I gravi rischi dell’entrata di Visa e Mastercard in Cina

Il viaggio in Asia di Donald Trump ha messo in luce quanto sia complesso per le società americane accedere ai principali settori economici della Cina. Nel mercato delle carte di credito, per esempio, sebbene alcune compagnie siano sul punto di riuscire a inserirsi nel mercato cinese, le pratiche commerciali disoneste del Dragone rischiano di trasformare quella che è un’enorme opportunità di crescita in un costoso problema economico per le imprese statunitensi, e in un probabile problema di sicurezza per i consumatori mondiali.

Il mercato globale delle carte di credito al momento consta di 14 miliardi di carte, e solo nell’ultimo anno ne sono state emesse un altro miliardo. La crescita più grande si è avuta nella regione Asia-Pacifico, ed è la Cina a contribuire in gran parte a questo dato.

L’80 per cento di tutte le carte di credito esistenti appartengono a Visa, Mastercard e UnionPay, una società cinese. Secondo uno studio di Rbr, la rapida espansione del mercato cinese delle carte di credito, ha aiutato UnionPay ad aumentare la sua quota di mercato a livello globale fino al 43 per cento, nel 2016, incrementando ulteriormente il proprio vantaggio su Visa e Mastercard. Non solo queste ultime hanno perso la loro quota di mercato globale, a vantaggio di UnionPay, ma questa sta anche consolidando la propria posizione di leader del mercato, sfruttando l’accesso cinese ai mercati esteri, compresi quelli occidentali: UnionPay si sta infatti presentando come un’alternativa a Visa e Mastercard in vari mercati esteri, specialmente in Russia e in altre nazioni asiatiche.
Il circuito cinese si sta rivolgendo ai mercati esteri, per anticipare la concorrenza interna che verrà da Visa e MasterCard, non appena queste otterranno le licenze per operare in Cina. Ma le preoccupazioni di UnionPay sulla concorrenza nel mercato interno sono senza dubbio eccessive, dato che Pechino intende semplicemente assicurare alle proprie compagnie il meglio dei due mondi: quello del mercato libero e quello del mercato protezionistico.

Il regime comunista cinese è il principale esempio di un governo che cerca di rallentare la crescita generale nel settore dei pagamenti, e lo fa in primo luogo ostacolando l’entrata delle compagnie americane nel proprio mercato nazionale. E il fatto che la Cina non abbia giocato secondo le regole internazionali, per quanto riguarda i pagamenti elettronici, è ben documentato. Il gigante asiatico, infatti, permette a un solo ente cinese (appunto UnionPay), di fornire servizi di pagamento elettronico nel Paese per transazioni in renminbi. I servizi di altri fornitori possono essere impiegati solo per le transazioni in moneta straniera. Pechino impone anche che tutti i dispositivi che leggono le carte di credito siano compatibili con il sistema di UnionPay, e che le carte di altri circuiti abbiano anche il suo logo (costringendo soggetti come, as esempio, Visa e MasterCard a una sorta di co-branding forzato con la concorrenza).

Da tempo gli Stati Uniti hanno fatto opposizione contro queste regole cinesi. E dopo un reclamo formale presso l’Organizzazione mondiale del Commercio nel 2010, l’Omc ha richiesto, il 16 luglio di due anni dopo, che la Cina aprisse il proprio settore dei pagamenti alla competizione estera.

Eppure, ancora oggi, la Cina non gioca secondo le regole internazionali e non ha aperto il suo mercato.

Ma, forse, le cose stanno per cambiare: l’Ente di vigilanza governativo cinese ha recentemente annunciato che permetterà – tardivamente – l’entrata americana nel mercato cinese dei pagamenti. Tuttavia, i cinesi hanno risposto a questo futuro abbattimento delle proprie barriere protezionistiche con significative restrizioni a livello di vigilanza.
Il fatto che le regole sulla vigilanza permettano alle compagnie americane procedere all’ottenimento di una licenza, fa ritenere che le autorità cinesi non abbiamo intenzione, al momento, di garantire un accesso al mercato completo e immediato. Le aziende americane potranno fare richiesta di licenza, ma non potranno subito operare nel mercato.
Inoltre, compagnie come Visa e Mastercard saranno costrette a costruire nuovi centri dati in Cina, in quanto l’elaborazione dei dati per il mercato cinese dovrà essere svolta completamente sul suo territorio.

Queste gravose richieste, comporteranno un notevole aumento delle spese generali annuali di Visa e Mastercard, cosa che avrà un effetto negativo sulla creazione di nuovi posti di lavoro in America.

Non solo: l’eccesso di vigilanza cinese sul mercato dei pagamenti interni, non è semplicemente un problema economico per le compagnie e i lavoratori americani. I risultati potrebbero invece essere peggiori per il pubblico in generale. Per esempio, la rete globale di ricerca e pagamenti di Mastercard opera mediante interruttori centrali. Se il centro di elaborazione dati della compagnia comincerà a operare nella Cina continentale, potrebbe divenire preda degli attacchi informatici da parte regime cinese.

Si profilerebbero quindi enormi problemi di sicurezza, se alla Cina venissero fornite le chiavi del regno di Mastercard. Con un accesso completo, la dittatura cinese potrebbe potenzialmente accedere ai dati di tutti i clienti Mastercard, compresi i registri finanziari confidenziali di innumerevoli milioni di persone nel mondo. Questa vulnerabilità nella sicurezza, è stata aggravata dal nuovo trattato sull’e-commerce firmato quest’estate tra Cina e Iran.

In ogni caso, si spera che i funzionari del governo Usa abbiano reso del tutto chiaro alle controparti cinesi, che il settore dei pagamenti – un’innovazione del tutto americana – possa solo portare vantaggi alle economie di entrambe le nazioni. Ma questo potrà avvenire solo quando le società statunitensi saranno accolte in Cina da un ambiente in cui la vigilanza sia gestita in modo razionale.

 

Patrick Basham è il direttore fondatore del Democracy Institute, un’organizzazione di ricerca politicamente indipendente con sede a Washington.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: China’s Unfair and Dangerous E-Payments Policy

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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