Dal Tibet al Mar della Cina, la ‘guerra infinita’ di Pechino in Asia

La strategia militare cinese nel Mare della Cina potrebbe trascinare nel conflitto anche l’India. Ma il tentativo della Cina di accaparrarsi nuovi territori, potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol. I recenti riposizionamenti delle truppe cinesi oltre la Linea di Controllo, sul lato Pakistano del Kashmir, hanno infatti rappresentato un campanello d’allarme per l’India, che con il suo intervento in un eventuale conflitto, potrebbe modificare lo scacchiere geopolitico a danno degli interessi cinesi.

Strategicamente, il tempismo non avrebbe potuto essere peggiore. La leadership indiana, sta infatti valutando se unirsi alle rivendicazioni territoriali contro la Cina nel Mar Cinese Meridionale.

Secondo il Times of India, soldati dell’Esercito cinese hanno compiuto «frequenti incursioni in Ladakh», nelle alture Himalaiane, forse mirate all’installazione di postazioni militari lungo tutta la «Linea di Controllo».

Truppe cinesi stanno inoltre scavando un tunnel nell’area della Valle del Leepa – nei territori occupati del Pakistan – sotto l’autostrada Karakoram, una zona considerata dagli indiani occupata illegittimamente dai cinesi. Se il progetto del tunnel dovesse andare in porto, costituirebbe un corridoio economico tra Cina e Pakistan.

Gli sforzi cinesi stanno causando preoccupazione in India, tanto da spingerla a prendere in seria considerazione offerte di collaborazione di Giappone e Vietnam per contrastare l’egemonia cinese sul Mar Meridionale.

«Continueremo a cooperare con altri Paesi tra cui l’India per sfruttare le risorse all’interno della nostra Zee di 200 miglia nautiche»
Ton Sinh Thanh, ambasciatore del Vietnam in India

Il 24 febbraio scorso, il Vietnam ha invitato l’India a esplorare e sfruttare le risorse naturali all’interno della sua Zona Economica Esclusiva (Zee), nel Mar Cinese Meridionale, palesando così l’intenzione di contrastare gli sforzi della Cina nella stessa area. 

«Siamo determinati a difendere i nostri diritti e a mantenere regolari attività nelle nostre acque territoriali», ha dichiarato secondo The Economic Times Ton Sinh Thanh, l’Ambasciatore del Vietnam in India. «Di conseguenza, continueremo a cooperare con altri Paesi, tra cui l’India, per sfruttare le risorse all’interno della nostra Zee di 200 miglia nautiche».

Per chi ha seguito il conflitto, la richiesta del Vietnam all’India ha implicazioni più profonde.

Il regime cinese ha installato un impianto di trivellazione nella ZEE del Vietnam (120 miglia dalla costa) il 2 maggio 2014, facendo precipitare le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Pechino ha poi rimosso la piattaforma petrolifera nel luglio 2014, ma lo ha reso noto solo a gennaio 2016. La richiesta del Vietnam all’India è una chiara dichiarazione di alleanza per rispondere alla provocazione della Cina.

Il Vietnam non è l’unico Paese che chiede all’India un contribuito nel contrastare sia il regime cinese sia la sua dilagante prepotenza nel Mar Meridionale.

L’India, infatti, è attualmente impegnata con il Giappone per uno sforzo comune sulla regione, che indirettamente significa (e senza troppa delicatezza) anche contrastare gli sforzi della Cina.
Il Giappone e l’India stanno cercando di lavorare insieme sul miglioramento delle infrastrutture civili nelle isole Andaman e Nicobare, il che include la costruzione di una centrale elettrica diesel di 15 megawatt nella parte sud dell’isola di Andaman.

L’ingresso dell’India nel conflitto è probabilmente l’ultima cosa che i leader cinesi vorrebbero.

Come il New York Times ha riferito l’undici marzo, la collaborazione segnerebbe un cambiamento della politica in India «che in precedenza non ha accettato le offerte di investimenti stranieri nell’arcipelago».
La zona in questione, ha un’importanza strategica rilevante nella contenimento della Cina. L’India afferma che le isole a nord ovest dello Stretto di Malacca, offrono il controllo di un «cosiddetto punto di partenza, che rappresenta per i cinesi uno dei maggiori fattori di vulnerabilità marittima».

La Cina è dunque minacciata, non solo dall’alleanza delle nazioni limitrofe ma anche e soprattutto dall’India, considerata una superpotenza emergente, e dunque in grado di sfidare le ambizioni economiche cinesi nell’immediato futuro.

Ma i dissapori tra Cina e India hanno radici ben più profonde delle recenti dispute territoriali. Infatti, il conflitto tra i due Paesi è in corso da quando il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha preso il potere in Cina il 1 Ottobre 1949. La disputa territoriale India-Cina per la Linea McMahon ai confini del Tibet, dura infatti da quando il Pcc lo ha invaso nell’ottobre 1950 dichiarandone l’annessione l’anno successivo.
La situazione è andata complicandosi negli ultimi anni, e certi documenti sovietici declassificati trapelati recentemente, e pubblicati dalla Wilson Center, ne rivelano il perché.

Mao Zedong, infatti, fornì a suo tempo alcuni dettagli sui suoi progetti nel corso di una discussione con lo statista sovietico Anastas Mikoyan il 6 febbraio del 1949: «La questione del Tibet è molto complicata», affermava Mao già prima dell’invasione. Affermazione rilevatasi coerente con il documento sovietico, secondo cui «in sostanza, si tratta di una colonia britannica, solo formalmente nella mani della Cina».
Mao aveva anche dettagliato la sua strategia, affermando che alla solo fine della guerra civile voluta dal Pcc, e «solo quando i tibetani riterranno che non li minacciamo di aggressione e li trattiamo in modo equo», Pechino avrebbe risollevato il destino di questa regione.

I documenti declassificati hanno rivelato che i sovietici erano scontenti della frettolosa annessione cinese del Tibet, osservando che al Dalai Lama era stato permesso di fuggire ed evidenziando quanto l’aggressività dell’operazione avesse suscitato l’attenzione dell’India.

Il conflitto del Pcc con l’India, e le sue dispute con gli attivisti per un Tibet libero, sono tutt’oggi in corso. Un conflitto che si è inasprito con l’aumento della cooperazione militare della Cina col Pakistan.

La Cina, presumibilmente, sta anche progettando la costruzione di tre divisioni di sicurezza militare in Kashmir e nel Pakistan occupato, le quali, secondo il Times of India, assumeranno una nomenclatura locale, «in modo da non provocare le proteste dell’India». Il quotidiano rileva inoltre che le nuove divisioni militari cinesi constano di circa 30 mila soldati e che «saranno distribuite a ridosso e tutto intorno alle installazioni costruite dalle imprese cinesi».

Questo genere di problemi preoccupa i leader indiani, che evidentemente considerano questo genere di astuzie pericolose e potenzialmente foriere di un imprevisto risveglio del gigante addormentato.

 

 

 
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