‘Frankenstein’ made in China, tale Sergio Canavero trapianta la testa a un cadavere

L’annuncio del primo trapianto di testa al mondo, da un lato ha incontrato diffuso scetticismo fra gli scienziati e dall’altro innescato che l’incubo di Frankenstein possa diventare realtà.

Ma per gli esperti ci sono due questioni fondamentali che non sono state considerate: da dove arrivano i cadaveri usati per questi esperimenti? E per quale ragione l’unico Paese in cui è in atto la ricerca sul trapianto di testa è la Cina, dove è noto come i carcerati condannati a morte siano da anni privati con la forza dei propri organi?

Il ricercatore italiano Sergio Canavero ha annunciato di aver portato a termine con successo il trapianto di testa (servendosi di due cadaveri) l’11 novembre 2017.

Canavero, che si paragona a Victor Frankenstein, sostiene che questo suo primo esperimento sia il precursore di altri due: il trapianto di cervello fra individui morti e il trapianto di testa a una persona viva.

Canavero è finito in Cina, dove ha trovato sia ‘casa’ che un collaboratore (tale Xiaoping Ren) dopo che la sua ricerca era stata respinta come antietica sia in Europa che negli Stati Uniti: «Gli americani non capiscono», dice Canavero.

NESSUNA TRASPARENZA

Per la professoressa Karen Rommelfanger, editorialista della Rivista di Neuroscienza bioetica americana (che ha ampiamente affrontato il tema nell’ultimo numero), i gravi precedenti cinesi di utilizzo di prigionieri condannati a morte a scopo di trapianto, pongono un problema di fronte al quale non si può chiudere gli occhi: «I due punti davvero importanti (e di cui nessuno parla) sono la provenienza di questi corpi e il consenso». E ancora: «Non c’è stata alcuna risposta da parte di nessuno dei cinesi che hanno collaborato a questo intervento su questo aspetto a dir poco cruciale: il consenso di chi ‘partecipa’ all’esperimento».

La professoressa Rommelfanger è colpita da come tutti si siano fatti distrarre da altri aspetti ignorando quello che lei vede come il problema principale: «Tutti hanno visto come questo trapianto sia stato strombazzato ai quattro venti e le reazioni sono state di due tipi: l’attacco a Sergio Canavero, limitandosi a dire quanto si tratti di un personaggio per così dire stravagante, e l’insistenza su come si sia di fronte a roba da voltastomaco, di fronte alla quale basta voltarsi dall’altra parte per far finta che non esista più».

Per la professoressa il problema è invece la mancanza di trasparenza: «vorrei sapere se i partecipanti all’esperimento erano stati informati di quello che li aspettava, e cosa fosse stato promesso loro; i pro e i contro erano stati spiegati? E vorrei anche sapere che genere di dati verranno raccolti».

Quanto al trapianto in sé, più che di ‘trapianto di testa’ bisognerebbe parlare di trapianto di corpo, visto che si effettuerebbe nei casi in cui un corpo malato potesse essere sostituito con uno sano. E magari anche più giovane. Passando a Canavero, il chirurgo ha dichiarato di aver effettuato l’intervento due volte, il che implica l’utilizzo di quattro corpi.

L’uso che in Cina si fa dei cadaveri dei prigionieri politici è noto e ben documentato. E d’altronde per decenni il regime di Pechino ha ammesso apertamente di servirsi dei corpi dei condannati a morte senza aver ricevuto alcun consenso.

Nel 2006, inoltre, un’inchiesta indipendente ha portato alla luce un orribile traffico di prelievo forzato di organi su scala industriale, nell’ambito del quale migliaia e migliaia di prigionieri di coscienza vengono uccisi su commissione allo scopo di prelevarne gli organi, poi venduti sul mercato nero internazionale.

L’inchiesta, aggiornata nel 2016, dimostra che la maggior parte delle vittime sono persone che praticano la disciplina spirituale del Falun Gong (o Falun Dafa). Ma a essere uccisi in questo atroce racket sono anche minoranze come gli uiguri, i tibetani e i cristiani indipendenti dal regime comunista di Pechino.

Gli investigatori stimano che in Cina i trapianti di organi privi di una provenienza verificabile siano 1 milione e mezzo a partire dal 2000. Per questi trapianti esiste anche un listino prezzi (la cui fonte è ufficiale e citata nell’indagine): 60 mila dollari per un rene, 100 mila per un fegato, e fino a 150 mila per un polmone o un cuore. E secondo l’autore del documentario denuncia Human Harvest, Leon Lee, questo business vale circa 1 miliardo di dollari all’anno.

RICERCA CONTRO TUTTI

L’idea di un trapianto di testa è venuta in mente a Canavero nel 2015. Inizialmente l’idea era di un trapianto su una persona viva, ma poi il volontario aveva cambiato idea.

Poi, l’11 novembre 2017 a Vienna, il neurochirurgo ha ufficialmente annunciato di aver portato a termine l’intervento con successo utilizzando due cadaveri: «Dicevano tutti che era impossibile, ma l’intervento è riuscito». E «il prossimo passo è il trapianto di testa fra donatori cerebralmente morti». Fino ad arrivare all’«imminente» traguardo finale di trapianto di testa fra vivi.

Diversi esponenti della comunità medica sostengono l’anti-eticità della premessa di base di questo genere di trapianti.
Altri semplicemente non credono a Canavero e sostengono che sia impossibile. Come il dottor Dean Burnett, neuro-scienziato e docente di psichiatria presso il Centro di Istruzione medica dell’università di Cardiff: «Sostenere di essere in grado di staccare una testa da un corpo e metterla su quello di un altro, allo stato attuale della scienza non è possibile», sostiene il dottor Burnett in un’intervista rilasciata al National Post in cui poi ‘sfida’ il collega: «Mi farebbe davvero piacere sentire la sua spiegazione di come ha risolto le numerose difficoltà».

Il professor Jan Schnupp dell’Università di Oxford ha dichiarato al quotidiano britannico Sun che «Le probabilità che la persona che ha subito il trapianto di testa su di un altro corpo sia in grado di acquisire un qualunque controllo su quest’ultimo, o un qualche beneficio, sono risibili».

LE MACABRE PR DI PECHINO

Il fatto che non vi siano più notizie sulla ricerca non significa che gli esperimenti siano terminati o che il problema sia risolto. Le previsioni della professoressa Rommelfanger sono a dir poco macabre: «Penso che non sentiremo più parlare di questi esperimenti finché non avranno qualcosa di positivo da comunicare. E nel frattempo falliranno numerosi esperimenti». E nonostante le lacune e il potenziale da voltastomaco, per la Cina questo progetto sta funzionando come una raccapricciante attività di Pr che va a popolare il far west della sua ricerca scientifica, continua la Rommelfanger: «La Cina sta dicendo: “se volete fare esperimenti di manipolazione genetica o una qualche altra controversa ricerca ai limiti dell’etica, qui da noi siete i benvenuti”».

 

Articolo in inglese: ‘Head Transplant’ Research in China Raises Serious Concerns

Traduzione di Emiliano Serra

 
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