Sindrome cinese

A luglio 2015, il mercato azionario cinese ha sperimentato le più grosse perdite degli ultimi sei anni e il forte intervento di Pechino ha provocato più domande che risposte. Lo Shanghai Composite Index è sceso del 14 per cento nel mese di luglio, perdendo il 10 per cento nell’ultima settimana, senza contare la straordinaria volatilità che ha dominato la Borsa di Shanghai.

Il crollo del 32 per cento tra il 12 giugno e l’8 luglio, ha portato il Partito Comunista Cinese ad attuare delle misure disperate per arginare le perdite, tra cui sostenere le società finanziarie che operano a margine, vietare la vendita allo scoperto e dare istruzioni affinché i fondi statali intervenissero sul mercato acquistando direttamente determinati pacchetti azionari.

In quest modo, il 23 luglio, lo Shanghai Composite ha temporaneamente recuperato del 18 per cento, ma la scarsa fiducia nei confronti di Pechino per la cattiva gestione dei mercati e l’incertezza delle future scelte politiche, sono state causa di elevata volatilità e di pericolose ‘altalene’ dell’indice di Borsa anche nell’arco di uno stesso giorno.

Ma, nonostante questa ‘svendita’, le azioni cinesi appaiono ancora sopravvalutate: la mediana del rapporto prezzo-utile delle azioni sullo Shanghai Composite è di circa 40, più del doppio dell’equivalente rapporto per l’indice S&P 500.

FUGA DALLE BANCHE

Per gli investitori ci sono alcuni punti chiave da ricordare, in queste recenti altalene di mercato: il settore finanziario cinese deve essere evitato, in particolare le grandi banche; il settore bancario deve affrontare due ostacoli, ossia assorbire il rischio di finanziare la bolla del mercato azionario e, al tempo stesso, correre il rischio di essere schiacciata da un mercato dominato da bassi tassi d’interesse.

La Commissione di Vigilanza cinese, alla fine di luglio ha dichiarato che i recenti sforzi per supportare il mercato azionario, sono stati in parte adottati per combattere il «rischio sistemico» della caduta dei prezzi delle azioni. Ma in questo annuncio non ha detto che, in realtà, sono stati proprio i suoi sforzi a creare un gigantesco rischio sistemico nel settore bancario.

Il 28 luglio Reuters ha riferito che le banche cinesi stavano cercando di «fare i conti con la loro esposizione finanziaria nel mercato azionario». È un compito difficile, considerato il numero di prestiti concessi dalle banche cinesi a imprese del mercato grigio, come piccole banche commerciali, società di gestione del risparmio, società di credito al consumo e trust.

I dati di J Capital Research, hanno mostrato che il volume dei prestiti interbancari cinesi è aumentato, di molto, nella prima metà del 2015. A giugno le transazioni sui pronti contro termine totali e i reverse repo ha raggiunto l’equivalente di quasi seimila miliardi di euro. Una crescita di quasi tre miliardi di euro (l’86 per cento) a partire da gennaio 2015. I pronti contro termine, sono essenzialmente prestiti a breve termine tra le imprese che forniscono titoli a garanzia, mentre i reverse repo si riferiscono alla stessa transazione, ma dal punto di vista dell’acquirente.

C’è una mancanza di trasparenza nel sapere dove i fondi vengono ‘liquidati’ in via definitiva, ma la risposta probabilmente è il mercato azionario attraverso il finanziamento a margine.

La People’s Bank of China, sta ulteriormente mettendo una stretta alle banche con i tagli di quest’anno sui tassi d’interesse. Questo crea pressione sul margine d’interesse netto, ovvero la differenza tra il tasso debitore di una banca e gli interessi maturati sui prestiti.

OPPORTUNITÀ NEL BREVE TERMINE

Finora Pechino ha assicurato di continuare a sostenere il mercato e di punire i venditori allo scoperto e chi si impegni in «attività sospette di trading». Le società d’intermediazione e i gestori patrimoniali controllati dallo Stato, hanno anche promesso alle autorità di continuare a comprare i titoli fino a quando lo Shanghai Composite arrivi a 4.500 punti, ossia il 18 per cento in più rispetto al 31 luglio.

Le autorità cinesi equiparano il mercato al rialzo alla stabilità sociale, che è una delle più grandi insicurezze del regime comunista. Così Pechino rischia di sacrificare le riforma di lungo termine in nome della stabilità a breve termine del mercato.

Per saperne di più:

Queste sono le grandezze note. Come il mercato – in particolare il mercato dei piccoli investitori –reagirà a questi eventi non si sa. Per gli operatori di Borsa (o trader) esperti, la volatilità e il malfunzionamento del mercato a volte possono essere una grande opportunità.

Durante il crollo del mercato azionario della Borsa di Shanghai a luglio, un gran numero di titoli sono stati sospesi per giorni, se non settimane. Questo ha creato grandi disconnessioni tra il valore relativo di certe aziende e settori, e il prezzo dei titoli; una situazione che può generare profitti nel breve termine.

Le recenti altalene di mercato, «hanno creato una notevole dispersione dei divari tra i fondamentali e le valutazioni sui mercati», ha dichiarato Robert McConnaughey, responsabile capo della ricerca presso la Columbia Threadneedle Investments. «Per gli investitori pazienti con le risorse e le capacità di ricercare e indagare queste situazioni, ci potranno essere momenti di entusiasmanti opportunità di scelta dei titoli attraverso questo ‘riordino’».

L’OMBRA DELLA DEPRESSIONE DEL 1929

Nel lungo periodo c’è ben poco vantaggio nell’investire in azioni cinesi, a meno che il regime comunista non cambi la sua politica. I mercati finanziari hanno perso tutta la credibilità che Xi Jinping, capo del regime, aveva costruito negli ultimi anni nel tentativo di diversificare e riformare i mercati finanziari.

Il modus operandi ricorrente di Pechino, è quello di sostenere e salvare qualsiasi settore importante che non abbia successo. L’eccessivo ‘leveraggio’ e il debito, sia nei confronti delle società che del governo, alimentano i rischi.

Per dare al mercato azionario cinese una possibilità di farcela a lungo termine, i politici di Pechino devono cambiare completamente politica.
«Il ruolo dello Stato come regolatore nel proteggere gli standard e mitigare i rischi, non dovrebbe essere compromesso dalle pressioni contrastanti che sostengono l’aumento dei prezzi azionari», ha scritto Yukon Huang del Carnegie Endowment ed ex direttore della sede di Pechino della Banca Mondiale. «Perché questo accada, il ruolo e la responsabilità degli alti funzionari delle agenzie di regolamentazione, come la Commissione Regolatoria di Sicurezza della Cina, devono essere chiaramente separati dal personale lavorativo nel Partito, che fornisce fiducia dicendo che i suoi mercati azionari sono dei mercati reali».

E qui risiede il problema dei mercati finanziari: i mercati finanziari della Cina non sono guidati dall’offerta, dalla domanda e dall’economia che ne sta alla base. Invece di lasciare che il mercato si corregga e promuova modelli di crescita più sani, il regime ha ritenuto praticamente ogni angolo dell’economia – dall’immobiliare alle imprese di proprietà statale, dalle banche al mercato azionario – come «troppo grande per fallire».

Scott Minerd, chief investment officer di Guggenheim Partners, l’ultima settimana di luglio scriveva: «Se i politici cinesi non modificano presto le cose, l’attuale correzione del mercato azionario cinese potrebbe trasformarsi in un crollo del mercato azionario simile a quello che è successo negli Stati Uniti nel 1929».

Articolo in inglese: ‘China’s ‘Too Big to Fail’ Stock Market Could Trigger a Depression’

 
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