La persecuzione del Falun Gong e la rinascita della Cina

Gli anni 80 sono stati caratterizzati come un decennio di relativa libertà in Cina: la Rivoluzione Culturale era finita, il Paese era in fase di ricostruzione e la popolazione stava credeva nel cambiamento della nazione. Ma allo stesso tempo, i radicati problemi politici e sociali causati dalla corruzione dell’élite comunista, erano difficili da ignorare.

Durante le proteste per la democrazia del 1989, Wang Youqun aveva appena iniziato la sua tesi di dottorato sulla rottura ideologica tra la Repubblica socialista federale jugoslava di Josip Tito e quella dell’Unione sovietica.
Come gli studenti idealisti di Piazza Tienanmen, anche Wang voleva fare qualcosa contro la corruzione dilagante, ma scelse un basso profilo, combattendola dall’interno e lavorando nella Commissione disciplinare interna del Partito Comunista cinese. Nel corso del tempo diventò un importante luogotenente del potente leader Wei Jianxing, ex direttore dell’Unità investigativa interna del Partito e membro del Comitato permanente del Politburo (il più alto ufficio politico del Partito); il suo compito era di accompagnare Wei alle riunioni segrete e scrivere i suoi discorsi.

Poi, negli anni 90, Wang ha cominciato a praticare il qigong, degli esercizi tradizionali energetici che in quegli anni erano molto popolari in tutto il Paese. Più precisamente, nel 1995 ha imparato il Falun Gong, che in quegli anni era rapidamente diventato il qigong più importante in tutta la Cina: le persone erano attratte dai suoi insegnamenti morali e dai miglioramenti dello stato di salute di cui godevano i praticanti.

Wang non avrebbe mai immaginato che lui e la sua nuova fede sarebbero presto diventati bersaglio di una persecuzione, i nuovi nemici numero uno del Partito: alla fine degli anni 90, fu rimosso dal suo incarico privilegiato, umiliato di fronte ai suoi colleghi, rinchiuso in isolamento e sottoposto a pressanti interrogatori.
L’ascesa e la caduta di Wang Youqun riflettono fedelmente le sorti del Falun Gong in Cina: prima elogiato dallo Stato, poi umiliato e infine selvaggiamente aggredito.

Ora, a ventiquattro anni dalla diffusione pubblica del Falun Gong (13 maggio 1992) e 17 anni dopo l’inizio della sua persecuzione, viene spontaneo chiedersi se sarà scritto un terzo Atto in questa storia: la nuova fioritura di questa pratica in Cina e la riabilitazione di decine di milioni di persone che non hanno mai smesso di credere nella loro fede spirituale.

LA POLITICA È UNA QUESTIONE PERSONALE

Il Falun Gong – o Falun Dafa – è una pratica tradizionale cinese di ‘autocoltivazione’ (termine che si riferisce alla trasformazione del proprio sé attraverso la disciplina morale e alcuni particolari esercizi di meditazione); in altre parole, i praticanti cercano di comportarsi nella vita quotidiana secondo i principi universali di Verità, Compassione e Tolleranza, e considerano le difficoltà della vita come delle opportunità di miglioramento interiore. Questa disciplina comprende cinque esercizi dai movimenti dolci e rilassati.

Ma il 20 luglio 1999, dopo sei anni di ampia diffusione in tutta la Cina, il Partito Comunista Cinese ha avviato una campagna ossessiva con l’obiettivo di annientare questa pratica, incontrando però molti più problemi del previsto. Gli ordini partivano direttamente dall’ex leader supremo del Partito Jiang Zemin, che sembrava personalmente offeso dalla popolarità del Falun Gong: «È mai possibile che noi, membri del Partito Comunista, armati del marxismo e della nostra fede nel materialismo e nell’ateismo, non riusciamo a sconfiggere questo Falun Gong?», aveva scritto in una nota diramata a membri di massimo livello del Partito.

In seguito, Jiang e il Partito scatenarono contro il Falun Gong la più grande mobilitazione dell’apparato di sicurezza cinese mai vista, dando origine alla maggiore catastrofe dei diritti umani in Cina dall’era maoista: tutta la popolazione venne inondata dalla propaganda contro il Falun Gong e ogni cinese doveva dichiarare la propria ‘posizione’ rispetto a quest’ultimo (come era stato ai tempi delle campagne di Mao).
Inoltre, gli studenti – al primo giorno di scuola – venivano costretti a firmare un pezzo di carta che etichettava la pratica come una «religione deviata», mentre i praticanti subivano – come subiscono ancora oggi – aggressioni verbali e fisiche, isolamento carcerario, detenzione e tortura.
Anche i massimi leader di Partito, funzionari ed ex funzionari non furono risparmiati, inclusi familiari e parenti che praticavano, e vennero dichiarati nemici pubblici da un giorno all’altro.

Per questo molti praticanti del Falun Gong considerano questa campagna come una sorta di seconda Rivoluzione Culturale. Tuttavia, contrariamente al movimento politico dell’era di Mao (ormai ampiamente compreso tanto in Cina e quanto all’estero), gli obiettivi di questa persecuzione rimangono ancora sconosciuti ai più; mentre il Partito continua a considerare il Falun Gong e i suoi praticanti in Cina alla stregua di un ??nemico e come dei reietti. Si tratta di una posizione ufficiale, evidente se si osserva il modo in cui viene raccontata la storia del Falun Gong – o meglio non raccontata – in Occidente.

Sfortunatamente, molte persone che fanno affari da una vita in Cina, sono poco sensibili alle storie e alle lotte di persone come Wang Youqun: non riescono a scorgere il significato della campagna anti-Falun Gong e la misura in cui questa persecuzione continui a costituire un grave fenomeno sociale e morale nella Cina contemporanea.

A ogni modo, Wang non si è mai arreso e continua a far sentire la sua voce in difesa del Falun Gong: da quasi un decennio scrive delle lettere ai quadri in pensione e agli alti dirigenti di Partito, in cui dichiara la sua innocenza e condanna Jiang Zemin e la sua insaziabile brama di potere. Wang scriveva queste lettere dall’appartamento di Pechino dove gli era stato concesso di rimanere per nove anni dopo l’inizio della persecuzione, uno straordinario atto di clemenza che Wang attribuisce alla protezione del suo superiore Wei Jianxing.

Wei, oltre a essere direttore dell’apparato disciplinare del Partito, faceva parte di un organismo direttivo della sicurezza. Nel 1998 durante una pausa pranzo, Wang consegnò personalmente a Wei una lettera sul Falun Gong in cui, oltre a parlare dei benefici della pratica, richiedeva che fossero presi dei provvedimenti per scongiurare la preoccupante pressione che in questi casi il Partito tipicamente esercitava sui gruppi etichettati come ‘estremisti ideologici’.
Wang fu il primo membro del Partito a essere espulso per il suo legame con il Falun Gong: «Tutte le unità di lavoro di livello centrale di Pechino tennero un incontro in cui il mio nome venne letto ad alta voce» ricorda Wang, spiegando come si tratti di una tipica tecnica di lotta politica comunista, in cui i membri ‘ribelli’ del Partito vengono individuati e dichiarati ‘esempi negativi’.

In seguito Wang è stato condannato a quattro mesi di reclusione, sorvegliato per 24 ore al giorno e sottoposto a estenuanti interrogatori. Nel 2008, dopo aver inviato una lettera di troppo, è stato giudicato colpevole di essersi servito di «un’organizzazione religiosa eterodossa per minare l’attuazione della legge» e condannato di nuovo a quattro anni di reclusione. Prima di scontare la sua pena nel carcere di Qincheng a Pechino, aveva già trascorso 532 giorni in altri centri di detenzione.
Ma Wang non si è dato per vinto, e dall’inizio del 2015 ha ripreso a spedire lettere ai quadri in pensione dalla sua casa di New York; alcune di queste sono molto approfondite e hanno come destinatario il leader del Partito Xi Jinping.

Wang ha motivo di credere che il suo caso sia particolarmente istruttivo, poiché spiega il ruolo dell’elemento personale nella politica cinese. In pratica, il suo superiore e ‘protettore’ Wei Jianxin è stato in grado di salvarlo grazie all’importante carica che ricopre, che gli conferisce il potere di decidere la tipologia e la modalità di formulazione e attuazione delle attività di persecuzione: «La Cina è una società caratterizzata dal dominio dell’uomo, non è una società basata sullo Stato di diritto» chiarisce Wang.

Sebbene, tra i ricercatori occidentali, sia prassi comune sottolineare la natura istituzionale della campagna contro il Falun Gong e la sua continuità politica durante il mandato degli ultimi tre leader (Jiang Zemin, Hu Jintao e ora Xi Jinping), secondo Wang la chiave per capire è cogliere l’importanza dell’elemento personale: «Il cuore della questione è Jiang Zemin: pochi altri hanno veramente una cattiva opinione del Falun Gong». E Wang spera che questa questione possa diventare una crepa nella corazza del Partito Comunista, per concedere alla Cina l’opportunità di un reale cambiamento.

UNA NUOVA DIREZIONE

Attualmente, in Cina alcuni segnali indicano che un simile cambiamento è già in corso. Sebbene gli osservatori abbiano posto la loro attenzione sulla dilagante e nota campagna anticorruzione di Xi Jinping, iniziata quando è salito al potere a fine 2012, i veri cambiamenti dietro le quinte dell’apparato politico cinese (che sono strettamente connessi alla persecuzione del Falun Gong) sono stati enormi.

Tra il 2012 e il 2015, queste nuove misure hanno portato alle indagini e agli arresti di Zhou Yongkang e Bo Xilai, rispettivamente ex zar della sicurezza cinese ed ex membro del Politburo nonché probabile futuro sostituto di Zhou.
Negli anni precedenti, il popolo cinese avrebbe considerato inconcepibile l’arresto e l’incarcerazione di questi due politici, in particolare di Zhou. Difatti, l’ex fedelissimo di Jiang Zemin era senza dubbio uno degli uomini più potenti della Cina, forse anche più di Xi Jinping: controllava senza difficoltà l’intero apparato di sicurezza cinese (con un bilancio in quegli anni superiore a quello delle forze armate) e veniva da un’inarrestabile scalata al potere durata oltre un decennio.

Ma occorre precisare che sia Zhou che Bo erano stati elevati ai massimi ranghi del sistema da Jiang Zemin, solo dopo aver dato attuazione alle sue politiche contro il Falun Gong: Jiang li aveva sistemati, quale ricompensa, in posizioni chiave nel governo centrale.
Agli inizi Zhou, dall’alto della sua posizione di segretario del Partito della provincia del Sichuan, parlava regolarmente della necessità che tutti gli uffici si unissero alla «lotta contro il Falun Gong».
«È necessario che mostri la tua durezza nel trattare il Falun Gong […] Sarà il tuo capitale politico», avrebbe invece detto Jiang Zemin a Bo Xilai, secondo il rispettato giornalista cinese Jiang Weiping (la cui biografia su Bo Xilai ha pagato con il carcere e che attualmente vive in esilio in Canada).

Un altro cambiamento importante è avvenuto alla fine del 2013, quando è stato abolito il sistema dei campi di lavoro, uno degli strumenti fondamentali e più convenienti del Partito per perseguitare i praticanti. E i media cinesi riportavano l’enorme resistenza interna alla loro chiusura, dovuta al gran numero di praticanti del Falun Gong lì detenuti (ma, nonostante la chiusura, il regime da allora utilizza altri luoghi di detenzione meno formali, come per esempio le ‘Prigioni nere’).

Un altro purgato ‘eccellente’ è stato Li Dongsheng, direttore dell’Ufficio 610 (una struttura istituita specificamente per sovrintendere e coordinare la persecuzione contro il Falun Gong). Prima della sua rimozione, Li raramente nominava in pubblico il nome di questo ufficio segreto, e formalmente veniva qualificato come ‘viceministro della pubblica sicurezza’. Ma all’annuncio della sua destituzone, è stato identificato con il suo ruolo di capo dell’Ufficio 610.

Questo cambiamento di politica del Partito non è facile da interpretare: «Penso che esista una vera e propria ambiguità su cosa significhi veramente – commenta Andrew Junker, sociologo dell’Università di Chicago, che sta scrivendo un libro sul Falun Gong – Ma sembra che ci sia spazio per un cambiamento politico». Gli ultimi sviluppi in Cina «sono davvero singolari e le decisioni potrebbero portare potenzialmente a un’era di riforma politica in materia di Falun Gong. […]». Il sociologo conclude con una serie di interrogativi: «Cosa significa che Li Dongsheng sia stato rimosso dal potere. È una coincidenza? È una guerra tra fazioni o riguarda anche il Falun Gong? Perlomeno questo è ambiguo, e lascia spazio a un’interpretazione».

Zhou è stato anche accusato di aver prelevato con la forza organi vitali dai prigionieri, ma con una mossa indiretta. Huang Jiefu, portavoce dell’organizzazione dei trapianti in Cina, in un’intervista del 2015 con il media di regime Phoenix Television, ha infatti osservato: «È semplicemente troppo chiaro. Tutti conoscono la grande tigre. Zhou Yongkang è la grande tigre; Zhou è stato il nostro segretario delle politiche e della legge, dal momento che inizialmente era membro del Comitato permanente del Politburo. […] Pertanto, quanto al luogo da cui provengono gli organi dei prigionieri giustiziati, non è questa una cosa del tutto evidente?».
Huang ha poi parlato del settore trapianto di organi: «È diventato sporco. È diventato torbido e intrattabile. È diventato una zona estremamente sensibile, estremamente complicata, fondamentalmente una zona proibita».
Per non correre rischi, Huang non ha menzionato il Falun Gong. Ma la sua dichiarazione così esplicita è molto insolita, e lascia aperta la possibilità che il Partito, se costretto, incriminerà Zhou e i suoi scagnozzi.

Altre due timide indicazioni di cambiamento, sono le affermazioni pubbliche di alcuni funzionari (in cui questi promettono la cessazione dell’utilizzo di organi dai prigionieri a scopo di trapianto) e i recenti cambiamenti nella gestione degli ospedali militari, identificati come il luogo dove vengono effettuati i prelievi forzati di organi. Tutto questo suggerisce una possibile operazione di ripulitura e, al tempo stesso, di insabbiamento della questione del prelievo di organi dai praticanti del Falun Gong.

L’accusa del prelievo sistematico di organi su vasta scala ai danni dei praticanti del Falun Gong, è considerato il crimine più efferato, incredibile e dilagante che il Partito abbia mai commesso. La rivelazione di questo genocidio potrebbe comportare enormi ripercussioni sulla legittimità del Partito comunista, non solo all’interno della Cina ma anche a livello internazionale. 

Approfondimento:

SOTTO I RIFLETTORI

Da circa due anni, la comunità internazionale ha considerato con maggiore serietà la persecuzione del Falun Gong, in particolare le prove riguardanti il prelievo forzato di organi su vasta scala.
Il segno più evidente di questa lenta ma crescente accettazione, è il numero di riconoscimenti pubblici conferiti nell’ultimo anno, come l’approvazione di una risoluzione del Parlamento americano e due importanti premi – il Peabody e l’Aib Award – assegnati al documentario Human harvest, un film diretto dal regista canadese Leon Lee.

Il Peabody viene spesso definito l’equivalente del premio Pulitzer in campo visivo e per vincerlo è necessario il consenso unanime di una giuria di esperti selezionati, che in questo caso hanno definito il film una «denuncia al sistema, mostruoso e altamente redditizio, della donazione forzata di organi».

«Grazie ai praticanti del Falun Gong che hanno raccontato le loro storie con strumenti differenti, le persone sono venute a conoscenza della persecuzione e vi hanno resistito pacificamente», ha dichiarato Lee in un’intervista telefonica. Il regista di Vancouver fa parte di una nuova generazione di scrittori; la descrizione dei crimini commessi contro il Falun Gong adotta uno stile narrativo che ben si adatta al pubblico occidentale istruito. Di conseguenza, l’esposizione e il chiarimento dei fatti è di notevole efficacia, a differenza di molti praticanti cinesi che a volte impiegano metodi di comunicazione poco familiari per gli occidentali (queste persone spesso ottengono lo status di rifugiati nei Paesi occidentali e la differenza comunicativa è dovuta al differente contesto sociale della Cina, una situazione che ricorda gli attivisti democratici cinesi appartenenti alla generazione precedente).
La differenza comunicativa si spiega inoltre comprendendo la forma della comunità di questa disciplina spirituale: nel Falun Gong non esiste una struttura formale di pubbliche relazioni, poiché non è una pratica istituzionalizzata – non esiste un sistema di registrazione di appartenenza, tantomeno un’organizzazione finanziaria o centrale. Di conseguenza, il chiarimento dei fatti riguardanti la persecuzione viene preso in carico da gruppi di praticanti volontari che informano i più alti rappresentanti istituzionali, preparano aggiornamenti, organizzano eventi o parlano con i giornalisti.

Ma l’arrivo sulla scena di Anastasia Lin, praticante del Falun Gong che si è aggiudicata il concorso Miss Mondo in Canada a maggio 2015, ha inaspettatamente migliorato il profilo della pratica in tutto il mondo. Dopo questa prima vittoria, la Lin ha tentato di partecipare al concorso di bellezza a Sanya in Cina, ma è stata respinta all’aeroporto di Hong Kong, innescando una tempesta mediatica globale. Nelle interviste, nei discorsi e nei vari talk-show, questa giovane 25enne, nata in Cina ma cresciuta in Canada, ha mostrato al mondo un volto nuovo, fresco e non convenzionale del Falun Gong.

La Lin non è né una portavoce del Falun Gong, né esperta sul tema, ma la novità del suo caso l’ha proiettata sotto i riflettori, al punto da essere comparsa decine di volte sui maggiori media, tra cui un articolo in prima pagina del New York Times: «Carismatica, cauta e mediatica […] per Pechino un incubo, in fatto di pubbliche relazioni».

In una recente intervista, la Lin ha fatto notare che generalmente i giornalisti e i ricercatori in cui si è imbattuta non conoscono la situazione del Falun Gong, non comprendono la sua struttura non istituzionalizzata e ignorano i principi fondamentali della pratica: «Non è colpa loro. I praticanti non hanno eseguito una grande campagna di pubbliche relazioni. Non conoscerlo non è un problema, visto che ora ne vengono a conoscenza».
Secondo la Lin, molti praticanti cinesi che sono poi scappati in Occidente come rifugiati «usano metodi [di comunicazione, ndr] molto cinesi. Ma non funziona qui». Naturalmente ci sono molti occidentali che praticano il Falun Gong «ma hanno un lavoro a tempo pieno. Non passano tutta la giornata su questo tema».

Tuttavia, la Lin dice di aver sentito dagli amici che l’immagine pubblica del Falun Gong sta cambiando, e che è meglio conosciuto grazie alla sua delicata vicenda (che attualmente rappresenta il caso più famoso del Falun Gong) e alla sua forte, frizzante e retta personalità che distrugge ogni banale stereotipo.

Approfondimento:

UNA MINORE ‘VOLONTA’ DI UCCIDERE’

Naturalmente, il fattore chiave sul Falun Gong è la persecuzione e dei suoi praticanti in Cina. Il quadro è complicato: nell’anno passato, un gran numero di praticanti in Cina hanno presentato denuncia penale contro Jiang Zemin, accusandolo delle conseguenze della persecuzione (fra le molte: rovina sul piano economico, torture o uccusione dei propri familiari praticanti). 

Nel Nord-est della Cina in particolare, punto nevralgico della persecuzione, la risposta a queste denunce è stata brutale. Per esempio, lo scorso settembre nella provincia del Liaoning, degli agenti di polizia hanno spinto la praticante del Falun Gong Wu Donghui giù da una rampa di scale presso il suo posto di lavoro: era la punzione per aver presentato denuncia contro Jiang. Più tardi, gli agenti hanno estorto a suo padre l’equivalente di duemila euro (pari a circa il 25 per cento del salario medio annuale di un operaio).

Un altro caso è di gennaio 2016, quando Chen Jing di Jiamusi, città al confine siberiano, è stata arrestata e torturata: piegata all’indietro con piedi e mani legati assieme, è stata issata con una corda e legata a un tubo di riscaldamento. Questa atroce tortura è stata inflitta più volte, nel tentativo di costringerla a incriminare i suoi amici praticanti; un agente di polizia, secondo un resoconto di Minghui.org (sito che fornisce informazioni di prima mano su questa persecuzione), le poi ha rotto tutte le dita di una mano.

Ma, d’altra parte, è anche importante riportare la singolare esperienza vissuta da Sheng Xiaoyun, suocera della celebrità di YouTube Ben Hedges, il cui programma (che rappresenta la visione della Cina da parte di un occidentale) viene trasmesso da New Tang Dynasty Television. Sheng, anche lei residente nel Nord del Paese, non ha subito percosse o torture, ma ha invece trascorso dieci giorni in carcere per aver presentato denuncia penale contro Jiang Zemin. Ma in questo caso è sembrato più che altro un pro-forma: durante la detenzione, Sheng ha potuto infatti praticare gli esercizi del Falun Gong e anche studiare i suoi insegnamenti. Alla fine, dopo il suo rilascio le è stato anche riconsegnato il suo computer.
«Al giorno d’oggi, la polizia tratta meglio i praticanti del Falun Gong – ha commentato Shen in un’intervista telefonica – Sanno che i praticanti sono brave persone e che sono stati diffamati. A volte non cercano di fermarti se racconti la verità sul Falun Gong. Ci sono poliziotti che conoscono la verità».

Anche altri praticanti non hanno subito molestie dopo aver presentato le loro denunce legali contro Jiang Zemin. Ed è un fatto estremamente significativo per la Cina, considerato che fino a un decennio fa un simile tentativo avrebbe comportato la condanna a morte del querelante. E la diversità di trattamento tra i querelanti secondo Xia Yiyang, direttore dell’area di Politica e Ricerca presso la Human Rights Law Foundation, è dovuta al fatto che «il Partito non ha mai effettivamente imposto una chiara politica di divieto di questa attività».

Per quanto riguarda le punizioni inflitte ai quadri coinvolti nella persecuzione, anche questa è un fatto degna di nota: «Sebbene non costituisca un cambiamento di politica, da quando è salito al potere Xi Jinping i funzionari che facevano parte della catena di comando della persecuzione del Falun Gong non sono più intoccabili» osserva Xia. In passato, la maggior parte di questi quadri potevano operare indisturbati, poiché la priorità era la persecuzione e un’efficiente attività di governo, ma «ora i principali personaggi di questa catena di comando non sono più protetti. Questo è un grande cambiamento».

Naturalmente, la linea ufficiale contro il Falun Gong non è cambiata. E i praticanti non sperano né tantomeno si aspettano un ‘pingfan‘, termine che in cinese indica la riabilitazione politica. Piuttosto, si aspettano che la riabilitazione del Falun Gong avverrà solo dopo il crollo del Partito Comunista.
Nel frattempo, questa comunità si sta impegnando ad aiutare il popolo cinese a prepararsi per questa eventualità, incoraggiando allo stesso tempo Xi Jinping a dare l’accelerata finale a questo processo, e a sfruttare questa occasione per salvarsi agli occhi della Storia.

DOPO LA PERSECUZIONE

Dal 2005, la comunità del Falun Gong sta lavorando pacificamente per indebolire la base di potere fondamentale del Partito: il consenso al Partito Comunista Cinese. Questa azione è diventata chiara a partire dal 2004, da quando cioé i praticanti e poi gradualmente la popolazione cinese hanno iniziato a prendere coscienza che qualsiasi forma di convivenza con il regime è di fatto impossibile.

L’articolazione più concreta di questa filosofia è il Tuidang, un movimento che invita i cinesi a dichiarare la loro opposizione al regime: firmano (col proprio nome vero) le dimissioni dal Partito Comunista e da tutte le sue organizzazioni affiliate (è il ‘Tuidang‘, che in cinese significa ‘Dimettersi dal Partito’). Finora il Tuidang Center, il cui database è ospitato sui server gestiti dalla versione in lingua cinese di Epoch Times, ha registrato oltre 200 milioni di dichiarazioni di dimissioni; tutti i cinesi del mondo possono dimettersi, anche quelli che non sono effettivamente tesserati del Partito.

«Non è un movimento politico in cui vogliamo che le persone scendano in strada a dimostrare – spiega David Tompkins, portavoce dell’organizzazione – Si tratta piuttosto di persone che hanno spezzato anni di indottrinamento sotto il Partito Comunista, per liberarsi del Partito».

«Tuidang rappresenta un nuovo futuro e la visione di una nuova Cina che i cinesi possano apprezzare, senza il Partito Comunista». Tompkins ha poi spiegato che quest’anno un maggior numero di persone ha utilizzato il proprio vero nome invece che uno pseudonimo (come era consuetudine nel Tuidang): «Le voci di dissenso sono sempre più forti e sempre meno timorose nei confronti dell’oppressione e della rappresaglia del regime».

«Fino a oggi, l’autorità politica in Cina è stata esercitata in parte attraverso un meccanismo di controllo e repressione, ma ancor di più attraverso la percezione distorta e la paura del suo potere. Il rafforzamento di simili impressioni, attraverso la propaganda e l’ostentazione del potere, è quindi cruciale. La dimostrazione di Zhongnanhai ha minacciato di spezzare la paura della gente e di trasferire il potere simbolico sul Falun Gong» sostiene David Palmer, professore di religione cinese di Hong Kong, che fa riferimento a un avvenimento del 25 aprile 1999 (tre mesi prima dell’inizio ufficiale della repressione) in cui circa diecimila praticanti del Falun Gong si riunirono a Pechino vicino a Zhongnanhai, il quartier generale del Pcc, per chiedere di poter praticare in modo sicuro e legttimo.

L’idea di riabilitare il Falun Gong non corrisponde a una malriposta velleità di ‘tornare a unirsi’ al Partito, come avevano sperato alcuni degli attivisti democratici più incalliti delle generazioni precedenti; dal punto di vista dei praticanti, e di un sempre crescente numero di cittadini cinesi, ogni riconciliazione con il Partito è impossibile: l’unico futuro che esista per la Cina è senza il Pcc.
E considerate le difficoltà dell’economia cinese, che secondo alcuni si manifestano anche sotto forma di crisi e divisioni senza precedenti nel Partito, un potenziale cambiamento sembra inevitabile.

Wang Youqun, nei suoi rapporti con i quadri di alto livello del Partito, ha notato che molti funzionari del regime nel corso degli ultimi 17 anni sono rimasti profondamente colpiti dalla strenua resistenza dei praticanti della Falun Dafa; il sacrificio per la loro fede è in netto contrasto con l’autoconservazione e i perseguimenti materialisti tipici dei funzionari cinesi. «Nessuno crede più nel marxismo – spiega Wang – Nessuno crede nel Partito Comunista. Le persone badano semplicemente agli affari propri».

Per adesso, l’idea che la persecuzione di questa pratica non sia più da sostenere sul piano politico – o che addirittura possa finire – spaventa diversi soggetti dell’apparato di sicurezza, che vogliono capire da che parte tira il vento, mentre assistono con ansia alle purghe di Xi Jinping.
«Si tratta di un sistema totalitario, con controllo e sorveglianza centralizzata – conclude Wang – In ogni settore, il potere del funzionario responsabile è totale; ma nonappena il tuo superiore viene sostituito, tutto può cambiare. Se Jiang Zemin muore, la politica della persecuzione potrebbe cambiare totalmente».

Per saperne di più:

Articolo in inglese: ‘Falun Gong Looks Forward to a New China

 
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