato è nato combinando il didgeridoo australiano con il violoncello occidentale con un’estetica persiana. Così è nato il Celloridoo!

È necessario un particolare tipo di respirazione per suonarlo? Ci puoi spiegare come si fa?

No, non proprio. Esiste un particolare tipo di tecnica respiratoria per suonare senza sosta alcuni strumenti a fiato come il didgeridoo, chiamato respiro circolare. In questo metodo il musicista inspira con il naso mentre nello stesso momento espira l’aria dalla bocca immagazzinata nelle guance.

Ma è una decisione del musicista se usare o no questo metodo. In questo strumento questa tecnica è necessaria se si vuole suonare sempre la parte aerofona e aggiungerci il suono delle corde.

Cos’è per te la musica?

Credo che dobbiamo ‘riempire i nostri sensi’!

La musica fa alla mia anima quello che già fanno le belle arti. Cerco di sentire la musica, nota per nota, come quando si sente un dipinto, colore per colore. Ci sono cinque sensi tradizionali che ci mettono in contatto con il mondo e sento di dover usarli in maniera pura. La musica è una di queste vie.

Hai parlato di spiritualità legata agli strumenti acustici… Puoi dirci qualcosa?

Quando premi un tasto sulla tastiera il suono esce chiaramente, ma non si sente quello che hai fatto. Voglio dire, c’è sempre un collegamento tra quello che hai fatto e il suono. A volte è una cpu e talvolta si tratta di un amplificatore, ma quando si soffia in uno strumento acustico a fiato si sente spiritualmente che il respiro è diventato direttamente la vibrazione che produce il suono. È lo stesso quando si utilizza un arco o si pizzica una corda. Penso che la vibrazione del legno o dell’ottone sia un sensazione spirituale.

Lo strumento esiste già? Se no, come hai fatto l’audio del video?

Sì, ho costruito tre prototipi di Celloridoo; ci sono alcuni problemi ergonomici e acustici che ho riparato nel terzo esemplare e attualmente sto lavorando su alcuni dettagli del corpo dello strumento.

Riguardo al suono nel video, è stato sintetizzato dal computer a causa dei problemi che avevo in quel periodo. Avevo pensato di spiegare ai membri della giuria il modo in cui suonerà, e siccome non ci sarà nessuno che suonerà questo strumento in modo accettabile, alla fine ho deciso di sintetizzare il suono.

Il Celloridoo è pronto per l’inaugurazione nel novembre 2015.

Ardjomandi ha aggiunto alla fine dell’intervista che aveva intenzione di recarsi a Como per una cerimonia di premiazione sul design, su invito della ‘A Design Award & Competition’, per questo motivo qualche giorno fa era andato presso l’ambasciata italiana di Teheran. Qui, alla richiesta di ottenere un visto per viaggi internazionali, ha riferito di sentirsi rispondere in questo modo da una persona non specificata: «Non siamo sicuri che tornerete di nuovo nel vostro Paese», nonostante Ardjomandi, avesse precisato di essere un designer riconosciuto in Iran e di avere lì famiglia e lavoro.

A tale proposito Epoch Times ha chiesto via mail chiarimenti a Mauro Conciatori, ambasciatore italiano in Iran. Massimo Paolozzi, che lavora nell’ufficio capo visti dell’Ambasciata italiana a Teheran, ha risposto che «per motivi di riservatezza non è possibile rivelare a terzi le informazioni».

«Sappia comunque che la sua pratica è stata attentamente valutata, sia in ordine ai documenti prodotti sia in ordine ad analoghe istanze pregresse e che, all’esito delle verifiche effettuate, non sono stati riscontrati i requisiti per il rilascio del visto, in special modo con riferimento al rischio immigratorio, particolarmente elevato in Iran», ha precisato Paolozzi.

Ad ogni modo secondo Ardjomandi le ragioni del mancato conferimento del visto sono state «inaccettabili».

 
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