Elezioni Usa, nessuna prova di collusione con la Russia

Negli Stati Uniti sono in corso diverse indagini che investigano sulla possibile interferenza di un potere straniero nelle elezioni presidenziali del 2016: si è iniziato con le accuse di ingerenza russa, fino ad arrivare alle accuse all’amministrazione Obama di aver spiato le comunicazioni dello staff di Trump per ragioni politiche.

Susan Rice, ex consigliere della Sicurezza nazionale, nel rispondere a una domanda sul suo presunto tentativo di rendere pubblici i nomi dei collaboratori di Trump o del suo staff provvisorio, ha dichiarato alla Msnbc di non averlo fatto «per scopi politici». La Rice ha in seguito sostenuto che ogni rivelazione di nomi da lei disposta, era avvenuta per ragioni di sicurezza nazionale.
I membri della Camera e i comitati di intelligence del Senato, stanno ora invitando la Rice a testimoniare al fine di capire se le informazioni raccolte siano state utilizzate in modo improprio. E il senatore John Cornyn, membro del Comitato Ristretto del Senato Usa per l’Intelligence, ha scritto su Twitter che la Rice «deve testimoniare sotto giuramento».

Nel frattempo, il repubblicano Adam Schiff, del Comitato Ristretto Permanente della Camera per l’Intelligence, durante il programma televisivo della Cnn ‘State of the Union’, ha affermato che non ci sono ancora prove definitive riguardo a una collaborazione tra la Russia e la campagna Trump.

Le indagini sulla sospetta intromissione russa, erano scaturite dal sospetto dell’interferenza di un potere straniero nelle elezioni presidenziali Usa. Queste preoccupazioni sono sorte quando WikiLeaks ha pubblicato delle e-mail sospette, che sarebbero state sottratte ai collaboratori di Hilary Clinton da hacker russi. Da questo, tuttavia, nasce un’ulteriore implicazione, che si sta ora iniziando a considerare: l’idea che la campagna Trump possa essere stata aiutata da queste informazioni rilasciate da WikiLeaks.

James Clapper, ex direttore dell’Intelligence Nazionale, ha dichiarato ad Abc News, che nelle sue indagini riguardo a una possibile interferenza russa nelle elezioni condotte sotto l’amministrazione Obama, «non c’è alcuna prova, al momento, di alcuna collusione tra la campagna Trump e la Russia».

Former Deputy CIA Director Michael Morell arrives for testimony before the House Select Intelligence Committee in Washington on April 2, 2014. The committee heard testimony on the topic of
Michael Morell, ex direttore Cia, prima di testimoniare al Comitato Ristretto per l’Intelligence della Camera, il 2 aprile 2014 (Win McNamee/Getty Images)

Anche Michael Morell, a capo della Cia nell’amministrazione Obama, fa un passo indietro rispetto alla sua ferrea posizione iniziale secondo cui il team di Trump sarebbe sceso a patti segreti con la Russia e, in un evento del 16 marzo, secondo Nbc news, ha dichiarato: «sulla questione della cospirazione tra la campagna Trump e i Russi, è tutto fumo e niente arrosto». Non c’è un minimo di prova certa, ha continuato Morrell, facendo notare che c’è anche un gran numero di persone che sta indagando sulla faccenda.

I membri del Comitato del Senato per l’Intelligence, che stanno attualmente indagando sull’eventuale ingerenza russa nelle elezioni, stanno ora iniziando a calmare gli animi. BuzzFeed News riporta di aver parlato con più di sei persone coinvolte nelle indagini, sia repubblicani che democratici, notando che «c’è una frustrazione tangibile in conseguenza alle aspettative generate dalle indagini segrete; aspettative che secondo un funzionario sono state “gonfiate selvaggiamente”». Secondo un altro funzionario «le conclusioni non rispetteranno le aspettative della gente».

TROPPE EMOZIONI

Le elezioni 2016 sono state a dir poco dure per molti americani. Ma sono risultate difficili da digerire soprattutto per i democratici, ai quali è stato detto, fino all’Election Day, che Trump non avrebbe avuto alcuna chance contro la Clinton. Come se non bastasse, ancora una volta, è stato detto loro che un collegio elettorale avrebbe potuto capovolgere la sua decisione, ma ogni speranza è andata alla fine perduta.

Molte delle principali agenzie di stampa, nel frattempo, si accomodavano sull’idea che la presidenza Trump non fosse legittima, e l’indagine sulla Russia diventava il loro ultimo bastione contro Trump.
Questo ha portato i giornalisti a emettere sentenze a dismisura, col risultato di non inserire le informazioni nel loro giusto contesto. Allo stesso tempo, molte delle attuali controversie non sono basate su nuove prove, ma piuttosto su nuovi commenti in merito a sospetti ormai superati.

President Donald Trump speaks on the phone with Russian President Vladimir Putin in the Oval Office of the White House in Washington on, Jan. 28, 2017. Also pictured, from left, White House Chief of Staff Reince Priebus, Vice President Mike Pence, and White House Chief Strategist Steve Bannon. (Drew Angerer/Getty Images)
Il presidente Usa Donald Trump parla al telefono con il presidente russo Vladimir Putin a Washington, il 28 gennaio 2017. (Drew Angerer/Getty Images)

«C’è un’enorme disparità tra tutte le prove citate negli articoli e le accuse: stanno accusando senza alcuna prova», afferma William McGowan, autore dei libri Coloring the News e Gray Lady Down, nonché ex curatore al Washington Monthly e collaboratore del New York Times Magazine, del Washington Post, del Wall Street Journal e di altre agenzie di stampa americane.

McGowan sostiene che, pur non supportando lo stile antagonistico di Trump, considera la copertura dei media e i commenti su Trump «sorprendentemente di parte, e sono molto più abili nel generare paura e avversione, che nell’incoraggiare una comprensione del personaggio e del suo movimento».

Fa notare inoltre che i media, nella loro copertura sull’argomento, hanno acquisito l’abitudine di citare erroneamente le parole di Trump, e di usare queste errate citazioni per denunciarlo. McGowan ha fatto riferimento a un video come esempio, in cui, come ha testualmente riportato il New York Times, Trump avrebbe «invitato la Russia a trovare le e-mail perdute di Hilary Clinton».

Il video della conferenza stampa è stato ampiamente citato dai maggiori media come prova del fatto che Trump avesse legami con il rilascio, da parte di WikiLeaks, delle e-mail rubate alla campagna Clinton.

Ma se si prendono quelle affermazioni nel giusto contesto, si vedrà che la dichiarazione di Trump è molto differente dal modo in cui è stata riportata. Quando si è tenuta la conferenza stampa, il 27 luglio 2016, WikiLeaks aveva già iniziato a rilasciare le e-mail rubate, e gli organi di stampa stavano già cercando di accusare Trump del suo legame con quelle fughe di notizie. Trump ha condannato la Russia per le sue azioni, affermando: «La Russia non mostra rispetto per il nostro Paese», e ha aggiunto che se un governo straniero si trovasse realmente dietro quella fuoriuscita di informazioni, sarebbe un «segnale di totale mancanza di rispetto vero il nostro Paese».

Ma i giornalisti hanno continuato a mettere Trump alle corde, sul tema WikiLeaks, e proseguito sulla loro linea accusatoria per il suo coinvolgimento, senza averne alcuna prova. Trump ha risposto: «Per quale motivo dovrei invischiarmi con Putin?», e ha quindi accusato i giornalisti di manipolazione della notizia, chiedendo loro perché non avessero usato lo stesso trattamento con la Clinton, accusandola di aver perso le sue e-mail. Ha quindi dichiarato: «Russia, se stai ascoltando, spero tu possa trovare 30 mila e-mail che sono andate perdute. Penso che probabilmente la nostra stampa vi ringrazierà con tutto il cuore».
Le agenzie stampa hanno a questo punto diffuso ampiamente le ultime parole della dichiarazione di Trump, accusandolo di aver chiesto alla Russia di hackerare la Clinton.

McGowan sostiene: «si sta parlando di un estratto di una dichiarazione, e i media lo hanno trasformato in qualcosa di molto diverso».

Secondo Ronald J. Rychlak, avvocato e critico devoto della Russia, le persone tendono a trarre conclusioni sbagliate quando approcciano una questione partendo da un’esistente assunzione. Rychalk è coautore del libro ‘Disinformation’ assieme a Ion Mihai Pacepa, il più alto funzionario dell’intelligence del blocco sovietico che abbia mai disertato in favore dell’occidente.

Nei casi legali, afferma Rychlak, si fanno controlli e contrappesi sugli oneri della prova e sull’esame incrociato. Con le accuse diffuse dalle notizie, «i giornalisti arrivano a imporre i loro propri standard».

«Alcune prove sono inconcludenti», aggiunge, facendo notare che se si approccia un’indagine dando già per scontato che una parte sia colpevole, allora «la tua assunzione iniziale determinerà il risultato della tua indagine».

 

CARTER PAGE

Carter Page

Esistono almeno tre indagini condotte dall’Fbi sulla presunta connessione Trump-Russia.

In aggiunta, il Congresso Usa ha cinque comitati permanenti e un sottocomitato che stanno indagando sull’interferenza russa nelle elezioni, così come sui contatti tra il team di Trump e i funzionari russi.

Il repubblicano Schiff ha affermato il 20 marzo, durante una testimonianza alla Comitato Ristretto per l’Intelligence della Camera, che almeno quattro persone coinvolte nella campagna Trump sono indagate: Carter Page, Michael Flynn, Paul Manafort e Roger Stone.

Page ha probabilmente avuto, nella campagna Trump, il ruolo di consigliere di politica estera, anche se i membri dello staff della campagna Trump negano questo aspetto. È stato accusato da Schiff di aver condotto affari in Russia, in particolare con le società petrolifere russe Gazprom e Rosneft. Come accade per la maggior parte delle principali società in Russia, l’industria petrolifera è ampiamente controllata dagli oligarchi russi, e gli amministratori delegati delle società hanno spesso relazioni con il governo russo.

Page, un consulente dell’industria petrolifera, è fondatore e partner di gestione della Global Energy Capital, un fondo di investimento di New York e una società di consulenza specializzata nelle industrie di petrolio e gas in Russia e nell’Asia centrale.

 

MICHAEL FLYNN

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Michael Flynn

Flynn è forse il personaggio più controverso delle indagini. Vorrebbe testimoniare ai comitati della Camera e del Senato per spiegare il suo caso, ma ha anche richiesto l’immunità.

Se la sua richiesta genera da una parte sospetti non buoni, suggerendo che ha infranto in qualche modo la legge, è al contempo legata probabilmente con questioni legali già note.

Flynn è un tenente generale in pensione dell’esercito americano, che ha servito come direttore della Defense Intelligence Agency sotto l’amministrazione Obama, dal 24 luglio 2012 al 7 agosto 2014. In seguito ha lavorato come consulente per la campagna Trump e ha iniziato a svolgere il compito di consulente per la sicurezza nazionale per la presidenza Trump, il 20 gennaio.

Ha tuttavia lavorato come consulente per 24 giorni, infatti il 13 febbraio è stato rimosso dal suo incarico. La sua versione è che avrebbe dato le dimissioni, ma Trump ha reso noto che è stato licenziato.

Flynn è stato accusato di aver mentito al vicepresidente Mike Pence, sostenendo di non avere discusso di sanzioni russe durante una conversazione telefonica avuta con l’ambasciatore russo Sergey Kislya prima che Trump entrasse in carica. È stato però rivelato, dalla trascrizione delle intercettazioni dell’amministrazione Obama, che Flynn aveva discusso di quelle sanzioni.

Nella sua lettera di dimissioni, Flynn si è scusato e ha sostenuto di non averlo fatto intenzionalmente. Ha aggiunto: «Nel corso delle mie mansioni come futuro consulente della sicurezza nazionale, ho avuto numerose telefonate con controparti straniere, ministri e ambasciatori». Ha quindi chiarito che le chiamate servivano ad assicurare una facile transizione alla presidenza Trump, e che «a causa del rapido ritmo degli eventi», ha involontariamente fornito a Pence delle «informazioni incomplete».

Schiff ha inoltre accusato Flynn di aver accettato 33.750 dollari dalla rete televisiva russa Rt  ?  che riceve parte dei suoi fondi dal governo russo — per un discorso che aveva tenuto a Mosca nel 2015. L’amministrazione Trump ha sostenuto che Flynn non ha mai dichiarato il denaro avuto da Rt.

A marzo, Flynn si è registrato come agente straniero del lobbying per la Turchia. La sua azienda, la Flynn Intel Group, è stata pagata 530 mila dollari dalla società olandese Inovo Bv, posseduta da Ekim Alptekin, un uomo d’affari turco vicino al presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Molto di tutto questo si sapeva già. Il giornale online The Intercept, ha riportato a novembre 2016 che la Flynn Intel Group si è registrata come entità di lobbying a settembre 2016, e dallo stesso mese, Robert Kelley, il consulente generale della società, risulta come lobbista per la Inovo Bv.

Flynn potrebbe ritrovarsi nei guai su entrambi i fronti, ma soprattutto perché non ha rivelato al Team Trump il pagamento ricevuto da Rt, e allo stesso modo, non si è registrato come agente straniero lobbista nell’affare con la Tuchia.

 

PAUL MANAFORT

Per quel che riguarda Manafort, sia lui che Stone hanno lavorato per la campagna Trump: Manafort ha lavorato come manager della campagna, e Stone come consigliere. Entrambi sono lobbisti professionisti per le aziende di Washington Black, Manafort e Stone and Kelly.

Nell’agosto del 2015, Trump ha licenziato Stone, mentre Manafort ha dato le sue dimissioni nell’agosto 2016. Anche Stone sostiene di essersi dimesso, ma per la campagna Trump si è trattato di licenziamento perché la campagna dei repubblicani, riporta Cnn, ha avuto «un tremendo successo e Roger ha voluto usare la campagna per farsi pubblicità».
Schiff ha accusato Manafort di essere stato a lungo «sul libro paga degli interessi ucraini filo-russi».

Secondo Associated Press, Manafort ha lavorato a fianco di un miliardario russo per «beneficiare al meglio il governo Putin», firmando un contratto di 10 milioni di dollari all’anno. Il miliardario in questione è Oleg Deripaska, presidente della Basic Element Co. Ma, considerando il contesto, si scopre che l’accordo tra Manafort e Deripaska, come riporta sempre Ap, è iniziato più di dieci anni fa nel 2006, e si è concluso al massimo nel 2009. Nel 2016, il rapporto tra i due si è inasprito e durante la campagna presidenziale 2016, «i rappresentanti di Deripaska hanno accusato apertamente Manafort di truffa», e hanno cercato di farsi restituire il denaro.
Manafort è inoltre accusato di aver lavorato con il governo russo attraverso l’Ucraina. L’accusa ha a che fare con la sua collaborazione con Viktor Yanukovych, l’ex presidente ucraino, che era pro-Russia.

L’azienda di lobbying di Manafort, la Prime Policy Group, ha tentato di influenzare il Congresso Usa per conto di governi stranieri. Nel 2010 si sono fuse la Timmons & Co. e la Bksh & Associates, e i loro membri, sia repubblicani che democratici, hanno molti legami politici. Charles Black Jr. ha svolto il compito di consigliere senior per Ronald Reagan nelle sue campagne presidenziali del 1980 e 1984, e più tardi ha svolto lo stesso lavoro per George Bush padre. Peter Kelly, anche nell’azienda, è stato consigliere di Al Gore e Bill Clinton.

 

ROGER STONE

Anche il caso di Stone è stato portato alla luce da Schiff il 20 marzo. Schiff sostiene che Stone abbia comunicato con Julian Assange, responsabile di WikiLeaks, che a sua volta avrebbe poi pubblicato le e-mail di John Podesta, il manager della campagna Clinton. Inoltre Stone avrebbe comunicato con l’hacker dietro l’attacco, Guccifer 2.0, che è stato accusato in modo inconcludente di lavorare per l’intelligence russa. Stone ha comunicato via Twitter con Guccifer 2.0, ma è stato quasi un anno dopo essere stato licenziato dalla campagna Trump e in un periodo in cui i leak erano già ben diffusi.

Nell’agosto 2016, Twitter ha ristabilito l’account di Guccifer 2.0 dopo averlo sospeso per aver diffuso le informazioni private dei democratici, quando lo scandalo delle e-mail perdute della Clinton era ancora un tema caldo. Il 27 marzo Stone ha dichiarato alla rivista Politico che il suo tweet aveva solo l’intento di mandare un «cinque virtuale e dire: “felice che il tuo account sia stato ristabilito”, perché sono contro la censura».

Stone ha parlato della sua conversazione su Twitter con Guccifer 2.0 il 10 marzo, mostrando di aver mandato tre brevi messaggi. I primi due sono stati inviati in agosto del 2016, e in questi ha espresso il suo apprezzamento per l’account ristabilito e ha poi chiesto a Guccifer 2.0 di fare un retweet di un articolo sul come le elezioni potevano essere rigirate contro Trump. Il suo terzo messaggio, inviato a settembre del 2016, era per rispondere a un tweet privato di Guccifer, al quale Stone ha risposto: «piuttosto normale».

Stone ha sostenuto di aver comunicato con Assange l’8 agosto 2016, sempre quasi un anno dopo aver lasciato la campagna Trump. Secondo FactCheck.org, «Stone ha in seguito chiarito di non aver mai parlato direttamente con Assange, ma che piuttosto i due hanno un amico giornalista in comune», e che il giornalista ha riferito a Stone che Assange avrebbe pubblicato le e-mail della Clinton a ottobre.

Schiff ha anche aggiunto che Stone aveva predetto che il responsabile della campagna Clinton, John Podesta, sarebbe caduto vittima di un cyberattacco e che le sue e-mail sarebbero divenute pubbliche. La dichiarazione di Schiff si riferisce a un tweet di Stone, pubblicato il 21 agosto in cui dice: «Fidatevi di me, tra poco arriverà per Podesta il suo turno al rodeo»; tweet inviato dopo che WikiLeaks aveva già iniziato a pubblicare i documenti sulla campagna Clinton, quasi un anno dopo essere stato licenziato da Trump.

In seguito Stone ha chiarito il suo tweet in un’intervista a Breibart News, asserendo che era in risposta agli attacchi politici rivolti all’accordo d’affari tra Manafort e l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych. Ha poi sostenuto che il tweet si riferiva al fatto che l’accordo d’affari tra Podesta e la Russia sarebbe stato esposto presto. Questo si collega a delle informazioni trapelate sul Panama Papaers, che hanno messo a nudo, secondo il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, «l’industria corrotta» che nasconde il denaro per politici e criminali.

LA CAMPAGNA CLINTON

Il riferimento di Stone a Podesta è stato sottolineato anche da Trump, che ha parlato di altre connessioni tra la Russia e il team della Clinton. Il 27 marzo Trump ha infatti twittato: «Perché il Comitato della Camera per l’Intelligence non sta indagando sull’accordo di Bill e Hillary, che ha permesso di spostare in Russia grandi quantità di uranio, sui discorsi russi […] sul denaro a Bill, sulla ‘risistemazione’ russa di Hillary, sulle lodi che Hillary rivolge alla Russia, sulla società russa di Podesta».

Secondo l’Observer, Panama Papers ha mostrato come il Podesta Group, co-fondato da Podesta e dai suoi fratelli e il cui presidente è Tony Podesta, abbia tentato di influenzare Washington per conto della più grande banca russa, la Sberbank. Tony Podesta figura tra i lobbisti per la Sberbank ed è stato uno dei più importanti sostenitori e collaboratori per la campagna presidenziale della Clinton.

L’Observer riporta che Tony Podesta ha lavorato per la Sberbank al fine di «aiutare ad alleviare un po’ del dolore causato alla Russia dalle sanzioni imposte in seguito all’aggressione del Cremlino ai danni dell’Ucraina, che ha causato reale disagio al settore finanziario del Paese».
Fox News riporta poi che nel 2011, Podesta si è unito al consiglio della società di energia Joule Energy, che ha sede nel Massachusetts; due mesi dopo, una società russa ha investito quasi 35 milioni in quella società. La società russa è la Rusnano, una società per azioni del governo russo.
Podesta sostiene di aver alienato le sue 75 mila quote azionarie nella società e di averle trasferite nel mese di gennaio 2014, prima di diventare consigliere di Obama nello stesso mese.

In un altro caso, – in base alla documentazione finanziaria fornita da Hillary Clinton – Bill Clinton avrebbe ricevuto 500 mila dollari da una banca di investimenti russa, la Renaissance Capital (di proprietà del miliardario russo Mikhail Prokhorov), per un suo discorso tenuto nel 2010.

Former Democratic presidential nominee Hillary Clinton shakes hands with President Barack Obama as former president Bill Clinton looks on at the West Front of the U.S. Capitol on Jan. 20. (Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)

Secondo PolitiFact, alcuni critici dei Clinton suggeriscono che le eloquenti cifre «potrebbero essere state un tentativo da parte di Renaissance Capital di ingraziarsi il Dipartimento di Stato», dal momento che Renaissance Capital è stata coinvolta in un affare per ottenere la Uranium One, una società mineraria internazionale con sede in Canada, ma che opera negli Stati Uniti, che ha fornito circa l’11 per cento dell’uranio degli Stati Uniti nel 2014.

In concomitanza con il discorso di Bill Clinton, il Dipartimento di Stato Hillary, con Hillary Clinton come segretario di Stato, ha dovuto firmare una dichiarazione della Renaissance Capital per acquisire una partecipazione di controllo nella Uranium One. Il New York Times ha riportato nel mese di aprile del 2015, che dal momento che le dichiarazioni erano state approvate dal 2009 al 2013, in quel periodo «un flusso di denaro è andato alla Fondazione Clinton», per un totale di 2,35 milioni di dollari.

INCHIESTE FALSIFICATE

Durante la transizione presidenziale, a dicembre 2016, il presidente uscente Barack Obama ha ordinato un’indagine che considerasse la possibilità di un aiuto da parte della Russia al presidente Trump durante le elezioni. Questo ha prodotto due inchieste, pubblicate prima che Trump prestasse giuramento il 20 gennaio.

La prima inchiesta, del 29 dicembre 2016, condotta dall’Fbi e dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale (Dhs), inizia con una dichiarazione di non responsabilità: «non si fornisce alcuna garanzia di nessun genere per quel che riguarda le informazioni contenute in questo documento».
L’inchiesta dedica meno di tre pagine alle accuse secondo le quali due gruppi di hacker si sarebbero intromessi nelle reti del Comitato Nazionale Democratico (Dnc), e cambia subito argomento iniziando a spiegare tramite contenuti grafici come funzionano i più comuni cyber attacchi. Mostra quindi una lista di nickname attribuiti ai presunti gruppi di hacker russi dalla community di cyber sicurezza, e infine dedica le pagine rimanenti a dei consigli sul come le società possano difendersi dai cyber attacchi.

Le tredici pagine dell’inchiesta ipotizzano che Guccifer 2.0 siano in realtà due gruppi hacker, e che almeno uno di questi abbia violato «un partito politico». L’inchiesta tuttavia non propone nessuna prova definitiva che supporti questa idea. È inoltre venuto fuori che la maggior parte del lavoro nell’inchiesta Fbi, proveniva da indagini sulla cyber sicurezza condotte dall’azienda CrowdStrike, che di recente ha revisionato e ritrattato alcune delle sue precedenti conclusioni secondo le quali la Russia si trovava dietro i cyber attacchi.

Parte di questa idea, della Russia dietro i cyber attacchi, proveniva da delle dichiarazioni della CrowdStrike, che avrebbe trovato delle prove della presenza del governo russo dietro l’attacco hacker a un’app di artiglieria ucraina, in conseguenza del quale si erano disinnescati gli obici dell’Ucraina durante la guerra contro i separatisti pro-Russia. Tutto questo, tuttavia, si è rivelato essere falso. Il Ministro della Difesa Ucraino ha dichiarato che l’attacco hacker non è mai avvenuto, secondo quanto scrive Voice of America, e l’Istituto per gli Studi Strategici Internazionali ha disconosciuto l’indagine di CrowdStrike, facendo notare di non essere stato mai contattato dall’azienda, contrariamente a quanto l’azienda sostiene.

CrowdStrike era stata assunta dal Dnc per cercare di capire chi avesse violato i loro account. Dopo un giorno di analisi, ha concluso che gli attacchi provenivano da ‘Fancy Bear’ e ‘Cozy Bear’, nickname che i ricercatori della sicurezza informatica hanno assegnato ai presunti gruppi di hacker russi.

Il problema delle ricerche della CrowdStrike è che erano basate esclusivamente sugli strumenti utilizzati dagli hacker, sulle caratteristiche degli obiettivi, e informazioni simili.

Guccifer 2.0, l’hacker dietro alla pubblicazione delle e-mail, ha rilasciato una dichiarazione il 12 gennaio, affermando che le accuse a lui rivolte (di essere legato all’intelligence russa) sono «infondate», e ha osservato che «qualsiasi professionista dell’It può rendersi conto che un campione del malware menzionato nel Joint Analysis Report, era stato preso dal web ed era pubblicamente disponibile. Moltissimi hacker lo utilizzano».
«È palese come le agenzie di intelligence stiano deliberatamente falsificando le prove».

Molti esperti di sicurezza informatica hanno fatto riferimento a problemi simili, notando come nessuna delle informazioni contenute nelle indagini sia decisiva, dal momento che qualsiasi hacker può falsificare e imitare tali attacchi semplicemente utilizzando gli stessi strumenti e metodi di un gruppo hacker noto.

Un resoconto dell’Istituto per la Tecnologia delle infrastrutture critiche (Icit) afferma: «qualsiasi persona maliziosa può facilmente far attribuire le sue violazioni alla Russia», e che persino gli hacker con le competenze più basilari possono farlo. E aggiunge: «Sarebbe troppo facile, sulla base del malware utilizzato, dichiarare senza alcun fondamento che tutti gli attacchi sono stati lanciati dalla Russia».

Per rendere le cose ancora più complicate, il metodo che CrowdStrike ha utilizzato per identificare i presunti hacker russi guarda alle stesse informazioni che la Cia potrebbe presumibilmente imitare. Sotto il gruppo Umbrage della Cia, rivelato da WikiLeaks il 7 marzo, la Cia custodisce una biblioteca digitale degli attacchi e delle tecniche utilizzate dai vari gruppi hacker, in modo da poter riutilizzare questi metodi per lanciare attacchi mentre allo stesso tempo prende di mira i più noti gruppi hacker.

WikiLeaks ha osservato in un comunicato stampa che i file di Umbrage della Cia contengono i profili degli attacchi di gruppi di hacker russi, che potrebbero essere utilizzati per rilasciare «impronte digitali» falsificate, per gli investigatori informatici.

NESSUNA PROVA DI COLLUSIONE

L’altra inchiesta è stata rilasciata il 6 gennaio tramite l’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale (Odni), che ha raccolto le analisi della Cia, dell’Fbi e dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale (Nsa).
Questa afferma che «il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato nel 2016 una campagna di influenza mirata alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti». Le parole chiave qui sono ‘campagna di influenza’.
Le prove presentate dall’inchiesta di 25 pagine, sono composte quasi interamente da articoli di notizie dall’agenzia di stampa russa Rt. Si afferma che il governo russo abbia favorito la vittoria di Trump, e la stessa Rt ha riferito favorevolmente nei confronti di Trump e negativamente sulla Clinton.

L’indagine sostiene che gli articoli di notizie di Rt siano stati riproposti dalle agenzie di stampa degli Stati Uniti e dalle reti dei social media, e questo ha fatto sì che un Paese straniero interferisse con le elezioni americane.

Naturalmente, simili analisi potrebbero essere applicate a qualsiasi funzionario straniero che sostiene apertamente o denuncia un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, e i cui commenti ricevono un’ampia copertura mediatica. La maggior parte dei leader stranieri, anche in Canada e in Europa, hanno preso una posizione opposta a quella della Russia e hanno apertamente sostenuto la Clinton e denigrato Trump.

L’indagine lancia inoltre aperte accuse sulla base di prove segrete che non sono state rese pubbliche. La natura delle informazioni classificate è stata successivamente resa nota da BuzzFeed il 10 gennaio, e viene mostrato che provengono da un dossier di 35 pagine raccolte da un ex agente del MI6 britannico, che ora gestisce un’agenzia di sicurezza privata.
Quando le «informazioni altamente classificate», come le ha definite l’indagine del Governo, sono state rese pubbliche da BuzzFeed, persino il caporedattore di BuzzFeed, Ben Smith, ha scritto, «Non v’è motivo per non dubitare seriamente di queste accuse».

La storia è stata dipanata, come era stata rivelata da James Clapper, che ha condotto le indagini come direttore dell’Intelligence nazionale sotto l’amministrazione Obama, durante un servizio del 5 marzo della Nbc, intitolato ‘Meet the Press’. Clapper ha affermato: «Non abbiamo incluso alcuna prova nella nostra indagine (e dico, ‘nostra’, per riferirmi a Nsa, Fbi e Cia, oltre a me come direttore dell’Intelligence nazionale) che dimostri alcunché, nessun segnale di collusione tra i membri della campagna Trump e i Russi. Non abbiamo alcuna prova di questa collusione».

Articolo in inglese: Politics Russia Collusion Investigations Struggle to Find Evidence

Traduzione di Alessandro Starnoni

 

 
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