I programmi economici di Trump e della Clinton, fra neo-reaganismo e socialdemocrazia

Nelle elezioni presidenziali americane, molti sondaggi affermano che l’economia è la più importante questione: il candidato che riuscirà a ottenere la fiducia degli elettori su questo tema avrà buone chance di vittoria.

I piani economici di Donald Trump e Hillary Clinton offrono una chiara scelta. Trump cerca di restaurare la grandezza americana con politiche volte a rilanciare la crescita economica. La Clinton cerca giustizia e benefici maggiori per le classi media e lavoratrice.
Ma le loro proposte ricadono entrambe su una questione: i soldi vengono spesi meglio dallo Stato o dai cittadini?

Trump pensa chiaramente che le persone – come individui o attraverso le società che gestiscono – dovrebbero decidere in merito ai propri consumi e investimenti, mentre la Clinton vuole ottenere più denaro dal settore privato, così che il governo possa spendere e investire per conto del popolo.

DONALD TRUMP

Il piano di tassazione di Trump include un’aliquota fiscale dello zero percento per le persone che guadagnano meno di 25 mila dollari. Il provvedimento sarebbe molto forte e avrebbe un notevole effetto sulle finanze della classe media e dei poveri.
Durante il discorso al Club Economico di Detroit, il candidato repubblicano ha affermato: «Con questa riforma elimineremo le scappatoie di interessi speciali che sono state profittevoli per gli investitori di Wall Street e per persone come me, ma scorrette verso i lavoratori americani».

Recentemente, a Detroit, Trump ha usato lo stesso schema che i repubblicani avevano precedentemente proposto: 12 percento, 25 percento e 33 percento: «Per molti lavoratori americani, l’aliquota fiscale sarà zero».
In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal invece, Trump ha suggerito quattro fasce di tasse: 0 percento (per entrate fino a 25 mila dollari), 10 percento (fino a 50 mila dollari), 20 percento (fino a 150 mila dollari), e 25 percento (sopra i 150 mila dollari). La maggior parte delle analisi effettuate sono ancora basate su questa proposta.

Sotto la legislazione corrente le fasce sono sette, con il tasso per quella maggiore fissato al 39,6 percento. Poiché le imposte saranno in generale più basse, le spese deducibili saranno abolite, eccetto che per i pagamenti dei mutui e i contributi di beneficenza.

Aboliti i capital gain a lungo termine sotto il reddito dei 50 mila dollari; ci sarà un tasso massimo del 20 percento dai 150 mila dollari in su. Nessuna tassa federale sulle proprietà, e nemmeno sulle donazioni. Dall’altro lato, hedge fund e altri fondi speculativi che precedentemente avevano avuto modo di nascondere commissioni, le entrate e i capital gain, non avranno più la possibilità di farlo in futuro. La falla del cosiddetto carried interest verrà chiusa.

Trump scrive: «Le politiche proposte permetteranno alla classe media di mantenere la maggior parte delle loro detrazioni mentre ne elimineranno molte per coloro che sono molto ricchi. Con più denaro nei portafogli della classe media, le spese di consumo aumenteranno, i risparmi per mandare i figli all’università cresceranno e il debito per persona scenderà». La direzione è chiara: le persone e le imprese, e non il governo, decideranno cosa fare con il proprio denaro.

I critici dicono che il piano di Trump porterà ancor più denaro ai ricchi, mentre i suoi sostenitori affermano che i poveri e la classe media ne beneficeranno maggiormente, rispetto alla pressione fiscale che attualmente grava su di loro.
Quindi, cosa non piace della proposta? Che costerà, e probabilmente parecchio.

Trump afferma che eliminerà le spese inutili del governo e che le operazioni bancarie in crescita pareggeranno i tagli delle tasse. La misura con cui rialzare o abbassare le imposte scoraggia o stimola la crescita economica, e sarà la chiave dell’analisi degli effetti delle politiche fiscali di Trump e della Clinton.

Il Tax Policy Center stima che le proposte originali prima di Detroit, se implementate, dovrebbero costare 9,5 trilioni di dollari sul budget federale oltre alla spesa corrente e aggiungerebbero questo ammontare al debito nazionale, a meno che il denaro perso tramite il ribasso delle tasse non venga compensato da tagli di bilancio.

Moody’s Analytics afferma che le proposte concrete sui piani di salvataggio dei costi includono solamente l’aumento delle spese per veterani e militari, e alcuni aggiustamenti minori al programma medico, lasciando gli altri programmi di benefici come l’assicurazione medica e sociale inalterata.

Secondo Moody’s, Trump avrebbe bisogno di tagliare le spese del 20 percento per riuscire a pagare per il taglio delle imposte e raggiungere i suoi obbiettivi di bilancio delle entrate secondo le previsioni del Tax Policy Center.

Peter Navarro, un consulente politico di Trump, in un’intervista a Epoch Times ha affermato che questi modelli sono del tipo «se entra sporcizia non può che uscire sporcizia». Navarro ritiene che il bilancio delle entrate possa essere raggiunto riducendo il deficit commerciale, il quale viene sottratto dal Pil, un’altra delle politiche distintive di Trump. L’attività economica inoltre crescerà sostituendo l’illegalità del lavoro nero degli immigrati clandestini con la legalità delle tasse pagate dai lavoratori americani.

«il bilanciamento delle entrate si sta verificando perché le politiche delle imposte/commerciali accelerano la crescita, generano le entrate delle tasse e permettono quindi di recuperare». Navarro ha osservato che il Tax Policy Center non prende in considerazione nei suoi calcoli l’incremento delle entrate derivante dalla crescita economica stimolata dal taglio sulle imposte di Trump.

Le altre stime dei costi del piano di Trump sono parecchio inferiori rispetto a quella di Tax Policy Center. Stephen Moore, un consulente economico e di Trump e economista alla Freedom Works, afferma che il piano delle imposte originale di Trump dovrebbe costare circa 3 trilioni di dollari per più di 10 anni, il che è conforme anche alla relazione di Politico. Dopo l’intervento di Trump a Detroit, la Commissione per il Budget Federale Responsabile ha stimato che il nuovo piano dovrebbe costare circa 2,55 trilioni di dollari extra per oltre un decennio.

A Detroit, Trump ha caratterizzato il suo piano di imposte come la più grande rivoluzione dopo Ronald Reagan, dicendo che il taglio delle tasse di Reagan «diede il via ad anni di continuata crescita economica e creazione di posti di lavoro».

Piuttosto di dibattere quale modello o economista abbia ragione o torto, la storia può essere una guida, sebbene non possa essere quella definitiva.

Reagan tagliò le tasse di reddito massime dal 70,1 percento al 28,4 percento e ridusse quelle sui capital gain al 20 percento. Sebbene il piano era ideato per realizzare un bilanciamento delle entrate, i risultati furono contrastanti. Il Pil pro capite aumentò del 3,05 percento sulla media durante il mandato di Reagan, quindi il ribasso delle tasse effettivamente spronò l’attività economica. L’inflazione scese dal 10,2 percento nel 1982 al 5,4 percento nel 1988 e la disoccupazione diminuì dal 7,1 percento nel 1980 al 5,5 percento nel 1988.
D’altra parte, il debito federale aumentò, principalmente perché Reagan non tagliò solamente le tasse ma aumentò le spese, condizione simile al mix di politiche di Trump. Il debito pubblico triplicò passando da 712 miliardi di dollari nel 1980 a 2,1 trilioni nel 1988, Reagan spese parecchio nella difesa, incrementò le spese passando da 267 miliardi di dollari annui nel 1980 a 393 miliardi annui nel 1988.

È interessante notare però, che le entrate nominali delle tasse aumentarono del 72 percento nonostante i tagli, passando da 599 miliardi nel 1981 a 1 trilione nel 1990, continuando a crescere duranti gli anni 90. Quindi i tagli delle imposte hanno aumentato le entrate. Era l’aumento delle spese che bloccava i budget.

TRUMP NEL MERCATO

Il taglio di Trump sulle tasse delle imprese da una media del 39 percento a una del 15 percento va di pari passo con la sua politica di “commercio leale”. L’obiettivo è di tenere i capitali e i lavori americani nel Paese. Trump sostiene un mercato libero ma contrattaccherà se altri Paesi, come la Cina, imbroglieranno.

Durante il discorso a Detroit ha affermato: «Il commercio porta enormi benefici, e io ne sono a favore. Io voglio dei grandiosi accordi commerciali per il nostro Paese, che creino più lavoro e salari più alti per i lavoratori americani. La Cina infrange le regole in ogni modo possibile. Favorisce sussidi illegali per le esportazioni, vieta la manipolazione della valuta; e dilagano i furti di proprietà intellettuale. Inoltre non ha un sistema reale di protezione ambientale e del lavoro, e questo li rende ulteriormente inferiori ai lavoratori americani».

Trump vuole rinegoziare il Nafta (l’Accordo americano per il libero scambio) e la Partnership Trans-Pacifica ancora da ratificare, e vuole l’uscita dal Wto se questo non metterà in atto la sua visione di commercio equo.

Trump ha dichiarato al New York Times che vuole imporre dei dazi doganali del 45 percento sui beni cinesi se la Cina non ricambierà il commercio equo. Tuttavia, Navarro afferma che questo verrà usato solamente come ultima risorsa e che i singoli casi e Paesi dovranno essere esaminati nel caso dovesse essere eletto: «Quando Donald Trump parla di dazi doganali, non li si deve intendere come lo scopo finale del suo progetto. L’obiettivo è di usarli come strumenti di negoziazione per fermare le irregolarità. Ma, nel caso le irregolarità non dovessero fermarsi, allora Trump imporrà dazi doganali difensivi, dei dazi di compensazione… Si impone semplicemente l’ammontare delle tariffe che il Paese in questione stava truffando».

Secondo Navarro, questo è sempre stato compito del Wto , compito che in passato non è stato svolto: «Il Wto non funziona. Tutto quello che fa è esportare i fattori e le soluzioni americane».

Navarro si riferisce al protezionismo dei dazi doganali del passato come secondo miglior caso di commercio libero reciprocamente vantaggioso, comunque preferibile al sistema in atto ora, nel quale si tratta l’America ingiustamente, cosa al Paese costa milioni di posti di lavoro.

Trump spera di stimolare il settore manifatturiero americano rendendo, se necessario, i beni stranieri più costosi attraverso i dazi e abbassando le tasse per le imprese, così che queste possano permettersi di pagare salari più alti.

Inoltre, il candidato repubblicano vuole invogliare le più grandi società americane a rimpatriare i loro 2,4 trilioni di dollari in contanti depositati all’estero offrendo un’imposta fissa al 10 percento, rispetto a quella attuale al 25 percento: «Questi soldi saranno reinvestiti in Stati come il Michigan».

Secondo Navarro, riducendo il deficit di mercato automaticamente si stimolerà il Pil, una nota positiva anche per le entrate delle imposte, e che quindi contribuirebbe al bilancio delle tasse. Il consulente non teme eventuali ritorsioni da parte di altri partner di mercato: «Donald Trump sa che l’America è il miglior mercato in cui vendere. Le nazioni vogliono commerciare con l’America. Ma in questo momento sono disposti a fare così perché ci stanno trattando come Uncle Sucker [letteralmente: ‘Lo Zio Fesso’; gioco di parole con ‘Lo Zio Sam’, soprannome con cui gli americani indicano il governo Usa]».

HILLARY CLINTON

Le proposte della Clinton non sono ben definite come quelle di Trump ma, sostanzialmente, possono essere riassunte in due categorie: come spendere e investire nell’economia degli Stati Uniti e come innalzare sufficientemente le entrate per finanziare il suo ambizioso piano di spese. Inseguendo l’equità, vuole fornire maggior reddito alla classe media aumentando le imposte ai ricchi e alle imprese americane.

Sul suo sito della campagna elettorale afferma: «È oltraggioso che multi-milionari e miliardari abbiano la possibilità di rapportarsi con delle diverse serie di norme rispetto alle famiglie lavoratrici, specialmente nel momento in cui si apprestano a pagare la loro giusta dose di tasse». La campagna della Clinton non ha risposto a una domanda per commentare questo articolo.

Sul sito è scritto: «Hillary sta proponendo un taglio delle tasse per la classe media per aiutare le famiglie a far fronte all’aumento del costo delle spese di ogni giorno, come la cura dei figli e l’educazione, inoltre ha annunciato nuove detrazioni fiscali per aiutare le famiglie a prendersi cura dei membri della famiglia anziani o malati. Pagherà per loro rialzando le tasse agli americani benestanti e colmando le lacune nel sistema delle imposte».

Quindi, di quali vantaggi la classe media e la classe povera beneficerebbero? La Clinton ha menzionato il taglio delle tasse per la classe media ma non ha elaborato come sarà effettivamente per loro. Le proposte di spesa sono tuttavia abbondanti e avranno un’ampia portata.

Uno dei principali capisaldi della Clinton è rendere accessibile le università, anche se non completamente gratuite, come proposto da Bernie Sanders. Vuole un’educazione gratuita per i College biennali e vuole rifinanziare i presiti agli studenti con basso reddito, così come aiutare quelli che sono in ritardo con i pagamenti.

Le famiglie con un reddito inferiore a 85,000 dollari non dovranno pagare le rette per l’istruzione pubblica statale. La Clinton chiama questa riforma la «New Collage Compact». Includendo l’istruzione nella prima infanzia e limitando le spese sulla cura dei bambini del 10 percento sul reddito delle famiglie, queste proposte costeranno circa 700 miliardi di dollari per oltre dieci anni secondo Moody’s.

La campagna della Clinton ha proposto iniziative per migliorare lo studio delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica, sebbene la sua attenzione si sia rivolta all’istruzione pre-universitaria.

Una politica correlata è quella riguardante il pagamento del congedo familiare in caso di nascita di un figlio, e il congedo medico per più di 12 settimane al 66 percento del salario del lavoratore. Per Moody’s, su una bilancia virtuale, entrambe le proposte si rivelerebbero positive per l’economia. In un resoconto afferma: «Il suo piano di pagare il congedo famigliare solleverà la partecipazione forzata al lavoro, mentre aumentando la spesa sull’educazione universitaria e sull’istruzione infantile, aumenterà il livello di istruzione dei lavoratori».

La Clinton ha affermato inoltre che il suo piano di ristrutturare le infrastrutture statunitensi creerà molti posti di lavoro per la classe media. Il focus del programma sono i trasporti, obiettivo che intende raggiungere attraverso due metodi. Il primo è la capitalizzazione di 25 miliardi di dollari per la Banca Nazionale delle Infrastrutture, mentre concederà prestiti e garanzie sui prestiti per incoraggiare gli investimenti sulle infrastrutture private e locali sopra i 250 miliardi di dollari. Il secondo riguarda lo stanziamento di altri 250 miliardi per gli investimenti federali diretti alle infrastrutture su rotaie, mare, aria, autostrada, trasporto pubblico e internet ad alta velocità.

Inoltre la candidata democratica vuole espandere l’Affordable Care Act (anche noto come ‘Obamacare’) attraverso il sostegno degli Stati e limitando le spese straordinarie degli assicurati. Questa proposta costerà 300 miliardi di dollari per dieci anni secondo la Commissione per il budget federale responsabile e potrebbe essere l’ultima possibilità per salvare l’Obamacare.

La sua ultima grande proposta, che non costerà un centesimo al governo federale, è di aumentare il salario federale minimo da 7,25 a 12 dollari. Sebbene questa politica non costi, Moody’s è dubbiosa sul fatto che porterà dei benefici all’economia, anche se aumenteranno i posti di lavoro retribuiti con salari bassi: «Alcuni lavori a basso salario verrebbero eliminati, le entrate per molte persone, divenute disoccupate, cadrebbero sostanzialmente. E la quota di lavoratori a basso salario diminuirebbe di poco».

Complessivamente, le proposte della Clinton costerebbero circa 2,2 trilioni di dollari per dieci anni, secondo Moody’s, che include inoltre l’eliminazione dei tagli delle spese sequestrati o automatici implementati nel 2013. Ma questa stima non tiene conto delle costanti trasformazioni dell’economia, come gli effetti positivi delle spese governative o gli effetti negativi di un aumento delle tasse.

Dopo la scelta di una compensazione delle entrate aumentando le tasse per i ricchi, il debito pubblico stazionerebbe a un valore di 750 miliardi di dollari più alto rispetto allo scenario corrente.

PAGARE

Il Tax Policy Center in un rapporto ha affermato riferendosi alle tasse per i ricchi: «Quasi tutti gli aumenti delle tasse ricadranno sul 1 percento più ricco; il 95 percento più basso dei contribuenti non vedrà dei cambiamenti o ne avrà di piccoli. L’aliquota fiscale marginale aumenterebbe, riducendo gli incentivi al lavoro, al risparmio e all’investimento, e la normativa fiscale diventerebbe più complesso».

Nel discorso tenuto a Warren, in Michigan, Clinton ha dichiarato: «Wall Street, le imprese e i super-ricchi dovranno pagare definitivamente la loro giusta dose di tasse. Questo è perché supporto la cosiddetta ‘Buffet Rule’, perché i multi-milionari non dovrebbero aver la possibilità di pagare tasse più basse delle loro segretarie».

La Buffet Rule è effettivamente un’imposta minima del 30 percento sui redditi più alti di 1 milione di dollari. Il sistema corrente permette alle persone con redditi alti come Warren Buffet stesso di pagare molte meno tasse perché ci sono parecchie falle nella legge. Nel marzo 2013, Buffet ha dichiarato di aver pagato meno tasse della sua segretaria.

Altre imposte dovrebbero includere una sovrattassa del 4 percento su redditi più alti di 5 milioni di dollari, abbassando la soglia delle tasse patrimoniali a 3,5 milioni di dollari, e aumentando l’aliquota massima patrimoniale al 45 percento. Inoltre la candidata democratica vuole ridurre l’esenzione per le tasse sulle donazioni a 1 milione di dollari in tutta la vita e limitare le detrazioni specifiche al 28 percento del valore delle imposte, escludendo la beneficienza.

Il tasso di capital gain per i più ricchi arriverà al 47,4 percento se gli investimenti verranno detenuti per meno di due anni. Adesso, il tasso di capital gain a lungo termine è del 20 percento per gli investimenti detenuti per più di un anno. I cosiddetti carried interest dei fondi speculativi e le partnership di private equity, ora tassate debolmente, e il tasso di capital gain a lungo termine, saranno tassate come reddito ordinario con un tasso massimo del 43,6 percento.

Per quanto riguarda le imprese, la Clinton vuole limitare l’elusione fiscale da parte imponendo una pena fiscale per quelle che depositano denaro all’estero. La candidata democratica vuole inoltre rialzare il minimo delle proprietà straniere necessarie per stabilire un domicilio fiscale estero dal 20 al 50 percento. Ha parlato delle tasse a alta frequenza di trading e a ‘risk-fee’ sulle grandi istituzioni finanziarie. Tuttavia ha promesso alcune riduzioni per le piccole imprese rendendo il deposito fiscale più semplice per ridurre i loro costi di mantenimento.

Joseph Cari Jr., presidente dell’indipendente Word Policy Institute afferma: «La Clinton vuole tenere le stesse tasse per le imprese o alzarle. Questo comporterà il fatto che le imprese non rinvestiranno più negli Stati Uniti e continueranno a muovere sempre più capitali all’estero».

Moody’s nota che il piano creerebbe 1,46 trilioni di dollari per 10 anni, limitando l’impatto del suo programma di spesa, sempre supponendo che l’aumento delle tasse non impatterà negativamente sull’economia.

L’esperienza francese riguardo la tassazione elevata funge da avvertimento per la Clinton. La Francia ha imposto una tassa del 75 percento sui milionari e successivamente l’ha lasciata decadere dopo che parecchi francesi benestanti hanno cambiato la loro nazionalità, fermando così il loro pagamento delle imposte in Francia.

Moody’s ha affermato: «La sua proposta renderà il sistema delle imposte più complesso e meno trasparente… Questo è aggiungere effettivamente molte forme di imposte minime al codice, su quelle che è già un complesso di tasse minime individuali alternative. La tassazione dei capital gain sarà inoltre sostanzialmente più complessa all’interno del suo piano fiscale».

Il report inoltre osserva che l’innalzamento delle tasse per i ricchi avrà un impatto limitato sulle loro abitudini di spesa. Per ogni dollaro in più di imposte, la spesa dovrebbe scendere di 49 centesimi per il quintile maggiore dei contribuenti confrontato con gli 86 centesimi del quintile più basso.

Mentre l’effetto sul consumo dovrebbe effettivamente cambiare, l’aumento delle tasse per i benestanti ridurrebbe ancora gli investimenti del settore privato in favore di un aumento della spesa del governo.

Quando la gente ricca non spende e non paga molte tasse, investono il loro reddito nel mercato finanziario in azioni, bonds, beni immobili o in società di private equity. In questo caso, il settore privato decide l’allocazione dei capitali, mentre se tassato, il governo decide cosa fare del denaro.

CONCLUSIONI

Differenti modelli e presupposti indicano differenti risultati per le proposte dei candidati. Ma 10 anni di surplus o di deficit sono chiaramente difficili da predire e non dovrebbero essere presi come oro colato. Inoltre, le implementazioni finali delle proposte dipenderanno dal Congresso e da molti altri fattori.

Gli elettori sono soddisfatti in maggior misura dalla valutazione dei principi dietro ogni piano. Mentre le proposte di Trump si concentrano sul lasciare ai singoli e alle società la scelta della spesa circa i soldi che hanno guadagnato, le proposte della Clinton garantirebbero al governo il ruolo di decidere come spendere il denaro raccolto da tasse extra ai ricchi.

Gli elettori devono decidere se preferiscono che le decisioni sulla scarsità delle risorse vengano fatte dal governo o dal settore privato. Grazie a entrambi i candidati, sarà semplice prendere una decisone quest’anno.

Articolo in inglese: The Clinton and Trump Economic Plans: Growing the State or the Private Sector

Traduzione di Davide Fornasiero

 

 
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