Il dittatore eletto della Turchia

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ancor da prima che ci fosse il tentativo di golpe militare, governava la nazione come un dittatore, imponendo l’ultima parola su ogni questione di Stato. Questo mal riuscito colpo di Stato, non è stato nient’altro che «un dono di Dio» – usando le parole del presidente – poiché lo ha aiutato a liberarsi dei rimasugli democratici e a ripulire esercito e magistratura, al fine di assicurare una completa subordinazione delle istituzioni al suo volere.

Per Erdogan, essere eletto è equivalso all’aver ricevuto l’autorizzazione a calpestare e smantellare tutti i principi democratici, con lo scopo di consolidare il proprio potere e promuovere il proprio programma di stampo islamico.

Da politico furbo e altamente esperto quale è, ha dipinto il golpe come un assalto alla democrazia, fortemente sostenuta dalle maggiori potenze occidentali, nonostante queste sappiano perfettamente che la nazione, sotto il controllo di Erdogan, è tutt’altro che democratica.

La sua permanenza al potere, tuttavia, è imputabile alla sua sorprendente abilità di appellarsi alla classe più povera e alla realizzazione di servizi di cui quasi la metà della popolazione aveva disperatamente bisogno, fra cui l’accesso all’assistenza sanitaria, il miglioramento delle infrastrutture, l’aumento delle opportunità di lavoro e la promozione dei valori islamici (in maniera che sarebbe stata inammissibile in passato) in cui il turco medio potesse identificarsi.

Quasi il 50 percento della popolazione, che ha beneficiato direttamente di queste riforme ed è diventata fervente sostenitrice di Erdogan, non è interessata al fatto che i principi democratici vengano calpestati. Nonostante il presidente abbia sistematicamente privato la popolazione di ogni diritto, decine di migliaia di persone hanno accolto la sua richiesta di scendere per le strade a lottare contro l’esercito, mettendo tra l’altro in grave pericolo le proprie vite.

In realtà, una delle principali ragioni alla base del golpe, era quella di fermare Erdogan dalla completa distruzione della laicità e dei pilastri della democrazia stabiliti, nel 1923, dal padre della Turchia moderna Mustafa Kemal Ataturk.

Ataturk aveva istituito una democrazia laica in stile occidentale e posto l’esercito a difesa della costituzione turca. Le forze armate hanno esercitato questa loro prerogativa quattro volte prima di questa, per evitare che il Paese scivolasse nel disordine.

Il primo colpo di Stato, nel 1960, ha portato alla deposizione ed esecuzione del Primo Ministro Adnan Menderes, poiché stava aumentando l’islamizzazione del Paese. Il quarto golpe, nel 1997, è terminato con le dimissioni forzate e il bando dalla politica del Primo Ministro Necmettin Erbakan, soluzione causata dal deterioramento dei principi laici della nazione che si stava verificando durante il suo mandato.

Sebbene l’induzione di cambiamenti di regime attraverso un golpe militare non sia il metodo più raccomandato, considerato quanto Erdogan ha gradualmente ed efficacemente razziato il Paese da tutte le proprie caratteristiche democratiche, un segmento dell’esercito ha sentito di non aver altra scelta se non quella di passare all’azione, per cambiare la rischiosa rotta che Erdogan ha imposto al Paese.

Questo tragico episodio si sarebbe potuto evitare se le potenze occidentali, guidate dagli Stati Uniti, avessero alzato la voce nel condannare il modo sfrenato con cui Erdogan esercita il suo potere, specialmente negli ultimi anni. Al contrario, gli occidentali hanno mantenuto l’enfasi sull’importanza strategica della Turchia, cosa che il presidente turco ha pienamente sfruttato a proprio vantaggio.

Il ruolo della Turchia di ospitare quasi 2,5 milioni di rifugiati siriani e il potere di arginare il flusso o di aprire i cancelli ai rifugiati per invadere le città europee, ha ulteriormente rafforzato il controllo di Erdogan.

Il presidente ha sfruttato con successo le profonde preoccupazioni dell’Eu sulla crisi dei rifugiati, stringendo un accordo che fornisce alla Turchia benefici per controbilanciare gli impegni. Il fulcro dell’accordo prevedeva che i migranti che attraversano la Turchia per andare in Grecia venissero rimandati indietro e che, per ogni siriano tornato in Turchia, uno viene ricollocato nell’Eu. In cambio, i cittadini turchi avrebbero ottenuto l’accesso alla zona Schengen, mentre l’Eu avrebbe velocizzato l’assegnazione di 6 miliardi di euro di aiuto alla Turchia, con lo scopo di aiutare i migranti ed ‘energizzare’ la candidatura di Ankara per entrare nell’Eu.

Benchè Erdogan stia minacciando di cancellare gli accordi dopo che l’Eu ha messo in dubbio la concessione dell’esenzione del visto di entrata nei Paesi membri, l’Europa sta resistendo al progetto turco di restaurare la pena di morte nel Paese. Il presidente turco ha assunto un atteggiamento sprezzante e crede di potersi impunemente imporre agli Stati occidentali.

Inoltre, Erdogan crede che la Turchia abbia un ruolo significativo nella lotta allo Stato islamico (Isis), e consente all’aviazione degli Stati Uniti di utilizzare la base aerea turca di Incirlik per colpire i bersagli dell’Isis. Questo fa da leva nei confronti degli Stati Uniti, che hanno così zittito nuovamente ogni critica verso le continuate e gravi violazioni dei diritti umani del presidente turco.

Chi sperava che Erdogan potesse divenire più cauto, dopo il colpo di Stato, e mostrare una certa moderazione nel trattamento dei sospettati, ha visto infranta ogni speranza. Erdogan non ha infatti perso tempo a iniziare un’enorme caccia alle streghe – circa 9.500 persone sono attualmente sotto processo, e quasi 50 mila fra soldati, giudici, funzionari pubblici e insegnanti sono stati sospesi o arrestati. Centinaia se non migliaia di persone stanno marcendo in cella sotto ‘stato di emergenza’, che permette un’indefinita carcerazione preventiva senza accuse formali.

Non solo: Erdogan ha ‘saccheggiato’ le scuole superiori vietando a tutti gli studenti ogni viaggio estero anche per scopi scolastici, mentre il Consiglio di Stato per l’educazione ha richiesto le dimissioni di più di 1.500 rettori universitari. Il vasto numero di persone rastrellato così velocemente fa emergere il sospetto che questi individui fossero già da tempo nella lista nera.
Erdogan è stato in grado di fare tutto questo con il supporto di circa 200 mila fra agenti di polizia e dei servizi a lui estremamente fedeli.

Permettere a Erdogan di agire, fortificatosi dopo il golpe, equivale alla legittimazione di un ulteriore intensificarsi della sua guerra contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) e i Curdi siriani (che fra l’altro sono alleati agli Stati Uniti) e al continuare a rifiutare la ripresa delle negoziazioni con la numerosa comunità curda della Turchia.

Probabilmente è giunto il tempo per l’Eu e gli Stati Uniti di rivedere le loro relazioni con la Turchia e smettere di permettere a Erdogan di avere carta bianca. In realtà il suo comportamento impatta sia direttamente che indirettamente sugli interessi dell’Occidente, sia internamente che in Medio Oriente.
Gli Stati Uniti non possono permettere ad alcun membro della Nato di calpestare ogni regola democratica senza nessuna conseguenza. Inoltre, Erdogan ha dimostrato innumerevoli volte di mancare di fedeltà e volontà come membro Nato.

La Turchia dovrebbe essere messa in guardia: a questo proposito, il Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry ha recentemente affermato con severità che la Nato ha un «obbligo nel rispettare la democrazia… Ovviamente, molte persone sono state arrestate molto velocemente. Speriamo di poter lavorare in maniera costruttiva con lo scopo di prevenire una ricaduta».

Inoltre, Erdogan dovrebbe essere avvertito che la possibilità per la Turchia di diventare un membro dell’Unione Europea sfumerà, se continuerà nelle sue violazioni sistematiche dei principi democratici, tra cui spicca la completa subordinazione dell’apparato giudiziario alla sua agenda politica.

Sebbene gli Stati Uniti e l’Eu abbiano bisogno della Turchia nella lotta contro l’Isis, sarebbe opportuno rammentare al presidente turco che l’Isis rappresenta una minaccia maggiore per la Turchia che per gli interessi occidentali.

Infine Ankara dovrebbe essere messa sotto pressione allo scopo di farle riprendere i negoziati con la minoranza curda e di portare fine alla guerra contro il Pkk, questioni che stanno ulteriormente destabilizzando la regione in un momento in cui l’attenzione dovrebbe essere volta alla sconfitta dell’Isis.

A questo proposito, Erdogan deve capire che ci saranno delle serie conseguenze se non smetterà di attaccare i curdi siriani con il pretesto di combattere il terrorismo (il presidente si è nascosto dietro al pretesto che il loro braccio armato, il Pyd, coopererebbe con il Pkk).

Considerando che Erdogan ha valutato il fallito colpo di Stato come un’opportunità inviata da Dio per spazzare via chiunque sia percepito come un nemico, gli Stati Uniti e l’Eu devono sfruttare questa occasione per mettere in guardia Erdogan sul fatto che la Storia ha mostrato molte volte che i regimi totalitari fanno una brutta fine. E che anche a lui non sarà risparmiato il giorno del giudizio.

Il Dr. Alon Ben-Meir è professore di relazioni internazionali al Centro per gli Affari Globali all’Università di New York. Insegna corsi di negoziazione internazionale e ricerche sul Medio Oriente. AlonBen-Meir.com

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Per approfondire:

 

Articolo in ingleseTurkey’s Elected Dictator

 
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