Diritto all’aborto? «Omicidio morale»

Un argomento controverso quello dell’aborto. In Italia e nel mondo c’è chi lo considera un diritto inderogabile per la donna e chi lo vede come un omicidio legalmente permesso.

Da quando la legge 194 è stata varata nel 78, per la donna è possibile ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza in una struttura pubblica, anche dopo i primi 90 giorni di gestazione. Questo in caso di pericolo per la salute psichica e fisica della donna o in caso di deformazioni del feto. Nei primi 90 giorni, invece, sono ammesse anche ragioni meno gravi di natura sociale, economica o relativi alla natura del concepimento.

Ultimamente il comitato No 194, fondato dall’avvocato Pietro Guerini, si è fatto promotore di un referendum abrogativo della legge, battendosi per mostrare come in Italia molte persone non siano d’accordo con essa.

Il 13 giugno verrà organizzato a Bologna un evento per sensibilizzare l’opinione pubblica. In vista dell’avvenimento, Epoch Times ha intervistato l’avv. Guerini per capirne di più.

Innanzitutto perché secondo lei l’aborto è sbagliato?

Perché si tratta in genere della soppressione di un essere umano ed è una pratica attraverso la quale si nega integralmente la vita di un essere umano. Si tratta di un diritto che coincide con un omicidio morale.

Che dire delle donne che rischiano di morire in caso di parto?

Prima che fosse entrata in vigore la legge 194 potevano liberamente abortire a seguito dell’applicazione dell’articolo 54 del codice penale sullo stato di necessità, e questo è un aspetto insuperabile anche perché c’è l’articolo 32 della Costituzione che le consente il diritto della salute.

La vita della donna è sacra, e se questa non corre il rischio di morire è sacra anche la vita nel bambino; perché la donna deve decidere se c’è in gioco la sua vita. Ma noi puntiamo proprio su questo: tornare alla disciplina che c’era prima che entrasse in vigore la legge 194, ed è la stessa disciplina che c’è in Irlanda attualmente. Bisogna fare di tutto per salvare il feto, purché non vada a discapito della vita della donna: quello è il limite inderogabile. Lo è giuridicamente, costituzionalmente e anche moralmente.

E quelle vittime di violenza?

Penso che non si possa aggiungere ad una violenza un’altra ancora più grave. È un principio che non regge. Si fa pagare con la sua vita ad una persona che non c’entra niente, per delle colpe vere o presunte. Per cui poi diventerebbe un pretesto personale dire semplicemente «ho subito un abuso» per poter abortire.

Qual è secondo lei l’opinione degli italiani a riguardo?

Secondo me il 20 per cento della popolazione è favorevole alla legalizzazione dell’aborto, consacrata dalla legge 194 in modo accanito, ideologico diciamo. Il 20 per cento è contrario e, sul 60 per cento degli italiani, secondo me, dall’esperienza che ho avuto in questi anni a capo del comitato No194 che ho fondato, si può lavorare bene, perché sono molto meno convinti e soprattutto non sanno cos’è la legge 194 e ragionano soprattutto per slogan – è una legge con cui si è sconfitta la piaga dell’aborto clandestino ecc. – non è che abbiano una posizione inderogabile. Ci si può lavorare anche perché oggi i partiti hanno un’incidenza sull’opinione delle persone molto ridotta, quindi c’è un ambiente più aperto di una volta.

Il motivo principale per cui si è favorevoli all’aborto è che il feto non viene considerato un essere umano?

Quella è una disquisizione tecnico-medica. Parlando di chi la pensa all’opposto da me: loro ritengono di poter fare quello che vogliono e che questa sia una libertà, difatti parlano dei diritti civili. Il punto è che non si pone al centro il bambino che è il soggetto più debole. Lo Stato dovrebbe difendere il soggetto più debole, non quello più forte, dato che il concepito è il più debole in assoluto nella società. Per cui lo Stato dovrebbe far finta che non esiste, cosa che di fatto fa. Questo anche perché i partiti ci tengono al consenso di chi vota, e dato che i concepiti non votano, allora è meglio curare gli interessi di comodo degli elettori, che non gli interessi elitari dei concepiti (che elettori non sono) e questo è un discorso molto concreto che sta un po’ alla base.

Quand’è che un essere umano ottiene i diritti per essere riconosciuto come tale?

Ci sono ad esempio i diritti successori, nella legge 462, tali per cui se il padre, che sia effettivamente sposato, muore entro i nove mesi dalla sua nascita, egli addirittura gli succede, però questa si subordina all’evento nascita. Perciò sono dei diritti compressi che diventano effettivi solo con la nascita. Viceversa nella Costituzione irlandese, nell’articolo 40 c’è un’equiparazione tra concepito e nato, ed è esattamente quello il principio di fondo, nel senso che noi abbiamo la nostra età, più i nove mesi di concepimento; perché nessuno nasce senza essere stato concepito. Se si interviene sul concepimento in modo letale, una persona muore, questo è un dato di fatto. Non è un grumo di cellule, è un essere umano che sta facendo i nove mesi che sono indispensabili per tutti.

Quindi un feto ha più diritti o meno diritti di un animale, in Italia?

Calcoli che per il maltrattamento di animali c’è un reato vero e proprio, si rischia il carcere… e per carità non contesto questo, però si vuole attribuire all’animale sempre più valore rispetto all’essere. Anche sul piano giuridico ha più diritti di un concepito – quest’ultimo ha praticamente dei diritti compressi fino alla nascita, la quale viene decisa da un essere umano, che quindi ha decisione di vita e di morte su di lui; per cui son dei diritti ipotetici.

Ragionando dall’ottica di molte religioni, l’aborto è considerato sbagliato perché è un normale omicidio. Ma al momento il pensiero ateo è molto diffuso. Per gli atei il feto potrebbe valere molto meno di un essere umano completo. Come vorrebbe approcciarsi a questo problema?

Una volta nell’81, in occasione del primo referendum, vi è stata la contrapposizione laica-cattolica, e nonostante la nostra militanza sia cattolica io credo che oggi non vi sia questa contrapposizione secca tra le due realtà. Perciò anche il non credente ragiona molto di più di una volta, nella quale vi era l’indottrinamento sia cattolico che partitico… per fare un esempio quello del vecchio Partito Comunista. Oggi invece, anche grazie a internet, c’è molta più libertà di pensiero, e si può quindi superare lo steccato cattolico-ateo. Per dire, dei 25 mila iscritti al nostro comitato la metà lo hanno fatto online, e tanti dicono «io sono ateo, ma avete ragione», quindi c’è una maggiore apertura.

Dato che in passato sono già state negate richieste simili, lei pensa che qualcosa possa cambiare?

Si può fare qualcosa solo a livello referendario attraverso il popolo, perché gli organi istituzionali sono chiusi su questa legge e anzi, la peggioreranno. Col tempo cercheranno di eliminare il diritto all’obiezione di coscienza, perché loro sicuramente vanno in quella direzione. Bisogna reagire quando si parla di difesa della vita.

Pensa che sia possibile ottenere l’ammissione del referendum da parte di questa Corte Costituzionale?

Bisogna formulare i requisiti referendari bene. Io spero di averli fatti bene. Tenendo presente l’orientamento della Corte Costituzionale ne abbiamo preparati più di uno, così che se uno viene negato abbiamo quello di riserva. Tenendo presente che il modello dei quesiti sarà quello dell’81, le ho rielaborate in un senso più radicale, nei limiti del possibile chiaramente.

Cosa comporta il gesto di fare un appello contro l’aborto come quello di sabato 13 giugno a Bologna?

Allora noi facciamo queste 9 ore regionali di preghiera davanti agli ospedali il primo sabato dei mesi dispari. In queste nove ore, dalle 9 alle 18, sensibilizziamo sul tema dell’aborto, commemoriamo le 6 milioni di persone soppresse secondo i dati ministeriali raccolti in questi 37 anni e poi proponiamo l’iniziativa referendaria per far sì che un giorno non ci sia più la legalizzazione dell’aborto volontario. Bologna sarà anche il luogo per la 9 ore nazionale di dicembre, dopo che il caso è diventato importante a livello nazionale, per cui coinvolgerà tutto il Paese e gli iscritti al comitato. È stata scelta in quanto zona facilmente raggiungibile, ideale dal punto di vista della viabilità, e poi perché è una citta culturalmente molto importante, che, tra l’altro, rientra in una regione che rispetto a Lombardia, Lazio o Campania, presenta meno iscritti al comitato. 

Intervista rivista per questioni di brevità e chiarezza.

Immagine concessa da Shutterstock.

 
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