Il legame indissolubile tra cibo ed emozioni

Solitamente quando i nutrizionisti elaborano un piano alimentare non considerano la sfera psichica ed emotiva del paziente, ma si limitano a proporre diete dando molta enfasi a calorie e ai rapporti tra carboidrati, grassi e proteine. Tuttavia, questo legame esiste e a volte può essere causa di comportamenti eccessivi a tavola, basti pensare alla bulimia e all’anoressia.

Per approfondire la connessione tra alimentazione e la sfera meno tangibile della psiche e delle emozioni umane, Epoch Times ha intervistato la biologa nutrizionista Sara Massone.

Come mai le diete in generale non funzionano?

Perchè molto spesso chi segue la diete non associa le indicazioni che vengono dall’esterno al modo in cui si vivono i nuovi comportamenti e all’effetto sul corpo. In pratica non ci si concede la possibilità di trovare la corretta alimentazione per se stessi, ma semplicemente ci si adatta a una regola esterna che quindi non può tenere conto dei propri reali bisogni. Quello che succede è che ci si adatta per il tempo necessario a raggiungere l’obiettivo e poi si torna al punto di partenza oppure non si sperimenta alcun adattamento, non si riesce a seguire e ci si sente inadeguati. O ancora si seguono per tutta la vita delle regole che non corrispondono e si vive nella continua restrizione e privazione provando stress e rischiando di incorrere in problematiche anche più importanti rispetto al sovrappeso. Questo è il primo punto essenziale: si fanno cose che al corpo non sono gradite. E questo genera un conflitto.

Le diete ipocaloriche sono funzionali?

In questo ultimo periodo vanno molto di moda perché sicuramente c’è una tendenza a sovralimentarsi e si sa che l’eccesso quantitativo crea infiammazione. In realtà è necessario distinguere tra i vari casi, in cui a volte può essere funzionale. È sicuro che mangiando meno del necessario (dieta ipocalorica vuol dire questo) in un primo momento si perde peso, ma a seconda delle caratteristiche del soggetto dopo un po’ di tempo, il corpo tende a consumare quello che ha a disposizione. Per cui se questa quantità è bassa, il metabolismo rallenta e gradualmente si riduce non solo la massa grassa, ma anche quella muscolare e così il metabolismo rallenta ancora. Per poter continuare a perdere peso si deve continuare a ridurre l’introito calorico ma chiaramente questo andrà a discapito del funzionamento di tutto l’organismo. Inoltre istintivamente si tende a mangiare quello che serve meno e si finisce per riprendere il peso perso con gli interessi perché i consumi di base si sono ridotti.

Esistono delle regole universali in una corretta alimentazione?

Sulla base della mia esperienza ho individuato poche ‘regole’ veramente essenziali, ma che valgono per tutti. Innanzitutto, mangiare quando si ha fame. Sembra una banalità, ma in pochi lo fanno ed è l’unico modo per regolare correttamente le quantità di cibo che assumiamo assieme alla masticazione lenta. Quando il corpo chiede cibo è veramente il momento di mangiare. È chiaro che bisogna imparare a identificare la fame reale da quella emotiva, che indica una mancanza di qualcos’altro. Se si ascolta lo stomaco si riesce a capire la differenza.

Il secondo punto è la masticazione lenta e prolungata. Il cibo dovrebbe essere completamente sciolto in bocca prima di essere deglutito; questo permette di sentire in tempo quando abbiamo mangiato abbastanza, “costringe” a essere presenti a quello che si fa, garantisce la possibilità di godere del cibo che si mangia e di riconoscere se è di buona qualità o meno e quali sostanze contiene. In questo modo potremo sapere cosa mangiare quando avremo bisogno di quelle specifiche sostanze, senza dover conoscere teoricamente la composizione nutrizionale di ogni alimento – la conosciamo ad un livello molto più profondo, esperienziale.
Tra l’altro, una corretta masticazione permette una buona digestione e assimilazione, e anche un’efficace eliminazione delle scorie a livello intestinale. Viceversa, in caso di masticazione affrettata si possono trattenere molte tossine oppure si possono eliminare anche le sostanze nutritive utili per noi. Il concetto è che se il cibo arriva nell’intestino completamente digerito, sarà possibile la sua completa assimilazione ed eliminazione degli scarti. In caso contrario, l’intestino fatica a riconoscere ciò che gli serve. E, a seconda di particolari caratteristiche del soggetto, elimina tutto per paura che faccia male, oppure conserva tutto per paura che manchi qualcosa. Le conseguenze sono un dimagrimento o un aumento ponderale eccessivi, entrambi segnali di squilibrio.

Le altre regole riguardano il variare ogni giorno la scelta dei cibi, in modo che non si accumuli e manchi nulla. L’ideale è far passare due giorni dall’ingestione dello stesso cibo e fare in modo che a ogni pasto sia presente abbondante verdura, almeno il 50 per cento del pasto. Tutto il resto è da valutare caso per caso.

La ritenzione idrica potrebbe essere spia di una paura?

In alcune situazioni sì. Innanzitutto se pensiamo alle medicine tradizionali come quella cinese sappiamo che la paura è associata ai reni, a loro volta associati ai liquidi del corpo. Questi due organi, tra le altre funzioni, permettono di filtrare e selezionare le sostanze da tenere ed eliminare. In caso di malfunzionamento si può andare incontro alla formazione di edemi, ossia acqua che ristagna al di fuori delle cellule. Inoltre se si ha paura che manchi qualcosa, si tenderà a trattenere tossine, che saranno confinate in qualche parte del corpo affinché non facciano male. Se sono idrofile si accumuleranno nei depositi di acqua extracellulare, se lipofile nei depositi di grasso. Le differenze variano in base alla persona e i motivi di accumulo sono numerosi. È importante non generalizzare. Nella mia pratica quotidiana, ho incontrato persone con fisici simili, ma con storie molto diverse. Cercare una risposta vera per tutti secondo me non è una buona strategia. Piuttosto, è importante ascoltare le storie e capire le singole ragioni per trasformare le situazioni che non rendono felici le persone.

Che ruolo hanno le emozioni nell’alimentazione?

Molteplici, ed è l’argomento che più mi interessa. Molto spesso si mangia per ragioni emotive, per coprire o nascondere una certa emozione, per distrarsi dai propri problemi. A volte si mangia per essere parte di un gruppo anche quando non si desidererebbe farlo, altre volte per l’obbligo di mantenere una certa rettitudine o perché il resto delle cose da fare sono più importanti. Tutto questo ha a che fare con il mondo emotivo di ogni persona ed è primariamente su questi aspetti che mi piace portare l’attenzione. Inoltre sicuramente in generale possiamo dire che l’emozione trattenuta porta a un cambiamento nella forma. Le emozioni incidono sul peso e sulla struttura fisica perché cambiano fondamentalmente il modo di vivere il corpo, le posizioni che si assumono. E questo chiaramente modifica il funzionamento degli organi interni. La presenza di tensioni muscolari e movimenti ripetuti sempre nello stesso modo incidono per esempio sul sistema circolatorio, su quello linfatico, sulla respirazione. Le emozioni hanno quindi una valenza non solo psicologica, ma anche fisica.
Per esempio, parlando di meccanica del corpo, quando si è impauriti si sollevano le spalle e si respira con la parte superiore del petto, lo stomaco si contrae e non si riesce a digerire e così anche l’intestino non può funzionare correttamente. Per non parlare della chimica…Difficile dire che una determinata situazione valga per tutti, ognuno mette in atto le sue strategie.

Sicuramente è vero che il nostro corpo funziona per priorità. Se le emozioni sono molto intense, per esempio rimanendo nella paura, la priorità è sopravvivere, di certo non nutrirsi, crescere e riprodursi. Se la paura è persistente si osserverà lo sviluppo di alcune risorse, come l’acutizzazione dei sensi, del sistema nervoso simpatico e un ipertono muscolare a scapito delle funzioni digestive e riproduttive. La rabbia, a seconda se vissuta o meno, produrrà dei sintomi completamente diversi; spesso si mastica molto velocemente, non si digerisce bene e si osservano problemi quali gastriti o infiammazioni di vario tipo ma il discorso è molto lungo. Le possibilità sono tante ed è abbastanza complesso parlarne in sintesi.
Lo stesso vale per la tristezza, un’emozione che molto spesso vedo inespressa e che tende a far trattenere liquidi nel corpo. In una visione romantica, è come se le lacrime di un pianto inespresso rimanessero all’interno dei tessuti sotto forma di ritenzione idrica.

Le persone tristi tendono a ritenere liquidi?

Sì. Ho incontrato diverse volte questa situazione. Recentemente in particolare ho notato uno sblocco in una persona e ho osservato quanto sia efficace aprirsi a quella tristezza e viverla. Quando le esperienze sono molto dolorose e tenute per sé, nel momento in cui si piangono quelle lacrime, le persone lasciano andare quell’acqua e si sgonfiano, anche in tempi brevi.
In generale, l’emozione deve fare il suo corso e uscire dal corpo, che sia rabbia, tristezza o altro. Se viviamo un’emozione, serve per imparare qualcosa e fare un passo in avanti; se la tratteniamo continuerà a tornare e più la nascondiamo, più sarà difficile farle svolgere il suo compito. Anche la gioia rischia di portare fuori dal contatto con se stessi e con propri segnali, con il rischio di sovraccarico alimentare o sottocarico alimentare per sovraccarico di altri tipi di stimoli. È questo il motivo per cui a mio avviso vale la pena sentire come le emozioni si muovono nel corpo e allenarsi sempre di più all’ascolto a partire dall’alimentazione che è qualcosa che si fa ogni giorno più volte al giorno.

Sara Massone, biologa nutrizionista e consulente nutrizionale (Concessione dell’autore)

Nella mia pratica accanto alle abitudini alimentari andiamo a sentire sia come si muove il corpo sia come si muovono o non si muovono le emozioni al suo interno. Si vanno a sciogliere gli schemi e le abitudini cambiando in modo graduale, ognuno con i suoi tempi e i suoi modi fino ad arrivare al proprio nuovo modo di alimentarsi e muoversi e vivere le emozioni, che tiene conto di tutto quello che siamo (genetica, ambiente, esperienze vissute e desideri). Se fino a oggi ci si è comportati in un determinato modo è perchè si credeva fosse il migliore possibile; se il corpo ha assunto una determinata forma, è perché fino a oggi gli è servita, è stata il modo migliore per adattarsi alle situazioni che ha incontrato.
Se il corpo non comprende il motivo per cui gli è utile perdere quella forma, continuerà a conservarla. Questi sono i casi in cui si riscontrano delle resistenze al cambiamento. Le ragioni di una determinata forma ci sono sempre, ma devono essere affrontate. Il mio desiderio è stimolare le persone che incontro a sperimentare nuove soluzioni a vecchie dinamiche e a verificare da sole quali sono veramente buone per loro.

Anche il piacere svolge il suo ruolo

Assolutamente sì. Nell’alimentazione è importante fare qualcosa che piaccia e faccia stare bene. Nutrirsi significa prendersi cura di se stessi e non deve creare molto sforzo. Se una persona si impone regole rigide che difficilmente riesce a seguire, non ottiene risultati o molto pochi. Il piacere fa parte dei meccanismi che fisiologicamente spingono a ripetere una certa azione e quindi se il piacere manca si sarà costretti a fare sempre uno sforzo per portare avanti quel determinato comportamento.

È quindi importante mangiare cibi che piacciono

Suggerisco di scegliere, all’interno dei cibi che esistono in natura, quelli che più piacciono nella loro forma naturale, variando il più possibile la qualità. Quello che deve essere modificato per piacerci non è buono per noi. Quello che ci piace è quello che ci serve!
Ognuno ha il diritto e il dovere di scegliere secondo il proprio gusto. Il gusto si può considerare il ‘riassunto’ della base genetica, delle esperienze familiari, del vissuto emotivo come i ricordi. La nutrizione è un mondo vasto e confinarla a contenuti calorici è molto limitante.
Il ricordo della nonna che prepara le trofie di castagne o la parmigiana, costituisce una memoria che dona grande benessere, sebbene non siano i piatti più leggeri e semplici.

Qual è la differenza tra fame fisica e psicologica?

La prima deriva da un reale bisogno di nutrienti o energia. Quella psicologica normalmente è la necessità di dare risposta a un bisogno non legato alla nutrizione. O meglio, è legata a un bisogno di ‘nutrimento’ di altro genere. Per esempio si soffre di noia, tristezza, stanchezza e si ‘coprono’ mangiando. Si agisce in questo modo perché è più facile: si tratta di una risposta gratificante, abbassa i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress). Questo può anche andare bene se succede occasionalmente. Ma se si ripete, spesso genera delle alterazioni a livello neuroendocrino e circoli viziosi difficili da interrompere. L’organismo in quel momento non ha un reale bisogno di cibo, quindi il bisogno insoddisfatto continuerà a ripresentarsi e si aggiungerà un problema legato al comportamento inadatto che viene attuato.

In altre circostanze, si riescono a notare le necessità dell’organismo, ma si pensa di non avere altre soluzioni e si ‘risolve’ mangiando. Si tratta in entrambi i casi di abitudini che spesso si sviluppano da bambini, quando il genitore non riesce a identificare le reali necessità del bambino o non lo stimola a trovare nuove soluzioni. Capita spesso di vedere genitori che danno da mangiare ai propri figli per farli stare tranquilli.

Per sentire i propri reali bisogni è importante prendersi del tempo, rallentare. Nel momento in cui si cominciano a riconoscere le reali necessità, è possibile intraprendere un’azione nella giusta direzione, anche se piccola. Faccio un esempio: in caso di noia, è possibile compiere un’azione divertente e staccare la spina da quella noia, evitando di mangiare. Nel momento in cui si danno risposte diverse ai vari bisogni, questo schema si automatizza, si riprogrammano i comportamenti automatici. Non verrà più in mente di aprire il frigo quando si è annoiati o tristi poiché si sa che non è realmente utile. Se si è tristi, si può piangere, e nella maggior parte dei casi può bastare; subito dopo arrivano naturalmente nuove risorse e nuove risposte.

Vivere l’emozione

Esatto. A volte si può anche decidere di fare un’azione. Per esempio, chiedendosi il motivo della propria tristezza e come cambiare la propria situazione. L’idea è intraprendere delle azioni per cambiare la propria vita, in modo tale che determinate situazioni non si ripresentino più.

In questo modo si crea una abitudine

Si crea una risposta funzionale, e non generica, a un bisogno specifico.

Questione di consapevolezza

Sì. L’unico modo per nutrirsi adeguatamente e stare in forma, è essere consapevoli di quello che serve. Questo è ovvio. Non si limita solo all’alimentazione. Diventa basilare fermarsi ad ascoltare i propri segnali. Viviamo correndo e con l’idea che tutto si debba risolvere all’istante.

Purtroppo lo stile di vita moderno sta allontanando l’uomo dalla sua natura originaria

Sì. Per questo vale la pena ‘passare’ dal corpo, poiché è il corpo che sente. L’idea è che riappropriandosi di percezioni e sensazioni, interocezione e propriocezione, ci si rende conto delle proprie possibilità e si può agire di conseguenza. Purtroppo, con le informazioni di oggi, l’uomo viene proiettato in un mondo che non è suo. Teorie ce ne sono tante ma io credo che ognuno debba trovare la sua pratica che passa dall’esperienza e dall’osservazione dell’esperienza. Questo per me è l’unico modo per fare scelte giuste: prendersi tempo e ascoltarsi e per quanto mi riguarda non esiste un’altra strada.

Tra gli strumenti che ho incontrato nella mia strada il Movimento Arcaico, è sicuramente uno dei più validi e importanti. Quando ci accorgiamo di come ci muoviamo, comprendiamo molte cose di noi e non si tratta solo di una comprensione cognitiva. La comprensione non arriva dall’esterno ma dall’interno, attraverso i segnali che invia il corpo. Nel momento in cui si fa esperienza fisica, come la masticazione, è possibile operare dei collegamenti su tutti i livelli: percettivo, cognitivo ed emotivo. E solo così apprendiamo profondamente.

La paura è un’emozione molto forte. Agisce molto anche a livello del peso?

La paura può essere vissuta in vari modi, in base a caratteristiche genetiche e al vissuto, anche in età fetale. Questa emozione può far trattenere; basti pensare al respiro che si blocca e alle tensioni muscolari. Può anche creare una forte magrezza, mentre un suo eccesso può causare anche a un forte sovrappeso e questo dipende da come si vive. Nei casi di paura, gli animali possono fuggire, lottare e, in momenti estremi, fingersi morti (freezing). Quest’ultimo caso può determinare un fortissimo sovrappeso.

L’organismo non reagisce più?

La persona pensa di non farcela: né a lottare, né a fuggire. Solitamente chi va nel panico totale, tende ad accumulare più risorse, aumentando la massa muscolare e/o la massa grassa. È come se sentisse l’esigenza di incamerare più risorse per affrontare la ‘lotta’, ma questo non aiuta a combattere meglio. L’accumulo aiuta a resistere, ma non a cambiare una situazione. La persona vive quindi con l’idea di non potercela fare.

Che idea hai del movimento in relazione a un sano stile di vita?

Innanzitutto è fondamentale poiché siamo nati per muoverci e purtroppo ci muoviamo molto poco. Per questo è importante trovare tutte le occasioni possibili per muoverci, come camminare, fare attività all’aria aperta o giocare. Il punto è che non esiste un movimento adatto a tutti. In base alla persona, si potrebbe avere maggiore necessità di un movimento più rilassante, come yoga o tai-chi, ma sempre attivanti oppure più dinamico come andare a correre, nuotare, ballare. L’idea è che ognuno dovrebbe seguire innanzitutto quello che piace. Per esempio se non piace nuotare, è inutile farlo.

Un po’ come il discorso di prima sulla scelta dei cibi

Esatto. È chiaro che a volte certe attività non si compiono perché non le abbiamo mai provate. E questo vale anche per il cibo. Quindi vale la pena stimolare le persone a sperimentare nuovi cibi come nuove attività e poi ascoltarsi e capire le motivazioni per cui un’attività si compie oppure no.
La motivazione deve essere interna. Per esempio è più utile andare a correre perché piace e diverte durante questa attività rispetto ad andarci per dimagrire. Il beneficio deve essere presente durante l’attività – non funziona bene se l’attività si compie per ottenere un risultato più avanti nel tempo.

Tra l’altro, pensare per esempio di andare a ballare per perdere peso, non è detto che farà raggiungere l’obiettivo sperato. È possibile che aumenti la massa muscolare. Quindi motivazioni sbagliate rischiano di creare aspettative disattese e insoddisfazione.

La società attuale impone motivazioni esterne

Anche questo è vero. Nel momento in cui le motivazioni personali sono interne e chiare, le azioni si compiono. È importante non focalizzarsi tanto sugli obiettivi ma rimanere nel presente. Ecco un po’ il segreto: essere presenti e consapevoli di come un’azione ci fa stare. Se non fa stare bene, è importante domandarsi i motivi. Ma questo apre un altro tema complesso. Anche quando si sta bene, è giusto sentire quali sono le reali ragioni. Per questo per me è importante lasciar parlare le persone e spronarle a sperimentare ed esplorare nuove azioni.

Per concludere il discorso con la tavola, è importante mangiare con calma, gustandosi i cibi. Anche questo è un discorso di consapevolezza

Assolutamente sì. Essere presenti permette prima di tutto di godersi il piatto, di sceglierlo ancora oppure no nel momento giusto e con la giusta frequenza, mangiarne la giusta quantità e soprattutto sentirsi bene.

 
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