Mare Cinese Meridionale, Duterte abbandona gli Usa e si allea alla Cina

Il controverso presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è stato criticato per la sua violenta campagna contro il crimine, ma è la sua decisione di rivedere la politica estera che sta agitando le acque del Mare Cinese Meridionale.

Il 20 ottobre, infatti, Duterte ha reso esplicita una minaccia portata avanti per mesi: rompere la storica alleanza con gli Stati Uniti e allineare il Paese con Cina e Russia.

I rapporti con gli Stati Uniti sono diventati difficili dopo l’inizio di un bagno di sangue nelle Filippine, conseguenza del fatto che la polizia è stata incoraggiata a uccidere gli spacciatori di droga. Questa campagna ha attirato le critiche del mondo occidentale, che sono state interpretate da Duterte come un segno di sfida e come un invito a unirsi a Russia e Cina.
Durante i primi cento giorni in carica, il presidente filippino ha quindi interrotto i pattugliamenti congiunti fra Stati Uniti e Filippine, ha richiesto che le forze speciali degli Stati Uniti lascino la regione e ha minacciato di porre fine alla decennale alleanza fra i due Paesi.

Duterte inoltre ha sfidato gli Stati Uniti e l’Unione Europea a fermare gli aiuti umanitari e ha affermato che se necessario si rivolgerà a Russia e Cina per armi e finanziamenti. In merito a questo, il 19 ottobre, durante il suo viaggio in Cina, il presidente ha sorpreso gli osservatori mettendosi a chiedere aiuti in una serie di interviste con i media di Stato cinesi. Il giorno successivo, poi, ha reso ufficiale la propria posizione tenendo un discorso nella Grande sala del popolo di Pechino di fronte a uomini d’affari filippini e cinesi, fra i quali figurava tra l’altro il vice primo ministro Zhang Gaoli; Duterte secondo la Reuters ha poi dichiarato: «Annuncio la mia separazione dagli Stati Uniti. Mi sono riallineato al vostro flusso ideologico e forse farò visita al presidente russo Vladimir Putin per comunicargli che ora siamo in tre, contro il mondo: Cina, Filippine e Russia. Questa è l’unica strada da percorrere».

Questo annuncio è stato il momento culminante del viaggio di Duterte, che in Cina è stato caldamente ricevuto fin da subito; in precedenza, la Cina aveva manifestato sostegno anche per la sua guerra alla droga.

Time sostiene che dall’elezione di Duterte a maggio, sono stati uccisi più di 3 mila presunti spacciatori di cui oltre mille e 500 morti in scontri a fuoco con la polizia. Il presidente filippino ha incoraggiato una politica dello «sparare per uccidere» e ha affermato che sarebbe felice di vedere uccisi tre milioni di tossicodipendenti, paragonando la sua campagna all’olocausto.

Queste esecuzioni sommarie sono state condannate da gruppi a sostegno dei diritti internazionali e dai Paesi occidentali, fra cui gli Stati Uniti. Duterte, soprannominato ‘il Castigatore’, ha risposto utilizzando un linguaggio a diro poco forte nei confronti del presidente degli Stati Uniti, arrivando a mandarlo «all’inferno».

L’AVVICINAMENTO A RUSSIA E CINA

Gli Stati Uniti sono stati per le Filippine un fornitore chiave di armi e aiuti sanitari per decenni, ma ora Duterte afferma di poter ottenere gli armamenti ovunque, tanto che il 5 ottobre ha dichiarato: «Ho inviato dei generali in Russia e i suoi funzionari ci hanno assicurato di non preoccuparci perché sono disposti a fornirci ogni cosa di cui abbiamo bisogno. Per quanto riguarda la Cina, il governo ci ha invitato nel Paese per firmare un accordo».

Sebbene il populista Duterte, col suo piglio spavaldo, abbia un certo appeal nel proprio Paese, gli analisti sostengono che in questo modo stia sottomettendo alla Cina.

Per Malcolm Davis, un analista esperto dell’Istituto di politiche strategiche australiane, «È chiaro che il governo cinese sta sfruttando questa opportunità quanto più possibile; lo suoneranno come un violino. Cercheranno di ottenere da lui il massimo, e questo potrebbe minare completamente le politiche e le posizioni strategiche occidentali del Mar Cinese Meridionale».

IL MARE CINESE MERIDIONALE

La posta in gioco nel Mar Cinese Meridionale è alta. A luglio, un tribunale internazionale ha sentenziato in favore delle Filippine contro Pechino, prendendo una decisione di estrema importanza in una disputa territoriale sulla regione del Mar Occidentale delle Filippine. Tuttavia, i funzionari cinesi hanno rifiutato di riconoscere la decisione e hanno continuato a impedire ai pescatori filippini di avere accesso alla Scarborough Shoal, un’area di pesca in territorio filippino.

Duterte ha dichiarato ai media che durante la visita in Cina non avrebbe risollevato la sentenza del tribunale. Una volta nel Paese infatti ha affermato ai giornalisti locali che non avrebbe rilanciato la questione se non in risposta ai leader cinesi: «Devo essere cortese, e devo aspettare che il vostro presidente ne parli prima di rispondere».

Il 20 ottobre Duterte ha poi dichiarato che i due Paesi lavoreranno insieme per risolvere la questione.

Tuttavia, a seconda di come sarà risolta la situazione, il presidente filippino potrebbe incagliarsi nella Corte Suprema del proprio Paese: alla vigilia del suo viaggio, un giudice della Corte Suprema filippina ha infatti messo in guardia il presidente dicendogli che se dovesse cedere un qualsiasi territorio delle Filippine durante il suo meeting con le autorità cinesi, verrebbe incriminato. Il 16 ottobre, all’aeroporto internazionale di Davao, Duterte ha risposto ammettendo: «Ha ragione. Verrei incriminato».

Tuttavia, il 10 ottobre il presidente delle Filippine ha dichiarato ai funzionari del proprio Paese che potrà fare poco per difendere il territorio filippino dalla Cina: «Non ci possiamo soffermare sulla Scarborough Shoal perché non ne abbiamo la possibilità. Anche nel caso dovessimo esprimere la nostra rabbia, non porterebbe a nulla. Non potremmo sostenere la posizione».

LA FORZA MILITARE

Storicamente, Stati Uniti e Filippine hanno forti accordi militari e economici. Secondo InsideGov, nel 2012 gli Stati Uniti hanno fornito al Paese poco meno di 200 milioni di dollari, di cui una grossa parte (31 milioni) destinati agli aiuti militari. Le Filippine inoltre fanno parte del Trattato di mutua difesa attraverso il quale le forza armate del Paese ricevono equipaggiamenti e supporto di intelligence dagli Stati Uniti. Ma dato che Duterte sembra aver superato il punto di non ritorno nel voltafaccia a favore di Russia e Cina, ormai tutto questo è irrilevante. In merito Davis afferma: «Se le relazioni si esauriscono il loro esercito sarà abbandonato a se stesso. È come se tutto venisse gettato dalla finestra».

Sarà difficile per le truppe filippine adattarsi agli armamentari russi o cinesi e Duterte deve stare attento a come tratta i proprie soldati, dato che le Filippine hanno una lunga storia di colpi di Stato militari, nonostante il governo dell’ex presidente Corazon Aquino sia riuscito a creare una certa stabilità nel Paese.

UN INCUBO STRATEGICO

Davis crede che il prostrarsi di Duterte alla Cina sia come l’atteggiamento di «un giocatore di poker scarso con una brutta mano… Non può vincere».

Davis sostiene che sebbene possa esserci un commercio di armi, è improbabile che la Cina voglia contribuire in alcun modo ai movimenti di insurrezione nel sud: «Non credo che i cinesi vogliano sostenere alcun costo per ottenere quello che vogliono. Semplicemente se lo prenderanno e basta». Infatti, se si considera quanto a Pechino siano determinati a guadagnare il controllo strategico del Mare Cinese Meridionale e a rovinare le alleanze strategiche degli Stati Uniti, Duterte sta facendo proprio il loro gioco.

 

Articolo in inglese: Phillippine President Breaks Ties With US, Realings With China and Russia

Traduzione di Davide Fornasiero

 

 
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