L’Homo Naledi? «È uno dei tanti esperimenti nell’evoluzione dell’Uomo»

Dopo l’entusiasmante scoperta dell’Homo Naledi – una specie ominide forse mai incontrata prima – le ricerche continuano.

Quindici scheletri umani sono stati rinvenuti all’interno delle grotte Stella Levante in Sud Africa. Si tratta del più grande complesso di resti umani mai trovato: «Abbiamo più di 1500 pezzi di scheletri di almeno 15 individui diversi – spiega per email il professor John D. Hawks, docente di antropologia all’Università del Wisconsin, nonché uomo chiave all’interno del team che ha scoperto l’Uomo Naledi – Sono giovani e anziani, neonati e bambini di tutte le età, così come gli adulti, maschi e femmine. Queste ossa ci danno la possibilità di studiare lo sviluppo e la crescita di questa specie in un modo che non abbiamo mai fatto prima».

A scuola ci è stato insegnata una linea evolutiva, più o meno lineare, che portava i nomi di Australopiteco, Homo Habilis, Homo Erectus e Homo Sapiens; ad alcune di queste specie si sono affiancati l’Uomo di Neanderthal, l’Uomo di Heidelbergen e altri ancora: è ormai assodato che c’è stata una coesistenza di diversi tipi di ominidi nello stesso lasso di tempo (da 500 mila anni fa).

Questa visione sembra essere suffragata dal rinvenimento dell’Homo Naledi: «In quasi ogni momento della nostra evoluzione, ci sembrano essere stati molteplici forme di parenti umani. Nella prima parte della nostra evoluzione, le diverse specie di ominidi a volte vivevano nella stessa zona, adattandosi a diete o a modi di vita differenti. Nella nostra tarda evoluzione, gruppi come il Neanderthal esistevano in una parte del mondo e interagivano pochissimo con gli altri. Non sappiamo quanti anni abbia l’Homo Naledi, ma sembra rappresentare uno dei tanti esperimenti nella prima evoluzione dell’Homo».

Un particolare interessante, che porta la riflessione su un altro piano, è il fatto che questi scheletri di Homo Naledi siano stata rinvenuti in condizioni che fanno pensare ad una sepoltura. Questa cosa ha suscitato la considerazione – da parte di Lee Berger, professore dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg – che l’Homo Naledi avesse dei comportamenti di tipo rituale. Quest’abitudine era considerata facente parte degli uomini di non più di 200 mila anni fa, ma la scoperta di questa specie ominide potrebbe far riconsiderare anche questo aspetto.

Anche per questo è importante determinarne la data. Secondo Hawks è probabile che l’Uomo Naledi sia vissuto molto tempo prima rispetto all’uomo cacciatore/raccoglitore di più di 10 mila anni fa. «Nella timeline della nostra evoluzione – ha continuato Hawks – probabilmente condivide un antenato con gli individui che hanno vissuto intorno al punto centrale della nostra storia evolutiva, in un periodo fra i 3 e i 2 milioni di anni fa. Ma potrebbe essere sopravvissuto un bel po’ di più rispetto a quell’antenato comune, con la sua storia unica». Anche Berger aveva affermato che questa specie potrebbe essere vissuta fino a 3 milioni di anni fa.

Ma non è ancora stato stabilito con certezza, e le ricerche continuano.

 
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