I veri motivi per cui Puigdemont vuole l’indipendenza della Catalogna

Il tema Catalogna è caldo quanto gli animi delle parti coinvolte: il governo centrale di Madrid e il governo autonomo catalano. Ma ci sarebbe, sullo sfondo, anche l’Unione europea. Epoch Times ha chiesto al professor Pierluigi Petrillo, docente di diritto costituzionale comparato alla Luiss di Roma, la sua opinione rispetto alle ragioni che sono alla base della crisi e gli aspetti storici e attuali.

Per quali ragioni la Catalogna vuole l’indipendenza?

Si può dire che i profili sono di tue tipi: sotto il primo profilo c’è una motivazione storica, cioè la Catalogna è sempre stata uno Stato indipendente fino a quando tre secoli fa si costituì il Regno di Spagna e la Catalogna venne annessa; è più o meno lo stesso motivo che spinge i moti indipendentisti in Scozia, dove la Scozia è sempre stata uno Stato indipendente, ma quando nel 1707 fu creato il Regno di Gran Bretagna, la Scozia perse l’indipendenza. Quindi, questo è il primo motivo, cioè ritornare alle origini. Ma le ragioni storiche a mio avviso sono puramente un pretesto.

Sostanzialmente le ragioni sono economiche. Cioè il Pil della Catalogna, il reddito pro capite della Catalogna, il debito pubblico della Catalogna, si distingue nettamente da quello dello Stato spagnolo. Considerando ‘100’ il debito della Spagna, il debito della Catalogna è di circa 20; il reddito pro capite di un cittadino catalano è superiore del 40 per cento al reddito pro capite di uno spagnolo; il prodotto interno lordo in Catalogna è nettamente superiore al Pil della Spagna.

Quindi, le rivendicazioni indipendentiste sono rinate circa dieci anni fa, quando una serie di movimenti politici di area di sinistra, hanno rivendicato una maggiore autonomia nella gestione dei soldi dei cittadini catalani. Poi questo discorso si è evoluto quando gli indipendentisti hanno pensato al fatto che la Catalogna è molto più ricca delle altre comunità autonome spagnole, e che se fossero stati da soli non avrebbero dovuto pagare la zavorra delle altre regioni. Un po’ come il ragionamento che veniva fatto qualche anno fa in Italia da parte di alcuni movimenti autonomisti per le regioni del Nord, che non volevano più pagare la presunta zavorra delle regioni del Sud.

Esistono anche ragioni ideologico-politiche?

In realtà questo aspetto è abbastanza marginale, perché al governo della Catalogna c’è un partito che non ha relazioni né con i popolari (conservatori) né con i socialisti. È un partito che ha una vita esclusivamente interna alla Catalogna, e quindi non c’è una motivazione ideologica nel senso di legarla a un’ideologia politica. È vero che la situazione è degenerata quando al governo centrale, il potere è tornato nelle mani del Partito popolare che storicamente ha sempre osteggiato le spinte autonomiste, non solo della Catalogna ma di qualsiasi altra comunità autonoma. Il Partito popolare spagnolo è sempre stato infatti un partito molto accentratore: mentre il Partito socialista era favorevole alla delega di potere alle comunità autonome, quello popolare no. Quindi è innegabile che quando il Partito popolare è tornato al potere si siano acuiti i contrasti con il governo catalano. Però non vedo una visione politica qui: è la borsa che governa il processo.

Che tipo di indipendenza chiedono i catalani?

Ora loro sono una regione a statuto speciale, anzi le comunità autonome spagnole hanno il triplo dei poteri che hanno le ragioni italiane a statuto speciale: hanno un potere di bilancio molto significativo, in una serie di materie di diritto civile decidono loro, i giudici se li scelgono loro… Le comunità autonome spagnole hanno poteri che le nostre regioni, anche quelle a statuto speciale, non vedono neanche lontanamente e non potranno mai avere secondo il nostro ordinamento; quindi quello che loro chiedono è proprio di secedere dalla Spagna e di tornare a essere come cinque secoli fa uno Stato indipendente: vogliono diventare uno Stato autonomo a tutti gli effetti.

In tutto questo perché l’Unione Europea è rimasta in una posizione piuttosto defilata rispetto a situazioni analoghe passate?

L’Unione europea è totalmente assente, nel senso che guarda alla finestra quello che accade ma non interviene. Secondo me è una posizione di grande imbarazzo, ma questo è la prova che a livello europeo non esistono delle istituzioni. Ci sono dei signori che hanno un ruolo come il presidente dell’Unione, il presidente del Consiglio, il presidente della Commissione, ma questo è solo un ruolo sulla carta e nella sostanza non ha alcun peso. Ricordiamoci che abbiamo un ministro degli Esteri europeo, per altro italiano, che non mi pare sia intervenuto con decisione su questa questione. L’Europa è totalmente assente perché non esiste l’istituzione europea. Ci sono delle cariche del tutto prive di contenuto e di potere. Quindi se da un punto di vista giuridico è assente perché non hanno ruolo, non hanno sostanza quei nomi. Dal punto di vista politico – e questo è quello che preoccupa – l’assenza dell’Unione europea è lampante. Anziché intervenire e farsi garante della correttezza delle relazioni, del dialogo eccetera, rimane a guardare. Il che è un po’ spettrale, perché quello che oggi accade in Spagna con la Catalogna potrebbe accadere in tanti altri Paesi a partire dal nostro, nei prossimi anni. Quindi la debolezza europea ha un peso che secondo me è un precedente negativo.

In più c’è da aggiungere che l’attuale governo catalano appare un po’ estremista nelle sue posizioni…

Sì, ho l’impressione che la situazione sia sfuggita di mano all’attuale governatore catalano. Il punto qual è? Nel 2006 il parlamento di Madrid approva un nuovo statuto per la Catalogna, condiviso con la Catalogna e con il governatore dell’epoca che era di orientamento socialista come la maggioranza politica in quel momento a Madrid. Quindi in quell’anno il parlamento di Madrid, d’accordo con la Catalogna, approva un nuovo statuto per la Catalogna con cui attribuisce alla Catalogna nuovi poteri, ulteriori rispetto a quelli che ha. Poi la Corte costituzionale, il tribunale costituzionale spagnolo, dichiara come parzialmente incostituzionale questo nuovo statuto, perché considera inappropriato dare alla Catalogna potere esclusivo in materie fondamentali, come il diritto di famiglia, il diritto penale… E che queste erano materie che dovevano rimanere di competenza dello Stato centrale.

Questa dichiarazione di incostituzionalità esercita quindi un peso politico molto forte sulla Catalogna, tanto che il governatore è costretto a dimettersi, si va a votare, e prende il potere un partito che è quello che c’è attualmente al governo catalano.
Questo partito però, circa due anni fa, viene investito da una grandissima vicenda giudiziaria, che decapita tutti i suoi vertici, arrestati per corruzione. Allora il nuovo leader di questo partito, nel tentativo di far dimenticare gli scandali che hanno dimezzato i vertici del suo Partito, getta nel dibattito pubblico questo tema dell’indipendenza e della rottura delle relazioni con Madrid. In questo modo raggiunge l’obbiettivo, perché riesce a far cambiare il tema del dibattito pubblico, che non è più la corruzione del partito di governo (catalano), ma la necessità di secedere da Madrid.

Quindi questo va compreso, altrimenti non si capisce come mai Puigdemont abbia fatto questa dichiarazione apparentemente stravagante, con la quale ha dichiarato ma poi ha sospeso l’indipendenza. Lui credo sia perfettamente consapevole che l’atto che sta compiendo è un atto illecito, incostituzionale, un atto per il quale rischia ovviamente la galera. Ma al tempo stesso non sa come uscire da questa situazione. Avendo per due anni cavalcato il moto indipendentista, dovendo nascondere vicende processuali di un certo peso, adesso non sa come uscirne.

Per questo l’Europa dovrebbe intervenire, perché da un lato c’è Rajoy che non può fare un passo indietro perché ha il terrore che i Paesi Baschi o la Galizia facciano la stessa cosa. Dall’altro abbiamo il governatore della Catalogna che non può tornare indietro perché farebbe una figura pessima (già martedì l’ha fatta con gli indipendentisti). Tutti cercano una via di fuga, nessuno può fare un passo indietro, e qualcuno dovrebbe dar loro una scialuppa di salvataggio. Lo può fare solo l’Europa, altrimenti non se ne esce.

Quindi, sì: è vero che nell’ultimo periodo la questione si è radicalizzata, perché bisognava modificare l’agenda del dibattito pubblico, e quindi distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da una serie di malversazioni di cui il partito di governo catalano si era macchiato negli ultimi due anni.

Come finirà tutto questo secondo lei?

Tecnicamente, l’indipendenza non ci sarà mai. Perché la Costituzione che si impone anche alla Catalogna esclude questa possibilità. In più c’è da tener presente che il Parlamento di Madrid ha il potere di dichiarare nulli tutti gli atti compiuti dal Parlamento catalano. Può addirittura spingersi fino a sciogliere il Parlamento catalano e a rimuovere dagli incarichi il governatore e i ministri catalani. Credo che il governo spagnolo interverrà in questo modo, cioè credo che nelle prossime settimane utilizzi la clausola dell’articolo 155 della Costituzione per intervenire.

Finora non l’ha fatto perché questo potere il governo lo può esercitare solo su mandato del Parlamento di Madrid, che deve autorizzare il governo a intervenire. Ma la maggioranza politica in Parlamento è molto composita, e ci sono anche deputati indipendentisti dei Paesi Baschi e della Galizia che ovviamente guardano con grande interesse a quello che sta facendo la Catalogna e che mai voterebbero per autorizzare il governo a sciogliere il Parlamento catalano, in modo da capire se un domani potrebbero fare la stessa cosa. Quindi il governo ha quest’arma, che non ha ancora utilizzato perché deve trovare un accordo in Parlamento. Ma l’accordo in Parlamento è molto difficile, perché il governo non ha i numeri per avere la maggioranza. Questa tuttavia è la via di fuga e l’impressione che ho è che il governo stia lavorando per presentare al Parlamento la situazione Catalana come ‘drammatica’ in modo da poter utilizzare i poteri di cui gode.

La seconda strada che il governo ha, è quella di sollecitare l’intervento della magistratura, cosa che in parte ha già fatto: il capo della polizia catalana è sotto indagine e rischia di essere arrestato da un momento all’altro, perché ha dato ordine ai suoi poliziotti di non eseguire gli ordini del governo centrale. Questo è un reato gravissimo; la magistratura ha iniziato l’indagine e presumo che a breve lo arrestino. E la stessa cosa potrebbe farla nei confronti del governatore catalano, che con la proclamazione di ieri, ha compiuto un atto contrario alla Costituzione e quindi ci sono gli estremi per un suo arresto. È evidente che non viene fatto perché questo renderebbe le relazioni ancora più roventi. Il rischio di una guerra civile c’è tutto, finché non si riesce a mettere attorno a un tavolo le parti coinvolte. C’è bisogno di qualcuno che tolga le castagne dal fuoco, e quel qualcuno non può essere spagnolo. Può farlo solo l’Unione europea.

Rajoy ha da poco chiesto a Puigdemont che chiarisca se ha dichiarato o meno l’indipendenza, e ha affermato che dal governo catalano è giunto un «attacco sleale e pericoloso per la costituzione»

Certo perché deve intervenire a quel punto. Perché se ha dichiarato l’indipendenza ha commesso un atto contrario alla costituzione e quindi deve intervenire, se necessario con la forza. La vicenda si è veramente trascinata in una maniera assurda, perché la preoccupazione del mondo economico catalano è talmente elevata che buona parte delle principali aziende della Catalogna, che sono quelle che assicurano alla Catalogna quei dati economici che giustificano l’autonomia, stanno scappando, fuggono dalla Catalogna. Hanno già spostato le loro sedi in altre comunità autonome. Quindi il paradosso è che la Catalogna si ritrovi indipendente, contro la Costituzione, con l’intervento militare del governo centrale, e senza avere più le imprese che garantivano alla Catalogna di avere quel Pil e quella ricchezza: hanno solo da perdere.

 

 
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