Lo strapotere di Erdogan e i danni alla democrazia turca

Dopo l’irruzione ordinata dal presidente turco Erdogan negli uffici del gruppo Koza alcuni mesi fa, la polizia turca si è ripetuta all’inizio di marzo nella sede di Feza Publications (che possiede due stazioni televisive e due quotidiani, tra cui Zaman), senza alcun preavviso. Chiudere agenzie stampa e soffocare la libertà di parola è una delle azioni più dannose per qualunque democrazia.

Misure così estreme sono a dir poco scandalose, se si pensa che sono scaturite da accuse inventate che vedevano questi mezzi di comunicazione come promotori del terrorismo e di attività sovversive contro lo Stato; inoltre mostrano – nonostante la spavalderia – la paura del regime alle critiche dell’opinione pubblica. Il presidente Erdogan, tuttavia, sembra del tutto sprezzante nei confronti di eventuali ripercussioni, soprattutto se si considera che il suo provvedimento è stato incoraggiato dall’impunità per la sua furia passata contro la stampa e per l’incarcerazione di decine di giornalisti con false accuse.

Sebbene Erdogan sappia bene che la Turchia è ben lungi dall’essere uno Stato democratico, continua a promuovere l’idea assurda secondo cui la Turchia sarebbe una vera democrazia; ha infatti dichiarato, con il suo solito fervore contorto, che in «nessuna parte del mondo la stampa è più libera di quanto non sia in Turchia».
In realtà, l’Indice di libertà di Stampa stilato da Reporter senza Frontiere vede la Turchia al 149esimo posto su 180 Paesi classificati nel 2015: una posizione sotto il Messico, dove i giornalisti vengono regolarmente assassinati, e una sopra la Repubblica Democratica del Congo, uno Stato in condizioni disastrose.

Forse al leader turco deve essere ricordato quello che costituisce veramente una democrazia: la libertà d’espressione rappresenta uno dei quattro pilastri fondamentali di qualsiasi forma democratica di governo, che include anche l’elezione di un governo rappresentativo, l’uguaglianza di fronte alla legge e la rigorosa osservanza dei diritti umani.
Purtroppo, il presidente Turco non si è limitato a reprimere la libertà d’espressione in tutte le forme: piuttosto, ne ha regolarmente scheggiato altri pilastri, nell’intento di disfare quello che rimane della democrazia turca.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo garantisce «il diritto alla libertà d’opinione e d’espressione», ma come metteva in guardia già Benjamin Franklin: «chiunque voglia soverchiare la libertà di una Nazione deve iniziare sottomettendo la libertà di parola».

Erdogan è stato molto apprezzato per le sue impressionanti riforme socio-politiche e il significativo sviluppo economico, che ha reso la Turchia la 17esima economia al mondo, durante il suo primo mandato e gran parte del secondo. Avrebbe potuto realizzare gran parte delle sue ambizioni, trasformando la Turchia in una superpotenza regionale, riconosciuta perdipiù da una popolazione orgogliosa. Inoltre, sarebbe stato in grado di farlo senza distruggere i principi fondanti dello Stato turco – una democrazia laica, così com’era stata concepita dal suo fondatore Mustafa Kemal Atatürk. E infine avrebbe potuto offrire un vero e proprio modello di fiorente democrazia islamica, che il mondo arabo e musulmano avrebbero potuto emulare.
Purtroppo, Erdogan non tiene conto del fatto che il suo smantellamento sistematico delle istituzioni democratiche in Turchia produrrà l’esatto effetto contrario: il grande potenziale di questa nazione sarà stroncato e quello può offrire andrà sprecato.

Di volta in volta, Erdogan ha dimostrato la sua mancanza di tolleranza a punti di vista opposti e ha manifestato fastidio per la stampa, poiché era generalmente critica nei confronti della sua agenda islamica. Ha capito, come aveva giustamente affermato George Orwell, che «la libertà di stampa, se questo significa qualcosa, significa libertà di criticare e opporsi», una libertà che Erdogan è intenzionato a sopprimere.

Per questo motivo il leader turco ha usato le sue forti credenziali islamiche per proiettare se stesso come un leader pio, quando in realtà è costantemente impegnato in favoritismi […]. Con un parlamento che ratifica tutto, è stato in grado di far passare le leggi che ha voluto, con l’eccezione di un emendamento costituzionale che avrebbe concesso al Presidente poteri illimitati. Erdogan ha subordinato ai suoi capricci il sistema giudiziario e fondamentalmente è diventato un uomo forte con poteri dittatoriali. E per finire, ha eliminato controlli e contrappesi dell’apparato di governo.

A dire il vero, l’appetito di Erdogan aumenta con la sua potenza: il duro trattamento dei dissidenti, lo zelo religioso e la predisposizione narcisistica impauriscono gran parte della società turca e, nonostante tutto, viene ancora ammirato da alcuni. In sostanza, viene disprezzato quasi all’unanimità dalla comunità internazionale, ma si fanno accordi per necessità.
Per esempio, l’accordo che è stato raggiunto il 7 marzo tra la Turchia e l’Unione Europea sui rifugiati siriani e i richiedenti asilo, è un caso emblematico: la mossa di chiudere Zaman è stata fatto più o meno nello stesso tempo, sapendo che sia Usa che Ue non lo avrebbero condannato duramente per le sue azioni.

La domanda è se, essendo stato al potere da quasi 14 anni e avendo accumulato così tanto peso politico (con o senza modifiche costituzionali), Erdogan – in qualità di presidente – si prenderà il tempo necessario per considerare il futuro della Turchia, un Paese che ha tutti gli elementi e le risorse per diventare una potenza  grande e influente, soprattutto ora che il Medioriente è sconvolto da un disordine senza precedenti.

Dato che la Turchia è di fronte a un bivio storico, le scelte che Erdogan farà nei mesi e negli anni a venire avranno un effetto duraturo sul futuro della Turchia. Il leader turco farà un grave errore se continuerà a non considerare adeguatamente il popolo turco. I turchi sono infatti inventivi, laboriosi, colti, con una lunga storia di successi; sono filo-occidentali e favorevoli a una vita democratica. Ci sono dei limiti a quanto la popolazione turca può sopportare prima di ribellarsi, non solo al soffocamento della libertà di parola, ma anche allo stile draconiano di governo di Erdogan.

Il leader turco dovrebbe sapere che la Turchia, affinché trovi il suo posto tra le grandi potenze, deve ripristinare tutto quel che è stato perso negli ultimi anni, in particolare le sue fondamenta democratiche. Senza tali principi democratici, la Turchia si troverà ulteriormente estraniata dai Paesi occidentali – il blocco a cui la Turchia dovrebbe appartenere – e non sarà in grado di sfruttare il suo vero potenziale come potenza mediorientale ed europea.

Ironia della sorte, Erdogan sembra accarezzare l’illusione di presiedere al centesimo anniversario della Repubblica turca nel 2023 e di essere ricordato come il nuovo ‘padre turco’, facendo passare Atatürk in secondo piano. Il presidente vuole disperatamente di ripristinare alcune ‘glorie’ dell’Impero Ottomano, dimenticando, però, che tale impero crollò in parte sotto il suo stesso peso, e che nel XX secolo divenne facile preda per le forze alleate, a causa di leader corrotti e senza scrupoli.

Non riuscendo a fare la scelta giusta, Erdogan non sarà ricordato come il padre della nuova Nazione democratica e potente ma come un dittatore fallace e ambizioso, che ha sacrificato il futuro potenzialmente glorioso della Turchia al suo zelo religioso e alla sua ardente e inesauribile brama di potere.


Il dr. Alon Ben-Meir è professore di relazioni internazionali presso il Centro per gli Affari globali all’Università di New York, e insegna negoziazione internazionale e studi sul Medio Oriente. AlonBen-Meir.com

Le idee espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.


Articolo in inglese: ‘The Unraveling of Turkey’s Democracy

 
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