I giochi di potere russi in Siria

Solo poche settimane fa, sembrava che il rapporto tra Stati Uniti e Russia si stesse avviando verso una svolta post-sovietica, nell’ottica di unire le forze per combattere l’Isis.
Adesso, invece, gli Stati Uniti rinunciano a trattare con Mosca per fermare i combattimenti in Siria, mentre la Russia straccia l’accordo di lunga data per lo smaltimento delle armi al plutonio, chiedendo anche agli Stati Uniti di ridurre il proprio esercito nei Paesi della Nato.

Il Cremlino addirittura si spinge oltre, pretendendo che gli Stati Uniti sospendano le sanzioni imposte alla Russia per le azioni in Ucraina e reclama, inoltre, un risarcimento per le perdite subite a causa di queste sanzioni. Sebbene la Casa Bianca abbia dipinto l’intervento della Russia in Siria come un fallimento per aver mancato l’obiettivo dichiarato di dare la caccia sul posto alle forze dell’Isis, gli analisti hanno notato che il Cremlino ha sempre mirato a supportare il suo alleato, il leader siriano Bashar al-Assad, con attacchi aerei su ribelli e civili, mettendosi così al centro di un conflitto di impatto globale.

Per alcuni tutto questo ha rafforzato l’ambizione di Putin nel rivendicare il suo Paese come potenza globale, sfidando l’egemonia che gli Usa hanno largamente detenuto in Medio Oriente dalla fine della seconda guerra mondiale. La Casa Bianca riconosce che non esiste una soluzione militare in Siria e che usare la sola forza non sarà sufficiente. Ma dopo la totale interruzione del dialogo tra le due potenze mondiali, sembrerebbe che Russia, Siria e Iran proseguano nel loro intento di distruggere le forze ribelli e di bombardare i civili per sottomettere la popolazione.

«È immorale, è inconcepibile, ed è un oltraggio degno della condanna del mondo intero, di cui Russia, Siria e Iran sono infatti oggetto». Questo è stato il commento di Josh Earnest dell’ufficio stampa della Casa Bianca. Ma il clamore suscitato dalle attuali tattiche russe cambia ben poco il nuovo quadro generale: per porre fine a cinque anni di guerra civile e per una transizione dal regime di Assad è necessaria la cooperazione con la Russia.

RINNOVATE OSTILITÀ

Dopo mesi di difficile contrattazione tra Stati Uniti e Russia, il 9 settembre è stato raggiunto il cessate il fuoco; ma si è interrotto dopo solo una settimana con l’uccisione di 20 operatori umanitari nelle campagne di Aleppo; inoltre, nella breve tregua, gli Stati Uniti hanno bombardato per ‘errore’ le truppe del governo siriano, scambiandole per ribelli dell’Isis.

La sospensione delle ostilità avrebbe permesso agli operatori umanitari di raggiungere in sicurezza le zone assediate per rifornire di cibo e medicine le vittime civili, ma la Russia e la Siria hanno approfittato della tregua per consolidare le recenti conquiste.

Se l’accordo avesse superato la settimana, Russia e Stati Uniti erano pronti a cooperare per attaccare l’Isis e al-Qaeda, affiliati a Jabhat Fateh-al-Sham (sarebbe stata la prima azione militare congiunta tra le due nazioni dopo la seconda guerra mondiale).

Invece si è trasformato nell’ultimo esempio di indiscriminate campagne di bombardamenti effettuate da Russia e Siria, che per l’ennesima volta hanno mirato a ospedali e ad altre strutture civili.

Con totale indifferenza verso chi si trovava sulla loro strada, hanno attaccato i nemici senza le restrizioni che gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare.

Secondo Drew Berquist, esperto di antiterrorismo per la comunità di intelligence degli Stati Uniti e fondatore di OpsLens, il sito web che ogni giorno commenta le questioni di sicurezza nazionale, gli Stati Uniti hanno seguito le regole, mentre siriani, russi, e alcuni alleati USA, come gli iracheni, hanno rispettato molto meno le norme imposte.

«Non hanno avuto istruzioni su come rivedere gli obiettivi – afferma Bergquist – e non sono stati attenti a evitare di provocare danni collaterali».

Gli Stati Uniti, invece, si muovono considerando che se il pericolo di provocare danni collaterali cresce oltre una certa soglia, non intervengono, «anche se l’obiettivo è davvero buono». A differenza dei «siriani che, con le spalle al muro, non stanno a guardare queste cose».

Ne segue che, Russia e Siria hanno attaccato le forze ribelli con spietata determinazione, mentre gli Stati Uniti, determinati a evitare l’uccisione di civili, non hanno potuto attaccare l’Isis.

IMPATTO RUSSO

Secondo l’ex ambasciatore americano William Courtney, se «l’Occidente è interessato a porre fine al conflitto per fermare il flusso di rifugiati verso l’Europa e l’uccisione di massa in atto da tempo», la Russia invece ha ambizioni più immediate: supportare un alleato, proteggere i propri confini e ostentare la propria potenza militare.

La Russia, infatti, oltre al sostegno militare offerto ad Assad e a essersi buttata a capofitto per salvare il regime siriano dal collasso, nel settembre del 2015, ha ‘coperto’ il leader siriano davanti alle Nazioni Unite grazie al potere di veto nel Consiglio di sicurezza, dimostrando totale lealtà: la mossa sicuramente è stata notata anche dalle altre nazioni Mediorientali.

Secondo Courtney, la Siria rappresenta l’ultima chance per la Russia, e l’alleanza di Assad è l’ultima carta da giocare in Medio Oriente: dalla base navale di Tartus e da quella aerea di Latakia, la Russia potrebbe ancora esercitare il proprio potere nel conflitto.

Tuttavia, in molti in Medio Oriente sono scettici sulle effettive intenzioni russe, e Assad non è più così popolare tra i sunniti della regione, anche se mantiene ancora il sostegno sciita dell’Iran.

«Assad e i suoi alleati vogliono la Russia in gioco – sostiene Courtney – ma la maggior parte del resto del Medio Oriente non vuole».

Nonostante questo, la vendita di armi russe nella regione è aumentata, e anche le monarchie del Golfo, tradizionalmente alleate agli Stati Uniti, si sono adesso rivolte a Mosca.

Secondo il docente russo dell’Università Europea di San Pietroburgo, Nikolay Kozhanov, esperto di questioni sull’Iran e sul Medio Oriente, questo cambiamento ha permesso ai fornitori di armi russe di sfidare la supremazia statunitense nella regione. E aggiunge: «L’instabilità in Medio Oriente fa pensare che, negli anni a venire, questa regione rimarrà uno dei principali mercati per le armi».

Secondo Kozhanov, nella prospettiva che gli Stati Uniti saranno sempre più interessati all’Asia piuttosto che al Medio Oriente, l’influenza Russa potrebbe crescere. Gli Stati del Golfo, in particolare, cercano un’alternativa agli Stati Uniti proprio perché hanno la sensazione che gli americani stiano per andare via. «Questa percezione è errata – spiega il docente russo – ma è quella che prevale in tutta la regione».

AMBIZIONI RUSSE POST-SOVIETICHE

L’attività della Russia in Medio Oriente fa parte di un’ambizione più grande: quella di tornare ad essere una super potenza, status che la Russia ha perso nel 1991 con il crollo del regime Sovietico. Ma sotto Putin, la Russia è riemersa nel panorama mondiale. Le recenti offensive russe, quindi, sono in parte motivate dall’insicurezza: la Russia teme infatti di essere circondata da Paesi fuori dal proprio controllo e alleati con gli Stati Uniti.

L’espansione della Nato nell’ex blocco sovietico, dagli Stati baltici fino alla Romania, ha rafforzato la percezione di Mosca che i propri confini siano in pericolo. Un rapporto di Stratfor [editore statunitense e impresa di servizi segreti globale, ndt] rileva che storicamente la Russia ha affrontato l’invasione da ovest, rendendo preoccupante la presenza in quei territori della Nato. Kozhanov sostiene che «l’unico modo che ha la Russia di garantirsi la sicurezza, come crede Putin, è ritornare a essere un attore importante a livello internazionale».

Nel frattempo, anche l’instabilità del Medio Oriente rappresenta una minaccia diretta per la Russia, che ha affrontato la rivolta armata in Cecenia, la repubblica federale a maggioranza islamica, situata nella regione russa del Caucaso settentrionale a meno di 1300 chilometri dalla Siria.

Tenere l’Isis e gli altri gruppi estremisti fuori dal territorio russo sono allora gli obiettivi fondamentali delle azioni intraprese dalla Russia in Siria e in Medio Oriente.
Per l’intervento nella guerra siriana, Putin ha ottenuto il supporto interno e la legittimità come protettore dei confini russi.

«È molto importante per il leader del Paese assicurarsi il sostegno della popolazione – spiega Kozhanov – il punto di vista della Russia è quello di essere una fortezza sotto assedio, è quello che il Cremlino propaganda e che utilizza per sollecitare la mobilitazione nazionale».

LE CONNESSIONI FRA SIRIA E UCRAINA

Tutto questo ha funzionato particolarmente bene in Crimea, dove la Russia ha sfruttato la separazione interna del popolo ucraino e la numerosa popolazione russa presente in loco, per annettere la penisola e ottenere il controllo sul porto e sulle acque della baia di Sebastopoli.

Il controllo della Crimea, assunto facendo leva sulla paura da parte della Russia che l’Ucraina desideri aderire all’UE e ancor più che possa allinearsi a Paesi suoi avversari, ha dato un notevole impulso al sostegno di Putin da parte della sua nazione. E, «il patriottismo – afferma Lauren Goodrich analista senior per l’Eurasia di Stratfor – è la chiave per mantenere il potere».

Il coinvolgimento della Russia nel conflitto siriano è profondamente intrecciato con la sua ingerenza nell’Ucraina orientale, e Goodrich è convinto che il Cremlino utilizzi proprio l’intervento siriano come leva per sollevare altre questioni, come le sanzioni subite per l’intervento in Ucraina.

«La Russia – continua Goodrich – è sempre stata un Paese che fa qualsiasi cosa per uno scopo più grande». Secondo l’Istituto per lo studio sulla guerra, la Russia adesso può ricorrere a livelli crescenti di violenza ed è disposta a colpire i civili pur di ottenere concessioni nei futuri negoziati sulla guerra civile siriana.

È probabile che la Russia non sarebbe entrata in Siria, qualora i combattimenti in Ucraina fossero stati qualcosa di più di semplici schermaglie.

«Per la Russia, Ucraina e Siria hanno la stessa importanza – continua Kozhanov – ma ritengono di non poter combattere su due fronti. Così, stanno cercando di risolvere prima la crisi in Ucraina per poi gestire le altre».

Entrambi i conflitti vedono la Russia cercare di riaffermare la posizione che aveva durante l’era sovietica: un’influenza egemonica sui Paesi confinanti. Inoltre, la Siria ha dato alla Russia l’opportunità di approfondire la sua cooperazione militare con un altro dei rivali regionali negli Stati Uniti, l’Iran.

Vali Nasr R., preside della Johns Hopkins School of Advanced International Studies, in un editoriale del New York Times, scrive: «La Russia e l’Iran condividono la stessa paura: che l’America possa bloccare le loro ambizioni di espansione. Così, cercano di sostenersi a vicenda».

La Russia ha usato una base aerea iraniana per colpire obiettivi in Siria e ha sparato missili dal Mar Caspio su Iran e Iraq per colpire obiettivi in Siria. Nasr mette in guardia sull’esistenza di «un asse militare russo-iraniano che potrebbe sconvolgere le speranze per la stabilità in Medio Oriente, e nel futuro, contenere le ambizioni globali della Russia».

LIMITARE LE AMBIZIONI RUSSE

Al momento, comunque, secondo Kozhanov, la capacità di Putin di ottenere una maggiore influenza da parte della Russia non dovrebbe essere sottovalutata, anche se: «La Russia sicuramente non rimpiazzerà gli Stati Uniti in Medio Oriente, non ha la capacità politica ed economica per farlo e le sue abilità sono piuttosto limitate».

Secondo Kozhanov e Courtney, anche se il ritrovato espansionismo russo è innegabile, su più ampia scala, la sua potenza militare è fortemente limitata rispetto a quella degli Stati Uniti: in poche parole, la Russia non ha la stessa capacità dell’America di proiettare il proprio potere sul resto del mondo. «Non può essere una grande potenza – sostiene Courtney – se è in grado di estendere il suo potere solo nelle immediate vicinanze».

La Russia, tuttavia, continuerà a svolgere il ruolo di potenza revisionista, insoddisfatta di un sistema internazionale dominato dagli Stati Uniti. Gli interventi calcolati di Putin aumenteranno probabilmente le tensioni tra i due Paesi, impedendo la cooperazione su altre questioni, come la guerra contro l’Isis e le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti aggiungono un’ulteriore incognita nella gara attuale.

Secondo Goodrich: «La Russia ha la percezione, giusta o meno, che il segretario Clinton manterrà la stessa linea dura messa in atto dal presidente Obama. Hanno già avuto a che fare con lei e la conoscono bene» e d’altra parte, «Donald Trump è un jolly, uno sconosciuto e la Russia si preoccupa di quello che non conosce».

Articolo in inglese: Russia’s Power Play in Syria

Traduzione di Massimo Marcon

 
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