Corruzione cinese, ergastolo al generale Guo Boxiong

Il 25 luglio il generale Guo Boxiong, un tempo il funzionario militare di più alto grado in Cina, è stato condannato all’ergastolo per corruzione. Sicuramente la pena ha motivazioni politiche: Guo, con il suo collega Xu Caihou, ha per anni agito nell’ombra cercando di assicurare che l’influenza dell’ex leader comunista Jiang Zemin perdurasse anche dopo il suo ritiro formale nel 2002.

Al contempo buffone di corte e crudele dittatore, Jiang Zemin ha governato la Cina dal 1989 al 2002. Durante il suo dominio, cominciato nello stesso anno della repressione degli studenti in Piazza Tiananmen, da lui sostenuta, Jiang ha dato inizio alla persecuzione del Falun Gong, una pratica spirituale che si era diffusa a macchia d’olio e che stava facendo rinascere le antiche tradizioni religiose cinesi.

In una sorta di delirio di onnipotenza di stampo marxista, e contro gli stessi dirigenti del Pcc («Può mai essere possibile che noi membri del Partito Comunista, armati del marxismo e di una fede nel materialismo e nell’ateismo, non possiamo sconfiggere questo Falun Gong? Se così fosse, non sarebbe la cosa più ridicola della Terra?» gridava Jiang, pazzo di rabbia, in una concitata riunione del Politburo del luglio 1999), Jiang Zemin ha quindi ‘condannato a morte’ dai 70 ai 100 milioni di cittadini (secondo i dati diffusi dal governo cinese).
Ma per attuare la persecuzione, del tutto impopolare anche all’interno del Partito, ha dovuto promuovere dal basso (in tutti i sensi) vari personaggi, specialmente quelli disposti a uccidere e pianificare un genocidio in cambio di promozioni, potere, fama e soldi.

Così è venuta in essere la ‘Fazione dalle mani insanguinate’ o più semplicemente la ‘Fazione di Jiang Zemin’, un insieme di funzionari di alto grado che hanno tenuto le redini del Partito anche dopo il 2002, quando Jiang ha dovuto cedere il passo a Hu Jintao alla presidenza del Partito e del Paese. E tra questi c’è appunto il generale Guo Boxiong.

Dopo il 2002, sotto Hu Jintao, e soprattutto dal 2012 sotto Xi Jinping, la fazione di Jiang Zemin è stata vista come un forte ostacolo al dominio del Partito e della nazione. Xi Jinping ha quindi dato inizio a una vera e propria guerra interna al Pcc per estirpare la fazione di Jiang. In particolare Xi ha capito che mantenere il controllo dell’esercito è fondamentale, se si vuole avere un potere reale nel Paese ed essere immune ai tentativi di colpo di Stato, che Jiang a quanto pare non fa mai mancare (oltre ai tentativi di assassinio di Xi, tra cui la bomba nel 2013 durante una conferenza e l’ago avvelenato in occasione di un controllo in ospedale).

L’abbattimento del generale Guo Boxiong rientra quindi in questa logica: per molti anni, assieme a Xu Caihou, il generale aveva ricoperto il ruolo di vice presidente della Commissione Militare Centrale (Cmc), l’organo del Partito che controlla tutte le forze armate cinesi.
Xu e Guo hanno fatto carriera sotto Jiang Zemin, e di conseguenza avevano continuato a controllare l’esercito per conto dell’ex leader. È chiaro quindi che Xi Jinping, per avere davvero l’esercito in pugno, ha dovuto sbarazzarsi di questi due scomodi personaggi, capaci di manovrare le forze armate per contro di altri.

Ufficialmente Guo, 74enne, è stato condannato per riscossione di tangenti al fine di garantire promozioni e impieghi, oltre che per abuso di potere a beneficio di sé e dei propri familiari.
Questi procedimenti giudiziari evitano attentamente ogni riferimento a questioni politiche, ma delle recenti dichiarazioni del leader del Partito Xi Jinping hanno reso più chiaro che mai quanto fosse in corso una cospirazione per «distruggere» il Partito: quasi certamente un riferimento a un golpe. E Guo Boxiong era un tassello importante della rete di funzionari implicati, sebbene Xi Jinping non l’abbia nominato esplicitamente.

Secondo l’agenzia di stampa statale Xinhua, Guo ha confessato i suoi crimini. È stato privato del suo grado e costretto a consegnare i suoi beni e patrimoni. I media cinesi continentali non hanno riferito a quanto ammonti la ricchezza di Guo, ma il South China Morning Post, giornale di Hong Kong in lingua inglese, ha affermato che in totale aveva accettato 80 milioni di yuan in tangenti (11 milioni di euro), sebbene questa sia probabilmente una stima al ribasso.

Guo era già stato indagato dall’agenzia disciplinare interna dell’esercito cinese ad aprile 2015. Il 30 luglio il Politburo aveva espulso Guo dal Partito, dichiarando in un comunicato che «i suoi atti hanno violato gravemente la disciplina del Partito e hanno provocato un impatto vile».

Dal 2002 al 2012, Guo Boxiong è stato vice comandante delle forze armate cinesi. Oltre a supervisionare le operazioni militari, Guo e l’altro vice presidente, Xu Caihou, controllavano anche l’aspetto finanziario e i lucrosi contratti per forniture militari.

A marzo 2014, mentre era ricoverato in ospedale per un cancro alla vescica, Xu è stato messo sotto indagine con l’accusa di corruzione, finché non è morto un anno dopo.

L’eliminazione di Guo e Xu è quindi parte della guerra che Xi Jinping sta combattendo contro Jiang e la sua rete di potere, allo scopo di consolidare il proprio dominio. Nella prima metà del 2016, gli investigatori dell’anti-corruzione hanno dato un giro di vite a Shanghai, storico feudo di Jiang. Attualmente hanno preso di mira un’agenzia del Partito che opera al di fuori della legge (il famigerato Ufficio 6-10), creata da Jiang specificamente per portare avanti la persecuzione del Falun Gong.

Secondo diverse fonti di Epoch Times, inoltre, da alcuni mesi Jiang Zemin e il figlio maggiore Jiang Mianheng sarebbero sottoposti a un non meglio precisato provvedimento di limitazione della libertà personale.

Un articolo del 21 luglio dell’Oriental Daily, giornale di Hong Kong pro-Pechino, ha fatto molto rumore perché Jiang Zemin non ha mandato una corona di fiori per la veglia funebre di un anziano del Partito deceduto. Nel contesto delle frecciatine e delle allusioni della politica cinese, il messaggio di questo articolo è stato quello di segnalare ‘guai in vista’ per Jiang, per preparare il pubblico al prossimo colpo di teatro della campagna anti-corruzione di Xi Jinping.

 

 
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