I piani militari della Cina nel Mar Cinese Meridionale

I piani della Cina nel Mar Cinese Meridionale sembrano passare dall’insolito al bizzarro. Da dicembre 2013, il governo cinese ha creato quasi 1.200 ettari di terreno sulle isole Spratly, nel Mar Cinese Meridionale.

Servendosi di diverse navi, sta estraendo sabbia e fango dal fondale dell’oceano per realizzare delle nuove isole sulle quali poi costruire piste di atterraggio, caserme e installare apparati di sorveglianza.

Un rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (Dod) rilasciato lo scorso giovedì, ha spiegato che la Marina dell’Esercito di liberazione del Popolo «ha bonificato, nell’arco di venti mesi, una quantità di terreno 17 volte superiore a quella bonificata da tutti gli altri pretendenti messi assieme nel corso degli ultimi quarant’anni». Quasi il 95 per cento del territorio rivendicato nelle isole Spratly è adesso sotto la bandiera cinese.

Questo, comprensibilmente, ha creato agitazione sia nella regione che a livello internazionale. Il 5 agosto, mentre la pressione internazionale si stava facendo sempre più forte, la Cina ha promesso che si sarebbe fermata. Tuttavia, questo solo dopo avercela messa tutta per costruire un’ultima isola: secondo lo stesso rapporto del Pentagono, 365 dei 1.200 nuovi ettari di territorio sono stati creati in un solo mese tra maggio e giugno.

Chi ha seguito la vicenda ricorda senz’altro cosa sia accaduto tra maggio e giugno: gli Stati Uniti avevano intensificato gli sforzi per lavorare con i Paesi confinanti della Cina e, il 30 maggio al dialogo sulla sicurezza di Shangri-La, il segretario Carter aveva annunciato l’avvio dell’Iniziativa per la sicurezza marittima del Sud-Est asiatico, con l’obiettivo di affrontare le sfide marittime nella regione.

Il regime cinese, messo all’angolo, prometteva che si sarebbe fermato. Il 5 agosto, Reuters pubblicava inoltre un ampio articolo sull’argomento dal titolo: La Cina afferma di aver smesso reclamare il diritto di effettuare lavori di bonifica nel Mar Cinese Meridionale.

Tuttavia, quelli che pensavano che la Cina stesse realmente rallentando le sue attività sono stati profondamente ingannati. «Gli organi di stampa negli Stati Uniti, l’hanno interpretato come un cambiamento della sua politica, quando in realtà non lo era affatto», ha commentato in una precedente intervista con Epoch Times Mira Rapp-Hooper, direttore dell’Iniziativa per la trasparenza marittima in Asia presso il Centro per gli Studi strategici e internazionali.

«Questo significa che stanno passando alla fase due, ovvero alla costruzione delle strutture su queste isole». Inoltre, avviando la realizzazione di nuove isole galleggianti, la strategia della Cina si sta facendo più creativa.

La notizia che la Marina dell’Esercito di liberazione del Popolo sta adesso costruendo delle ‘strutture galleggianti molto estese’ (definite con l’acronimo inglese ‘Vlfs’), è stata riportata per la prima volta il 9 agosto da Navy Recogniton, una rivista online del settore della difesa navale. «La prima Vlfs identificata è lunga chilometri ed è composta da moduli galleggianti collegati tra loro. Può essere assemblata secondo le esigenze e utilizzata come molo, base logistica o aeroporto galleggianti. Collegando diverse piattaforme galleggianti, si può realizzare una grande isola, un aeroporto o una base marina, strutture che si rivelerebbero molto utili sia per uso militare che civile».

La storia sulle Vlfs è stato riportata il 10 agosto dal sito d’informazione Business Insider (sebbene per qualche ragione sia stata eliminata).

La Navy Recogniton ha anche incluso un video che mostra la ricostruzione virtuale del funzionamento delle strutture.

        Per saperne di più:

Articolo in inglese: ‘China’s ‘Dr. Evil Plan’ in the South China Sea

 
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