Perché il mondo intero ha tanta sete di dollari

Nelle strade delle più importanti città americane è sufficiente domandare a una qualunque persona quale sia un suo grosso problema e lui risponderà la mancanza di dollari. Ovviamente in questo caso si parla di un bisogno o del desiderio individuale di avere più soldi; ma anche i Paesi potenti e le istituzioni di tutto il mondo stanno riscontrando questo problema.

Si prenda ad esempio la Cina, la cui Banca centrale nel 2016 ha bruciato 330 miliardi di dollari delle sue riserve in valuta estera solo per soddisfare la domanda di aziende e consumatori: anche in questo caso si tratta di sofferenza per mancanza di dollari; oppure le banche e gli investitori, la cui carenza è così forte da aver fatto salire il dollaro del 10 per cento dal minimo di aprile 2016. L’euro è ora scambiato a livelli che non si vedevano dal 2003, con un valore quasi uguale al dollaro. E a ottobre anche l’Arabia Saudita, che necessita di valuta americana, ha preso in prestito 17,5 miliardi di dollari nei mercati obbligazionari internazionali per compensare una carenza di proventi in dollari derivanti dal petrolio.

Insomma, il mondo intero ha bisogno di dollari. Ma ci sono diversi motivi per cui differenti nazioni stanno investendo in asset statunitensi o prendendo in prestito valuta americana per soddisfare le loro esigenze di finanziamento: alcune nazioni ne possiedono troppi, e devono diminuirne la quantità per provocare effetti sul cambiamento della domanda e dell’offerta; altri Stati e banche li stanno raccogliendo per pagare gli interessi in dollari e rimborsare debiti verso l’estero.

RITORNI MIGLIORI

«L’aumento dei rendimenti del Tesoro [americano, ndt] rende il dollaro statunitense più attraente. Si tratta di un bond che ora ha un alto rendimento rispetto a una qualsiasi altra valuta principale», ha dichiarato a RealVisionTV Raoul Pal, direttore della società di ricerche GMI. I rendimenti sui dieci anni dei titoli di Stato Usa sono aumentati dall’1,2 al 2,55 per cento da luglio 2016, il punto più basso dell’anno.

Il rovescio della medaglia è che la Banca centrale europea e quella del Giappone hanno ridotto i tassi di interesse, perché hanno continuato ad acquistare titoli di Stato inondando i loro mercati interni con euro e yen. Anche le obbligazioni tedesche quinquennali hanno sperimentato una diminuzione dello 0,5 per cento del rendimento, mentre le obbligazioni giapponesi sono calate dello 0,18 per cento.

«I tassi del mercato monetario europeo sono negativi e cadono a picco. Nessuno vuole gli euro», ha dichiarato Jeffrey Snider, responsabile di ricerca sull’investimento globale presso l’Alhambra Investment Partners.

«Si tratta di una carenza di dollari o di un surplus di euro e yen? – si è domandato Sean Corrigan, analista di Hinde Capital – I cinesi si fanno la stessa domanda dall’inizio di quest’anno. La Banca popolare della Cina ha perso dollari, fatto che dovrebbe, di conseguenza, ridurre le riserve e schiacciare il sistema monetario. Dall’altra parte del bilancio, hanno destinato più yuan per l’uso nazionale interno».

«Non hanno consentito che la perdita del dollaro provocasse una stretta sulla massa monetaria, che hanno allentato eccessivamente. Queste banche centrali stanno fornendo denaro sufficiente per acquistare valuta estera. La gente sta cercando un punto d’uscita e gli unici beni ad alto rendimento di cui dispongono in una valuta principale si trovano negli Stati Uniti».

DENARO PRESTATO

Comunque, alcune banche estere sono alla ricerca di dollari per diversi motivi. Devono vendere asset ad alto rendimento come obbligazioni e oro per soddisfare le richieste di margine e pagare gli interessi sul loro debito in dollari. «Sono tutti dollari presi a prestito – ha detto Raoul Pal a RealVisionTV – E questo mercato offshore del dollaro sta essenzialmente prendendo a prestito dollari dal sistema bancario europeo, da quello giapponese e da qualsiasi altra parte al di fuori del sistema bancario statunitense. Ed è lì che non ci sono abbastanza dollari».

«Se sei un gestore di portafoglio e ricevi una chiamata a margine perché la liquidità è scarsa, devi vendere quello che è volatile – spiega Snider – E questo si vede nei prezzi delle obbligazioni, che stanno cadendo a picco. È un chiaro momento di liquidazione».
Lo stesso vale per l’oro, che è crollato a 230 dollari l’oncia dai 1,143 di agosto 2016: «Quando l’oro viene colpito duramente e repentinamente, come nel 2013, è indicativo di un problema globale di dollari», ha precisato Snider, che poi spiega gli effetti della riduzione della leva finanziaria nel mercato del dollaro offoshore attraverso il cambiamento nelle strategie bancarie. Dopo la crisi finanziaria del 2008, infatti, le banche avevano ricalibrato la loro propensione al rischio e molte avevano chiuso le loro divisioni commerciali su redditi fissi e materie prime: per Snider, «le banche non sono in grado di fare quello che facevano prima». Se le banche allentano la propria posizione nel mercato del dollaro offshore, questo causerà una riduzione dei dollari disponibili in quel mercato. Si chiama riduzione della leva finanziaria.

Un altro problema ha a che fare con la crescita economica. «Sto usando dei numeri grezzi qui: abbiamo bisogno di 600 miliardi di dollari l’anno solo per effettuare pagamenti di interessi in dollari – ha spiegato a RealVisionTV Brent Johnson, amministratore delegato della società di gestione degli investimenti Santiago Capital – Ecco, questi sono 600 miliardi di domanda annua per i dollari».
Per raggiungere questo numero, Johnson ha aggiunto i debiti in dollari nel sistema bancario statunitense da parte del suo governo e di soggetti esteri, immaginando che tutti paghino il tasso corrente dei bond a dieci anni. L’amministratore delegato ha poi spiegato che se la crescita del Pil è così bassa – ­ inferiore al tasso di interesse medio – questo causa la carenza di dollari che si vede attualmente. 

CARENZA REALE 

Questo problema deflazionistico si osserva soprattutto nei mercati emergenti: o svalutano la loro moneta, come l’Egitto, o alzano i tassi di interesse e vendono obbligazioni in dollari, come l’Arabia Saudita. Lo scopo è sempre quello di mantenere un tasso di cambio stabile con il dollaro e ottenere abbastanza dollari per pagare gli interessi sui debiti.

Il Riyal, la valuta di Arabia Saudita, è ancorata al dollaro a un tasso pari a 3,75. Tuttavia, per mantenere quel tasso di cambio e compensare il rischio aggiunto, il tasso che le banche saudite offrono sul mercato interbancario ha dovuto aumentare dall’uno per cento del 2015 al 2,4 per cento alla fine del 2016. 

Inoltre, la mancanza di entrate petrolifere ha provocato per l’Arabia la vendita di 17,5 miliardi di dollari di obbligazioni in dollari statunitensi. Questo è servito per finanziare la spesa pubblica, decretando il primo caso nella storia del Paese esportatore di petrolio. Per Corrigan, «se si osserva la massa monetaria dell’Arabia, appare evidente che stiano soffrendo di un serio stress deflazionistico interno».

Hong Kong, che mantiene il tasso di cambio a circa 7,75, ha avuto un enorme picco dei tassi interbancari, pari all’11,8 per cento per i cosiddetti ‘prestiti overnight’ del 14 dicembre. L’Egitto, d’altra parte, ha scelto la via più facile: il 3 novembre ha svalutato la propria moneta del 50 per cento rispetto al dollaro, perché nessuno stava scambiando dollari per una troppo costosa sterlina egiziana.

E LA FED?

Viene da chiedersi se il recente rialzo dei tassi della Fed sia responsabile della crisi del dollaro. Non proprio, secondo Corrigan: «La Fed sta seguendo il mercato, non lo sta guidando. Il resto del mondo ha una propensione piuttosto forte per gli asset in dollari». E Snider, dal canto suo, spiega che il rialzo dei tassi della Fed potrebbe aggiungere ulteriori pressioni, «ma è molto in linea con gli attuali tassi del mercato monetario, in particolare quelli asiatici», concludendo che «la Cina si affida completamente ai dollari offshore, e questo non ha nulla a che vedere con la politica monetaria».
Articolo in inglese: Two Reasons for One Strong Dollar

Traduzione: Massimiliano Russano

 
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