‘Il Leone di Vetro’: una storia attuale di 150 anni fa

Pienone in sala per l’anteprima de Il Leone di vetro. Il primo lungometraggio di Salvatore Chiosi è stato proiettato venerdì sera nel cinema Multisala Astra al Lido di Venezia in occasione della 71esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
Tra gli applausi e i «bravi», qualcuno ha gridato: «coraggioso», un complimento rivolto soprattutto a Chiosi.
Il regista ha dichiarato di esserne meravigliato. Ritiene che se è stato coraggioso in qualcosa è stato solo nello scommettere di essere accettato come meridionale nel raccontare una storia del nord; ma Il Leone di vetro, secondo il regista napoletano, appartiene a tutti,  perché è un dramma raccontato in un momento storico in cui c’erano situazioni simili in vari Stati in Italia.
«Questa sceneggiatura mi ha dato modo di riguardare anche la mia storia», è stato un lavoro portato avanti con la coscienza di raccontare una storia «discutibile forse, ma possibile», afferma il regista.

Il cast del film ‘Il Leone di Vetro’ riceve gli applausi del pubblico dopo la proiezione dell’anteprima del 29 agosto 2014 durante la71 esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. (Massimo Marcon/EpochTimes)

IL FILM

La pellicola parla delle vicende vissute dalle famiglie venete dei Biasin, produttori e commercianti di vino Raboso, e dei Querini, nobili proprietari di vigne, nei giorni a cavallo dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia, sancito dal plebiscito del 22 ottobre 1866, su cui il film getta dubbi e ombre.
Anche se i cognomi sono reali, la loro storia è pura finzione; ma il film pretende di inserirla in una cornice storica fedele agli avvenimenti e al modo di vivere di quel periodo.
Sono soprattutto i ricchi dialoghi a svelare il carattere e la personalità dei protagonisti, mentre si alternano a rare e suggestive scene di vita in campagna. Pur nella drammaticità il film riesce a strappare più di qualche risata con battute sottili, mai volgari.
La pellicola è tutta ambientata e girata in Veneto su set naturali forniti da splendide location, come il borgo Malanotte, «in cui sembra che si sia fermato il tempo», ha affermato il presidente della regione Veneto Luca Zaia ad aprile quando il film è stato presentato al Vinitaly.
Il regista ha spiegato la storia attraverso la ricostruzione di figure caratteriali dell’epoca, in parte basate su personali ricerche storiche: c’è un nonno conservatore che tramanda la storia ai nipoti con i suoi racconti, il papà opportunista che pensa solo a far quadrare i conti con un figlio reazionario e un altro idealista; infine la madre, in quanto donna in quel periodo è apparentemente una figura sottovalutata, ma avrà un peso determinante all’interno della vicenda.

Dall’altra parte ci sono la contessa e sua figlia, per rappresentare i nobili «che mantengono la fontana aperta pur se sono indebitati», spiega Chiosi, per dire che continuano a spendere per salvare le apparenze anche quando soldi non ce ne sono più.
A dividere i membri della famiglia Biasin è inizialmente il tema: Italia si, Italia no. Poi con l’annessione al Regno d’Italia i protagonisti vengono messi in ginocchio dall’aumento delle tasse.

«Biasin è un italiano che non vuole pagare, un italiano medio che fa il padre padrone dentro casa… La sostanza del suo pensiero non è quella di fare o non fare uno Stato ma di stare bene. Quando dice “me piase i schei e a pase” tradotto vuol dire: “non mi scocciate”», spiega Christian Iansante, parlando del personaggio che interpreta, papà Biasin.
Ma alla base del dramma emerge soprattutto il degrado di valori morali che lega a doppio filo il destino dei Biasin e delle contesse Querini in decadenza.
«In questo personaggio credo venga fuori questa fragilità soprattutto… – afferma Sara Ricci, descrivendo la contessa Querini, che l’attrice romana ha saputo interpretare con una perfetta cadenza veneta – Questa donna vive un momento particolare della sua vita dal punto di vista economico e anche dal punto di vista della bellezza… è un momento in cui sta sfiorendo… e, soprattutto[…] è fuori dal mondo».

Le radici degli avvenimenti sono stati fatti risalire fino alle vicende delle Pasque Veronesi del 1797 con suggestivi flashback di rievocazioni storiche.
«Il film mi è piaciuto molto e ho trovato coraggiosa la scelta del regista nella sua produzione perché per la prima volta si è parlato della vera storia dell’Unità d’Italia», dice al termine della proiezione Luciano Donatella, presidente del 16° regg. Treviso, che ha collaborato per l’organizzazione della parte militare.

È un’opera che lancia molti messaggi: fa emergere il valore dell’unità familiare e dell’appartenenza di un popolo alla propria terra, sostiene Maximiliano Hernando Bruno, co-sceneggiatore e attore nel ruolo del Biasin reazionario.
Anche se è stato prodotto adesso per caso – dice Bruno – probabilmente ha ragione Christian Iansante quando fa notare che «negli anni 90 non avrebbe avuto il senso che ha oggi», perché rivede nel film la voglia attuale di separatismo «che naturalmente non condivido», aggiunge.
Sara Ricci vede invece l’attualità nell’aumento delle tasse da pagare per l’annessione del Veneto all’Italia, che non ricordava così enfatizzato nelle sceneggiatura. La situazione le fa ritornare in mente quella che stiamo vivendo oggi nell’Italia dell’euro.
Questo è anche un film sull’identità, dice l’attrice romana quando ricorda che nel 2011 abbiamo festeggiato l’Unità d’Italia, «ma dimenticandoci che sia Roma che il Veneto non c’erano (nel 1861)» e ora dopo aver studiato la parte e aver recitato in questo film comprende meglio ‘l’orgoglio veneto’.

Alla fine la produzione sembra voglia mantenere una certa neutralità in tutto il film, sia per la parte «fabulistica», come la chiama il regista, che per le ricostruzioni storiche.
Il film debutterà a ottobre nei cinema e sicuramente per i veneti che vogliono rispolverare le loro radici sarà un ‘must’. Forse potrà far discutere, ma Salvatore Chiosi spera che il suo primo lungometraggio porti «a guardare la nostra storia, quella di questi 150 anni dell’Unità d’Italia con occhi nuovi e attenti…Questo film dovrebbe spingere a questo, cioè anche a farci un esame di coscienza… a guardare meglio la vita spicciola. È nella vita spicciola che poi noi veramente lasciamo dei segni», e per concludere esclama: «Viva il cinema!».

 
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