Il Fauno danzante di Pompei: tolto dal suo ambiente, fuori dal suo contesto

La potenza distruttiva dell’eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C. pose fine alla civiltà di Pompei e dei dintorni. Tuttavia, la pioggia di ceneri conservò quasi perfettamente la città che rimase scolpita nel tempo. Per questo motivo è considerato uno dei siti archeologici più importanti del mondo occidentale.

Sfortunatamente, a causa delle continue negligenze del governo italiano, questo tesoro rischia di scomparire, frantumandosi in un oblio irreversibile.

Anche se in uno stato di declino, un tessuto urbano così ben conservato rende più tangibile il mondo antico. Un visitatore moderno, condizionato dalla perfezione statica che è conservata nei musei di tutto il mondo, potrebbe essere sorpreso dai colori e dal dinamismo del luogo, in cui l’arte ha svolto un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni.

Molto più che semplice decorazione o espressione di ricchezza, l’arte era l’espressione naturale di valori umanistici quasi completamente spariti nell’Europa di oggi. Superando le distinzioni di classe, i dipinti, le sculture e gli oggetti d’arte si trovavano nelle taverne, nei templi e nelle case signorili.

La residenza più grande di Pompei deriva il suo nome da una piccola statua che è stata trovata nel suo ingresso. La casa del Fauno occupa un intero isolato della città ed era piena di dipinti sulle pareti e grandi mosaici.

Ma non c’è da stupirsi che questa figura di bronzo abbia attirato così tanta attenzione. Il Fauno danzante, un vero capolavoro, è la prova di come il gusto antico fosse sofisticato. La sua grande qualità ha portato alcuni esperti a pensare che questo manufatto risalga al tardo ellenismo (200 a.C.) oppure che sia una copia romana molto bella di un originale greco.

Gli archeologi credono che fosse originariamente posizionata sul bordo dell’impluvium, una struttura simile a una piscina poco profonda usata per raccogliere la preziosa acqua piovana nel primo atrio della casa, così come scrivono Francis Haskell e Nicholas Penny nel loro libro Taste and the Antique: The Lure of Classical Sculpture 1500-1900[Il gusto e l’antico: il richiamo della scultura classica dal 1500 al 1900, ndt].

Con un’espressione estatica, il fauno guarda in alto verso il cielo in segno di gratitudine per il dono divino dell’acqua. Meravigliosamente modellato, la sua forma tesa non solo disegna l’anatomia, ma modella anche il movimento e l’energia. Più che semplici spiriti della natura, i fauni erano la personificazione benevola del legame tra l’uomo e la natura. La nostra statua una volta era in una stanza colorata: circondata dallo sgocciolare dell’acqua, dal cielo e dal trambusto della famiglia.

FUORI CONTESTO

Il giorno successivo alla sua scoperta, avvenuta nel 1830, il Fauno danzante fu spostato direttamente al Museo archeologico nazionale di Napoli, secondo Haskell e Pinny. La statua si trova ora sotto una teca di vetro in una stanza insieme agli altri resti che sono stati prelevati.

Il museo è un perfetto esempio dell’ossessione ottocentesca per l’oggettivismo razionale, evidente nelle classificazioni scrupolose per epoca, tema e posizione. Le pareti marroni chiare creano uno sfondo uniforme su cui ciascuna opera può essere studiata singolarmente. L’ambiente sterile ha l’effetto negativo di rendere l’arte un artefatto.

Il contesto è fondamentale per fare un’esperienza autentica dell’arte. Con il necessario intervento per la conservazione, sono andati perduti gran parte della funzione, del significato e del pensiero che stanno dietro la forma del fauno. Non solo viene influenzato il nostro giudizio estetico, ma vengono condizionate anche le nostre aspettative sulla funzione dell’arte.

Sfortunatamente la sua storia ha grandemente contribuito a creare confusione. Differenti scuole accademiche si servono dei capolavori come strumenti per giustificare le proprie convinzioni. Molto spesso idee personali sono presentate come dati di fatto.

Nel suo libro Il nudo uno studio della forma ideale, Kenneth Clark denigra il Fauno danzante in relazione a un Primo Rinascimento definendolo «artificiale e morto».

Questa affermazione non potrebbe essere più lontana dalla realtà. Uno dei più gravi errori della storia dell’arte è quello di separare forma, soggetto e ambiente da un tutto unico e presentarli come rappresentativi di un particolare lavoro.

Con la dissezione e la categorizzazione dell’arte perdiamo il suo vero scopo: la creazione di oggetti significativi che danno un senso a ciò che facciamo e a ciò che siamo.

Di conseguenza siamo condizionati a riservare le esperienze estetiche alle istituzioni culturali. L’indifferenza per il degrado di Pompei e il destino del nostro fauno dimenticato e congelato mette in evidenza una triste verità sulla mondo contemporaneo: l’ambiente naturale dell’arte viene distrutto e l’arte viene relegata agli zoo dell’arte.

Matthew James Collins è un artista americano che vive a Firenze. Crea opere a olio, affreschi, opere in marmo e in bronzo. Il suo sito è matthewjamescollins.com

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Articolo in inglese: Dancing Faun of Pompeii: Removed From Habitat, Out of Context
 
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