Olimpiadi e doping, non solo Russia

È sempre stato raro sentire fischi durante le olimpiadi: praticamente un evento mai verificatosi. Quest’anno però, gli atleti russi sono diventati ‘i cattivi’ dei giochi, dopo che il Comitato olimpico internazionale (Cio) ha permesso a gran parte del team di competere, nonostante la richiesta del Comitato mondiale anti-doping di squalificarli a seguito del più grande scandalo di doping di Stato mai visto.

A bordo piscina, la staffetta maschile 4×100 è stata pesantemente insultata mentre si preparava alla finale; mentre la nuotatrice Yulia Efimova è stata fischiata alla partenza della gara in stile rana contro la americana Lilly King: la Efimova era stata autorizzata a nuotare nonostante fosse reduce da una squalifica di 16 mesi per uso di steroidi (annullata) e da un test effettuato a inizio anno risultato positivo al mildronato (una sostanza vietata).

UN PROBLEMA DI VECCHIA DATA

L’insaziabile desiderio di essere il più veloce, il più forte e il migliore ha stimolato per secoli atleti e allenatori a cercare a qualsiasi costo strategie per guadagnare per avvantaggiarsi nelle competizioni. Analogamente, il mondo sportivo ha sempre lottato per la definizione di una linea fra accettabile e non accettabile, anche dopo l’inizio dell’era degli sport competitivi.

Nelle antiche Olimpiadi greche, si utilizzavano apertamente oppio e intrugli di erbe, nell’intento a battere gli avversari e vincere ghirlande di ulivo (e ingenti somme di denaro).
I risultati di una ricerca di Charles E. Yesalis e Michael S. Bahrke, coautori di Performing-Enhancing Substances in Sport and Exercise, sostengono che questa strategia era permessa, mentre atti come la corruzione di un avversario, violavano le regole e venivano puniti con severe sanzioni: l’atleta poteva essere bandito a vita dai giochi e il suo nome, il nome dei membri della sua famiglia, e il crimine commesso sarebbero stati incisi sul basamento della statua colossale di Zeus.

Dal 1896, anno di nascita delle moderne Olimpiadi, cocaina e eroina sono state largamente utilizzate fino al 1920, quando sono diventate farmaci solo su prescrizione.

Oggigiorno, ci sono il doping genetico, le ‘designer drugs’ e programmi di doping statali. Gli organismi istituiti per creare e rinforzare la normativa anti-doping, hanno creato regole sempre più stratificate e complicate, ma a volte sono queste stesse organizzazioni a commettere scorrettezze.

Alcuni critici ritengono che corti periodi di squalifica, perdita delle medaglie e cancellazione di contratti di sponsorizzazione siano sanzioni ancora troppo leggere per reprimere realmente il fenomeno del doping. Quindi, anche se fan e atleti puliti preferiscono Olimpiadi dove integrità e fair play prevalgono, di fatto il problema potrebbe essere troppo grande per essere risolto.

UN’ENORME PRESSIONE

Oggi, la pressione sugli atleti migliori è molto forte: un potente mix di pressioni da parte di allenatori, staff medici, tifosi, sponsor e governi. Allenatori, dottori e trainer sono a loro volta sotto stress, visto che la loro posizione spesso dipende dal conseguimento di una medaglia.

Secondo Michele Verroken, esperta di anti-doping britannica, vincere alle Olimpiadi significa così tanto che ci sarà sempre qualcuno imbroglierà: «Questo, succede in parte perché c’è la credenza che queste sostanze funzionino (e nella maggior parte dei casi è così), e in parte perché si crede che si possa cavarsela facilmente». E molti ci riescono.

La Verroken ha dichiarato che la probabilità che gli atleti vengano trovati positivi al doping è di circa il 2 per cento. Questa bassa probabilità è dovuta a molteplici fattori, fra cui l’incapacità dei test di rilevare certe droghe, la frequenza dei test, e vari altri metodi mascheramento dell’uso di sostanze dopanti.
Le rilevazioni sono diventate una sorta di gioco fra gatto e topo, dove le nuove droghe sfuggono dal rilevamento fino a che altri test non vengono sviluppati, dai quali poi si generano altri agenti mascheranti o nuove droghe. «Ho fiducia che ci siano degli atleti puliti. Questi sono però sotto grande pressione. Quello che più mi spaventa è che ci sono troppe trappole che potrebbero farli cadere senza che se ne rendano conto» commenta Michele Verroken.

LA NASCITA DELL’ANTI-DOPING

Nel 1928, la Federazione di Atletica Amatoriale Internazionale (Iaaf) è diventato il primo organismo sportivo internazionale a proibire il doping. Al tempo però, test e regolamenti sistematici non erano ancora stati sviluppati.
È stato solo nel 1967, dopo la morte del ciclista britannico Tom Simpson durante il Tour de France, che il Cio ha introdotto un regolamento anti-doping e ha istituito una Commissione medica per contrastare il problema. Simpson aveva assunto stricnina e brandy in dosi massicce, continuando a correre fino alla morte. Secondo ProCon.org, un sito web educativo, probabilmente Simpson aveva vissuto col motto ‘Se ce ne vogliono 10 per ucciderti, prendine 9 e vinci’.

Ai giochi di Città del Messico del 1968, il pentatleta svedese Hans-Gunnar Liljenwall fu il primo atleta a cui fu revocata una medaglia olimpica dopo esser risultato positivo a un eccesso di alcool. Liljenwall disse che aveva bevuto un bicchiere di birra per calmarsi prima della sezione di tiro. Ironicamente, 14 altri atleti risultarono positivi a tranquillanti non banditi, e non subirono nessuna penalizzazione.

L’Agenzia mondiale Anti-Doping (Ama) creata nel 1999, ha rilevato test sportivi dal Cio nel 2004. L’Agenzia dichiara illegali una sostanza o un metodo se questi mettono a rischio la salute, incrementano le prestazioni o violano lo spirito sportivo.
Ogni anno produce una lista aggiornata contenente centinaia di sostanze proibite. Più di 600 organizzazioni sportive sono iscritte al codice di condotta Ama, e si impegnano a rispettare le sue regole anti-doping. Alcune sostanze sono bandite solo durante le competizioni, mentre altre lo sono per tutto l’anno. E sport specifici bandiscono particolari sostanze; per esempio, i beta-bloccanti, che aiutano un atleta a rilassarsi, sono banditi solamente da sport come il tiro al piattello, il tiro con l’arco e il golf.

La caffeina era sulla lista fino a che non è stata rimossa nel 2003, ormai troppo tardi per l’atleta di judo mongolo Bakaava Buidaa, al quale fu revocata una medaglia olimpica d’argento nel 1972 per essere risultato positivo a questo onnipresente stimolante.

La ginnasta rumena Andreea Raducan è stata spogliata della sua medaglia d’oro ai giochi olimpici di Sidney 2000 dopo aver preso sotto banco un rimedio per il freddo fornitogli dal team di dottori. Questo conteneva pseudoefedrina, un decongestionante che agisce anche come stimolante.
La pseudoefedrina è stata rimossa dalla lista proibita nel 2003, ma l’appello sporto dalla Raducan l’anno scorso ha fallito nel tentativo di convincere il presidente del Cio Thomas Bach di restituirle la medaglia.

Ricky Berens, che vinse una dietro l’altra le medaglie d’oro nel nuoto a Pechino e Londra, simpatizzava con la Raducan, ma ritiene che la responsabilità rimanesse dell’atleta: «Devi essere a conoscenza di quello che immetti nel tuo corpo. Quando ero stanco, andavo nel corridoio della farmacia Cvs e vedevo se mi era permesso prendere tutti i prodotti che trovavo».

LA COMPETIZIONE NELL’ERA DELL’ANTI-DOPING

La violazione del regolamento anti-doping Ama include il risultare positivo a una sostanza proibita, rifiutarsi di presentare un campione o evadere un test, la corruzione, possedere o trafficare sostanze o metodi proibiti, e somministrare, assistere o nascondere l’uso di una sostanza o metodo, oltre che la violazione dei regolamenti locale.

Ogni trimestre, tutti gli atleti devono fornire informazioni sui propri spostamenti nei quattro mesi successivi e devono dedicare un’ora al giorno, quando sono disponibili, a un test anti-doping: un tester, può venire ogni giorno durante quell’ora a controllare. Ogni cambiamento della scheda degli atleti deve essere pubblicato online.

Berens ha dichiarato: «È uno strazio. Non c’è niente di divertente quando alle 6 del mattino del giorno in cui hai la mattinata libera, arriva la persona che fa i controlli anti doping a bussarti la porta, svegliandoti. Ma queste persone sono quelle che tutelano il nostro sport e i giochi olimpici». Barens ha dichiarato che i nuotatori sono soliti far coincidere l’ora dei test con il tempo di pratica «ma a volte la vita corre in fretta e ci si dimentica, e qualcuno appare alla piscina quando tu non sei lì». Tre test saltati in un anno equivalgono a un risultato positivo al test anti-doping.
Barens non ricorda quante volte ha effettuato i test durante le Olimpiadi, dato che nel villaggio olimpico, fra un evento e l’altro, vengono condotti dei test casuali: «A volte capita di farne uno dietro l’altro. Ne facciamo da tutte le angolazioni».

IL GRANDE IMBROGLIO

Il doping è diventato un’importante parte delle Olimpiadi: ormai si sta ad aspettare che qualche atleta non passi i test e venga rispedito a casa.

La confusione di quest’anno sul team russo non è stata risolta fino alla vigilia dei giochi. Un totale di 118 atleti, circa un terzo del team al completo, è stato bandito dalle competizioni: l’ultimo capitolo di un sistema di doping di Stato che è stato rivelato da un informatore.

Il New York Times, il 12 maggio ha riportato che il direttore del laboratorio russo di anti-doping Grigory Rodchenkov, ha ammesso di aver dato cocktail di droghe a dozzine di atleti russi durante le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014. I campioni delle urine degli atleti venivano furtivamente sostituiti con campioni puliti dagli impiegati e dagli agenti statali dell’anti-doping.

Il mese scorso l’Ama ha richiesto un’esclusione totale per il team russo, ma il Cio era riluttante, lasciando la decisione alle federazioni individuali dei singoli sport, i quali avrebbero poi avuto bisogno di essere giudicati dal Tribunale Arbitrale per lo Sport.

Solo la Iaaf e la International Weightlifting Federation (IWF) hanno deciso di bandire tutti gli atleti russi.

L’1 agosto il presidente del Cio ha dichiarato che bandire l’intero team russo da Rio sarebbe stata «un’opzione nucleare». La Verroken si è trovata in disaccordo con questa decisione: «Io credo che ci sia il bisogno di un’opzione nucleare». Anche Barens condivide: «Ecco dove guardare per capire l’esclusione dell’intero Paese: gli sforzi che la Russia ha messo in atto erano per avere la certezza che nessun campione fosse trovato o alterato. E, a un certo punto, qualcuno deve essere utilizzato come esempio per gli altri».

PERVASO DI LACUNE

Il professionista del doping Victor Conte ha fondato la società di integratori nutrizionali BALCO che ha creato gli steroidi modificati The Clear, conosciuti per essere stati utilizzati dai velocisti Marion Jones e Dwain Chambers e la star del baseball Barry Bonds.

La società di Conte ha fornito gli steroidi agli atleti migliori per anni, eppure nessuno di essi è risultato positivo ai test, queste sostanze erano infatti progettate per evitare il rilevamento. Nel 2003, la BALCO è stata indagata dopo la denuncia anonima di un allenatore di velocisti. Conte è stato incarcerato per quattro mesi.

Victor Conte ha dichiarato che il sistema anti-doping è pieno di falle e necessita urgentemente di cambiamenti. In un’intervista alla NBC a marzo, ha definito i giochi olimpici una frode: «Sono promossi come una competizione leale fra le nazioni del mondo.  Ma che cos’è leale quando i giochi permettono e promuovono l’uso di sostanze dopanti? Non voglio dire che tutti fanno uso di doping, perché non penso sia così, ma ritengo che la stragrande maggioranza degli atleti lo faccia».

Richard Pound, ex presidente dell’Ama e ex vice presidente del Cio, ritiene che le federazioni sportive debbano fare di più. Nel 2012 sul sito del IWF scrive: «I dopati sanno che verranno difficilmente presi e che, se succede, le sospensioni sono brevi. Quando vengono confrontate rispetto ai quattro o cinque anni di benefici che un’atleta può guadagnare da un programma di steroidi, queste sanzioni sono praticamente un invito a doparsi».

Il sollevamento pesi ha prosperato grazie al doping, tanto che sono state introdotte pene più severe per chi viola le regole. L’anno scorso, l’Iwf ha bandito gli atleti di sollevamento pesi bulgari dalle Olimpiadi del 2016 a causa di alcune infrazioni multiple, mentre alla Romania e all’Uzbekistan è stato tolto un posto ciascuno.

TROPPO GRANDE DA RIPARARE?

Data la complessità delle prove e la sfida di affrontare gli imbrogli statali, molti critici tendono a sostenere un estremo o un altro: repressione o liberalizzazione.

Un’esclusione a vita dalle olimpiadi per «gravi infrazioni di doping» sarebbe in linea con i valori olimpici di integrità e fair play,secondo la Verroken: «Finché non saremo disposti a considerare sanzioni molto più severe, ci saranno sempre ex dopati che ritornano turbando nuovamente il campo e aggiungendo ulteriori pressioni».

Due dei migliori quattro centometristi di quest’anno sono stati squalificati in passato per doping: l’americano Justin Gatlin (quattro anni) e il giamaicano Yohan Blake (tre mesi). Le sanzioni collettive come quelle che ha introdotto la federazione di sollevamento pesi dovrebbero essere adottate ampiamente, commenta la Verroken, perché queste «incominceranno a avere un impatto».

Julian Savulescu, direttore dell’Istituto per la Scienza e l’Etica a Oxford, la pensa in un altro modo e sostiene un approccio molto più radicale che include la legalizzazione di alcune prestazioni rafforzate dalle droghe. In un articolo del 2013 sul British Medical Journal ha infatti dichiarato: «La strategia della tolleranza zero verso il doping ha fallito». Savulescu ha scritto quest’articolo dopo che tre dei più forti velocisti del mondo sono risultati positivi al doping: l’americano Tyson Gay e i giamaicani Asafa Powell e Sherone Simpson. Parte dell’articolo argomenta le bugie della limitata efficacia dei test. Per esempio, sostiene che il test per una comune droga per resistenza e potenziamento ancora fornisca dei falsi negativi anche dopo essere utilizzato per 12 anni.
Tuttavia, ritiene che la legalizzazione dovrebbe limitare l’uso delle sostanze dopanti al livello attuale. Se una sostanza dovesse iniziare a dominare o corrompere uno sport, o dovesse rimuovere l’«essenziale contributo umano», questa dovrebbe essere bandita. Per esempio, le medicine che aiutano la riabilitazione da un infortunio non corrompono uno sport: «Noi dovremmo considerare ogni sostanza su basi individuali e stabilire la più applicabile, corretta e sicura in base ai limiti fisiologici».

Altri ritengono che la strategia della tolleranza zero dovrebbe restare perché la questione chiave è il fair play. I dottori Leon Creaney e Anna Vondy hanno infatti scritto un articolo sulla stessa edizione del giornale medico, sostenendo che legalizzare le droghe metterebbe solamente maggiori pressioni sugli atleti: «Gli atleti che volessero restare puliti verrebbero estromessi del tutto, e l’unica competizione ad avere importanza sarebbe quella di sviluppare la sostanza più potente, mentre gli atleti avversari aumenterebbero le dosi per vincere».

La Verroken conclude dicendo che fino a che le organizzazioni sportive non si sottopongono a una revisione, niente potrà cambiare: certi atleti si doperanno, altri Paesi imbroglieranno, il pubblico ne parlerà e lo show andrà avanti: «Quando ho parlato con Ben Johnson, Dwain Chambers e Tyler Hamilton, ho capito che l’unica cosa che non potranno mai sapere è quanto avrebbero potuto fare senza l’uso di sostanze dopanti. È stato come un furto, sotto molti punti di vista».

Articolo in inglese: Doping Casts Long Shadow Over Olympic

 
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