Hollywood-Cina, il matrimonio finisce prima iniziare?

Dopo la recente performance non proprio brillante della più grande coproduzione cinematografica Cina-Usa della storia e dopo il fallimento di due grandi accordi, la relazione tra la superpotenza orientale e Hollywood sembra incerta. Dopo il disastro di botteghino negli Stati Uniti, si prevede infatti che il fantasy epico La Grande Muraglia (prodotto da vari studios tra cui Universal Pictures e China Film Group), perderà 75 milioni di dollari.
Non solo: lo scorso marzo, l’accordo da un miliardo di dollari del Wanda Group con la Dick Clark Productions è fallito, così come è sfumato il progetto di investimento di un miliardo di dollari di Huahua Media e Shanghai Film Group in Paramount Pictures (entrambe le operazioni sono fallite a causa dell’aumento delle restrizioni cinesi sull’esportazione di capitali).

Stephen Galloway, direttore della rivista Hollywood Reporter, in un articolo di commento scrive che «Hollywood ha fatto un errore nel corteggiare la Cina: un Paese e un regime con interessi diametralmente opposti dai suoi».

Il 1° marzo in Cina è stata promulgata una legge che vieta i contenuti dei film sia nazionali che frutto di coproduzioni con gli Usa, che danneggiano la «dignità, l’onore e gli interessi» della Cina. Inoltre, la legge richiede a cast e troupe di promuovere «i principali valori socialisti».
Alle Case cinematografiche cinesi – riporta l’organo di regime cinese Xinhua – non è permesso collaborare con enti stranieri coinvolti in attività che «danneggiano la dignità nazionale, l’onore e gli interessi cinesi, o che recano danno alla stabilità sociale o danneggiano i sentimenti nazionali».

I produttori di Hollywood stanno già facendo del loro meglio per modellare i loro film sui requisiti della censura del partito comunista e ottenere accesso al mercato cinese: «Osserviamo una Hollywood sempre più made in China», commenta Aynne Kokas, autore del libro Hollywood Made in China, in un discorso presso l’Istituto Usa-Cina dell’Università della California del Sud il 9 marzo. Per esempio film come The Martian e Arrival mostrano nella trama una collaborazione insolitamente stretta, tra le agenzie spaziali di Stati Uniti e Cina, con una Cina che si impegna per risolvere problemi: «Se una persona guardasse solo i film di Hollywood, penserebbe che Cina e Stati Uniti siano in stretto contatto e che Nasa e agenzia spaziale cinese siano amiche per la pelle».

Ma, nella realtà, il governo Usa ha vietato alla Nasa di avere relazioni bilaterali con la Cina, dopo che nel 1998 la tecnologia dei satelliti americani è stata trovata nei missili balistici intercontinentali cinesi.

DENTRO LA CENSURA

La Cina richiede che tutti i prodotti mediatici siano rivisti dall’Istituto Statale della Stampa, della Pubblicazione, della Radio, dei Film e della Televisione (Issprft).

I funzionari cinesi leggono i copioni dei film e ordinano cosa va cambiato prima che si possa andare avanti con la produzione. Poi l’Issprft deve approvare la versione finale di ogni film, prima che finisca nelle sale di proiezione cinesi.

Secondo un rapporto del 2013 del relatore speciale delle Nazioni Unite, Farida Shaheed, questo tipo di censura ostacola la libertà artistica, inibendo lo sviluppo culturale e il funzionamento delle società democratiche.
Secondo i critici del regime, questo comportamento è la norma per il Pcc: «La Cina è una dittatura cruda, repressiva e brutale – ha affermato Stein Ringen, professore emerito dell’Università di Oxford, in un discorso presso l’Istituto Usa-Cina, il 2 marzo – È un sistema in cui le persone che pensano da sé non possono dormire tranquille la notte».

Gli studi cinematografici di Hollywood non hanno commentato più di tanto sulla questione. Alcuni singoli attori che hanno criticato la situazione dei diritti umani in Cina o che sono diventati amici del Dalai Lama – come Richard Gere, Harrison Ford e Brad Pitt – sono stati inseriti nella lista nera cinese e non possono entrare nel Paese.

Un dirigente dell’industria dell’intrattenimento, che ha chiesto di rimanere anonimo, intervistato ha dichiarato: «Se dicessi qualcosa che attualmente è considerato controverso, potrebbe avere un effetto sulla nostra relazione con la Cina». Il dirigente anonimo spera che la forte censura cinese un giorno possa sparire: «Attualmente è praticamente parte naturale del processo, quindi ovviamente penso che un allentamento di quel tipo di processo potrebbe essere una buona cosa».

Ma ora che la Cina costituisce un importante mercato nell’ambiente cinematografico, gli studios sono in una situazione difficile: «Una grande percentuale del guadagno per i film degli studios americani è realizzato in Cina – spiega l’avvocato Jesse Weiner, esperto di controversie attinenti al mondo dello spettacolo – Chiaramente, se questi film non venissero mostrati in Cina, la cosa avrebbe un effetto sui bilanci degli studios». 

Articolo in inglese: Future of Hollywood–China Relationship in Question

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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