Regeni ucciso dai terroristi? Smentiti i 7 giorni di torture

Regeni non è stato torturato per 7 giorni. Così sostiene ora il medico Hesham Abdel Hamid, che accusa l’agenzia Reuters di aver dato una notizia «totalmente inventata e falsa».

La situazione è confusa. Reuters riportava che secondo fonti anonime, il dott. Hamid, capo dell’Autorità Egiziana della Medicina Forense, avrebbe spiegato agli inquirenti che Regeni è stato torturato regolarmente a intervalli.
Nell’articolo di Reuters si diceva che il medico, raggiunto al telefono, non aveva voluto lasciare dichiarazioni sull’argomento. Ora però il dottore smentisce la notizia. Perché, allora, non l’ha smentita subito, amesso che Reuters gli avesse dato adeguate spiegazioni al telefono? L’Egitto sembra inoltre smentire con regolarità qualsiasi affermazione, il che significa che o i media occidentali o le autorità egiziane non sono affidabili.

Nel frattempo l’Italia è finalmente venuta in possesso di alcuni documenti provenienti dalle indagini egiziane, tra cui verbali di interrogatori e tabulati telefonici. Per la Farnesina è un «primo passo utile», ma bisogna andare avanti nella collaborazione, dato che parte del materiale – come i video delle telecamere – non è stato consegnato.

Un altro sviluppo nella vicenda, è che l’Egitto ritiene ora la pista del terrorismo come quella più probabile. Gruppi come l’Isis, che l’Egitto combatte, potrebbero cercare di minare la credibilità del Paese e le sue relazioni con l’Occidente nell’ambito del contrasto al terrorismo. Rimane tutto da provare, però: per ora l’unica cosa quasi certa è che Regeni sia stato torturato da professionisti.

Quella del terrorismo non sarebbe comunque l’unica teoria ‘complottistica’ in circolazione: tra le altre quella che vede come aguzzini i membri dell’opposizione – in un complotto per far cadere la colpa sul Governo – o servizi deviati manipolati da agenti di Paesi europei.

Ma per capire cosa è successo a Regeni, un punto di partenza è conoscere la situazione egiziana: Epoch Times ha intervistato il professor Matteo Gerlini, ricercatore di Storia delle Relazioni Internazionali presso il centro interuniversitario ‘Machiavelli’ di Firenze.

Il governo attuale di Al Sisi, ricorda il professore, è subentrato a quello regolarmente eletto dei Fratelli Musulmani (sostenuto da Turchia e Qatar) con un «golpe benvoluto e sostenuto dall’Arabia Saudita». A seguito del golpe, però, il governo ha ricevuto mandato popolare tramite elezioni democratiche, sebbene l’affluenza sia stata «bassissima» perché Al Sisi «ha cominciato a instaurare una sorta di dittatura soft», in cui i diritti umani sono molto poco rispettati.

Per l’Occidente si pone un «dilemma morale», afferma Gerlini, perché l’Egitto svolge un ruolo importante nel combattere l’Isis e il terrorismo islamico: Al Sisi sarebbe quindi un «dittatore», ma utile per combattere un male peggiore. Rimane il fatto che è «scioccante» che si sia arrivati a uccidere un cittadino estero di un Paese alleato, cosa che normalmente anche i peggiori regimi sono restii a osare. Sempre, ovviamente, che le autorità egiziane c’entrino.

Per Gerlini le teorie più «complottiste» – come quella che vede membri dell’opposizione come carnefici – possono anche essere credibili, ma finché non ci sono prove, il sospettato principale dev’essere per forza il regime. Del resto i professionisti della tortura «stanno nel mukhabarat», il servizio segreto egiziano.

Gerlini non crede nemmeno che un incidente del genere possa minare le relazioni tra Italia e Egitto. Del resto, spiega, sono molti i cittadini Usa a morire nel mondo ogni anno, ma questo non sembra portare al deteriorarsi delle relazioni tra gli Usa e i Paesi in cui certi cittadini americani perdono la vita.

 
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