Pomodoro mezzosangue

Le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina crescono drasticamente: nel 2010 ne importavamo la metà in più (120,9 mila tonnelate) rispetto al 2009 (82 mila tonnellate) e, dopo un crollo nel 2014, l’anno scorso le importazioni (64 mila tonnellate) sono quasi quintuplicate rispetto alle 14 mila tonnellate del 2014. In tutto, dall’estero importiamo 180 mila tonnellate di concentrato di pomodoro.

Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti, spiega che il 18-20 per cento del concentrato di pomodoro lavorato in Italia proviene dall’estero. Il pomodoro cinese, secondo dati dell’anno scorso, costituisce il 10 per cento del pomodoro che viene considerato Made in Italy (quello realmente italiano è l’80-82%): nella maggior parte degli alimenti, infatti, viene indicato solo il Paese dove si è tenuta l’ultima sostanziale trasformazione e non quello di origine del semilavorato. Dalla Cina viene quindi importato un concentrato di pomodoro semilavorato a cui è stata tolta l’acqua – per diminuirne il peso e quindi i costi di trasporto – e poi «viene inscatolato in Italia, portato a minore concentrazione e diventa Made in Italy».
Il consumatore non ha alcun modo di sapere se i prodotti derivati del pomodoro, che sull’etichetta sono considerati Made in Italy, derivino effettivamente da pomodori italiani. Fa eccezione solo la passata di pomodoro, spiega Bazzana, che è vincolata a segnalare l’origine dei semilavorati sull’etichetta.

Tuttavia anche qui la realtà potrebbe essere differente. Nel 2015 Antonio Borrelli, giornalista del Giornale, si è infiltrato in uno stabilimento di Napoli che trasforma il pomodoro fresco in passata San Marzano, raccontando poi in un articolo del 30/04/2015 quello che ha scoperto: un dipendente gli aveva rivelato che per la produzione della passata di pomodoro, il concentrato di pomodoro San Marzano veniva mischiato con il concentrato cinese, che costituiva dal 50 al 70 per cento della passata finale.
«La maggior parte dei nostri carichi – confessava il dipendente – finisce nei supermercati inglesi e tedeschi ma c’è anche un 20 per cento destinato al mercato italiano». Quindi nemmeno la passata, che dovrebbe essere garantita, è al sicuro. E non è possibile sapere quanto questo meccanismo sia diffuso.

Sebbene, facendo un rapido calcolo, la quantità di pomodoro cinese che finisce sulle nostre tavole dovrebbe essere piuttosto bassa (sarebbe il 2 per cento per la passata, se tutte le aziende si comportassero come quella presa in esame, ma la percentuale potrebbe essere un po’ più alta per gli altri derivati del pomodoro) anche il fatto che all’estero venga venduto pomodoro spacciato per italiano non è meno grave, dal momento che nel lungo periodo potrebbe distruggere l’immagine di alta qualità di cui l’Italia da sempre gode nel settore alimentare. Inoltre, le importazioni dalla Cina sono sempre in aumento, quindi il fenomeno potrebbe andare fuori controllo.

Ma perché importiamo il pomodoro, se in realtà con la nostra produzione nazionale saremmo autosufficienti? Semplicemente perché costa meno, e in teoria dovrebbe essere destinato al mercato estero. Tuttavia la Coldiretti è certa che questi pomodori finiscano sulle nostre tavole, e di fatto non c’è motivo per escluderlo, dato che solo nel caso della passata, sarebbe illegale il marchio Made in Italy. E se avviene persino quando è illegale, figurarsi quando è legale.

2 PIZZE SU 3 CON INGREDIENTI STRANIERI?

In un comunicato del 20 aprile 2016, la Coldiretti denunciava, inoltre, che almeno la metà delle pizze servite in Italia sono fatte con grano proveniente dall’estero, e che 2/3 delle pizze contengono mozzarella lituana e salsa di pomodoro cinese. Il comunicato non specifica da dove provenga la stima e se sia una supposizione basata sulle importazioni dei prodotti o derivi invece da esami diretti.

Per Bazzana, un’etichettatura più stringente, che indichi il Paese di provenienza della materia prima, sarebbe l’ideale per il consumatore: «Perché poi se uno scopre che il pomodoro cinese costa poco ed è buono lo compra», ed è libero invece di non farlo se non è soddisfatto del rapporto qualità/prezzo.

Ci sono anche casi in cui i prodotti importati possono essere dannosi. Denuncia l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) che il 92 per cento dei campioni analizzati di broccoli cinesi sono risultati non a norma, per via della presenza di residui chimici tossici. Al secondo posto tra gli alimenti meno sicuri vi è il prezzemolo proveniente dal Vietnam (78 per cento) e il basilico indiano (60 per cento).

Nonostante l’Italia sia patria di pomodoro, olio e mozzarella di qualità, di fatto la logica del mercato rende conveniente l’importazione da Paesi esteri, specialmente quelli in cui i costi sono abbattuti a causa di lavoratori in condizioni economiche precarie e dove i diritti degli stessi e i controlli sono di gran lunga inferiori.

Il caso più tragico è quello cinese, con le ‘fabbriche lager’ (luoghi di lavoro a elevato sfruttamento dei lavoratori) o peggio i campi di lavoro, dove sia criminali che dissidenti politici e perseguitati religiosi sono costretti a lavorare per turni massacranti, senza paga, con scarso nutrimento e tra l’altro in condizioni igieniche pessime. I campi di lavoro, ufficialmente aboliti da Xi Jinping, in realtà hanno cambiato solo nome e continuano a fare quello che hanno sempre fatto, forse con ancor meno controlli. Spesso infatti si ‘travestono’ da aziende, pubblicizzando le loro esportazioni su dei siti web attraenti, e in alcuni casi possono trarre in inganno le aziende partner estere, sebbene, in teoria, nel 2016 l’informazione sul tema non dovrebbe mancare. Tranne per chi fa finta di non sapere.

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