Gli animali hanno emozioni più intense rispetto a noi?

Chi possiede un animale domestico – in particolar modo se si tratta di un cane o un gatto – sa bene, senza alcun dubbio, che questi animali hanno dei sentimenti. Possono mostrare sorpresa, gelosia, felicità (si pensi a un cane che rivede il suo padrone dopo un po’ di tempo), affetto, appagamento (un gatto che fa le fusa quando viene coccolato), paura, agitazione, irritazione (i gatti in particolare) e forse persino colpa o vergogna (almeno i cani).

Sebbene gli animali non abbiano una lingua affine a quella degli esseri umani, da parole e gesti infusi di particolari significati, possono certamente comprendere quello che sta accadendo negli umani a livello di sensazione. Eccone un esempio, fornito gentilmente dall’editorialista del Washington Post Gene Weingarten, attinente al suo defunto cane Harry:

«Mia moglie […] recita nel teatro della comunità. Un giorno, si trovava in casa a fare le prove di un monologo per un’audizione imminente. Le battute erano tratte da un dialogo di Night, Mother di Marsha Norman, tra una casalinga e sua figlia adulta, dopo che quest’ultima le ha confidato di essere intenzionata a suicidarsi. Thelma è una donna debole e confusa intenta a cercare di far ragionare la figlia e allo stesso tempo a rassegnarsi riguardo alle proprie mancanze come madre e alla sua paralizzante paura di essere lasciata sola. Le sue parole sono strazianti».

«Mia moglie ha dovuto fermarsi a metà monologo [quando stava provando a casa]. [Il nostro cane] Harry era troppo sconvolto. Il cane non poteva comprendere neanche una parola di ciò che stava dicendo, tuttavia riusciva a percepire che [lei] era triste come non l’aveva mai vista. Piagnucolava, raspava alle sue ginocchia e leccava la sua mano, cercando di fare il massimo possibile per migliorare le cose».

Weingarten ha concluso che «non è necessario un cervello per avere un cuore». In realtà, neurologicamente parlando, stava sottovalutando Harry. Le parti del cervello umano che elaborano i sentimenti – note collettivamente come sistema limbico – hanno le loro controparti nei crani e nel sistema nervoso di altri esseri viventi. Il neuroscienziato Jaak Panksepp, noto per le sue ricerche sull’emozione, dichiara che «l’evidenza è ormai ineludibile: al livello emotivo di base, tutti i mammiferi sono eccezionalmente simili».

Si potrebbe persino sostenere che gli altri mammiferi siano più consapevoli, rispetto agli esseri umani, dei loro sentimenti, in quanto possiedono una forma ‘primaria’ di consapevolezza: sono consci di loro stessi e del loro ambiente, tuttavia meno gravati da quelle complicazioni che caratterizzano la coscienza umana, quali la riflessione e la lunga meditazione. Si potrebbe dire che vivono in maniera più essenziale di quanto facciamo noi.

Jeffrey Masson, studioso del comportamento animale, ha osservato che, rispetto «all’apparente opacità e inaccessibilità dei sentimenti umani», gli animali possiedono sentimenti di «estrema purezza e chiarezza» – almeno a volte. Ex psicoanalista, Masson si chiede se sia l’ego umano a compromettere il nostro sperimentare i sentimenti in maniera diretta e non distillata come fanno le altre creature.

Masson richiama l’attenzione, per esempio, sulla capacità di alcuni animali di esprimere una gioia pura e sfrenata. Prendiamo il canto degli uccelli: chiunque in un giorno di primavera si sia svegliato per sentire gli uccelli cinguettare, avverte una certa sensazione riguardo a quale sentimento potrebbe essere presente, al di là di qualsiasi funzione di comunicazione fondamentale o di affermazione territoriale. Il naturalista Joseph Wood Krutch ha ipotizzato che «forse alcuni degli animali possano essere sia più gioiosi che più profondamente desolati di quanto sia mai stato un qualsiasi uomo». Ha anche sostenuto che «chiunque ascolti un uccello cantare e dica: “Io non credo che nel suo canto ci sia alcuna gioia”, non ha dimostrato niente riguardo agli uccelli, ma ha rivelato molto di se stesso».

Per quanto riguarda la «desolazione» a cui Krutch ha fatto riferimento, il sottoscritto ricorda chiaramente di aver visto una volta un particolare leone. Era rinchiuso all’interno di una recinzione di catene piuttosto piccola: camminava avanti e indietro con monotonia e con un grado evidente di frustrazione. Un animale a cui viene negato l’uso delle sue abilità naturali – che sia cacciare, librarsi in volo, arrampicarsi o scagliarsi contro un altro animale – è quasi sicuramente costretto in uno stato emotivo passivo aggravato dalla sua incapacità di spiegare, attraverso il linguaggio, la sua situazione imbarazzante a se stesso.

Il rovescio della medaglia, come suggerisce provocatoriamente Masson, è che «il linguaggio pone [i sentimenti] ad una certa distanza… l’atto stesso di dire ‘sono triste’, con tutte le connotazioni che le parole hanno, spinge in parte via il sentimento, forse rendendolo meno rovente e meno personale». Per tutti queste ragioni, egli conclude che gli animali potrebbero sentire le cose più intensamente di quanto facciamo noi.

Michael Jawer negli ultimi 15 anni ha indagato sui fondamenti della personalità e della salute nella mente e nel corpo. I suoi articoli e saggi sono apparsi su Spirituality & Health, Explore: The journal of journal of science and healing, Noetic now e Science & consciousness review. Jawer ha tenuto un discorso davanti all’American Psychological Association ed è stato intervistato da numerose riviste. Il suo ultimo libro, scritto con il dottor Marc Micozzi, è ‘Your emotional type’. Il suo sito è www.youremotionaltype.com. Il suo precedente libro è intitolato ‘The Spiritual Anatomy of Emotion’. Il suo sito web è www.emotiongateway.com. Jawer può essere contattato all’indirizzo mail mjawer@emotiongateway.com.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente da Psychology Today.

 
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