Cuore e orgoglio Juve, ma la festa è del Bayern

È la partita della stagione, in palio un posto tra le otto squadre più forti d’Europa, e la possibilità di credere al sogno fino all’ultimo. L’adrenalina alle stelle, l’atmosfera spettacolare, la concentrazione al massimo, tanto che il gelo nordico quasi non lo senti più; da casa, sai che il Paese che rappresenti ti sta guardando, e fa il tifo per te.

Arriva finalmente il momento di scendere in campo, una delle squadre più forti d’Europa è schierata davanti a te, i numeri sono tutti dalla loro parte, ma la tua autostima è al massimo: dopo la rimonta dell’andata sai di potertela giocare alla pari, e per questo non hai più paura. Serve una vittoria, uno scarto di un misero gol, e pensi: “in fondo non è così difficile, la palla è rotonda e siamo undici contro undici”. E con questa convinzione tocchi il primo pallone, e poi è un susseguirsi di scambi e passaggi riusciti, tutto sembra così facile, ti accorgi che la convinzione mentale può fare realmente molto, e dopo soli 5 minuti la metti dentro. La qualificazione ora non sembra più così lontana, e ipoteticamente saresti già qualificata.

Il Bayern, che quella coppa l’ha già vinta cinque volte, che in quello stadio in quella competizione non perde da nove partite consecutive e che in totale ha segnato ben 21 reti, contro le tue modeste 8, sembra tutto d’un tratto confuso, spaesato, sembra accusare l’uragano Juventus. E tu, Vecchia Signora, ti senti ancora più sicura, convinta del tuo potenziale, della tua esperienza, della forza del tuo calcio, e azione dopo azione continui a scaraventare i tuoi venti a più di 300 chilometri orari. L’Allianz Arena è in piena tempesta. Senti di poter sradicare ogni loro certezza; la partita continua, e quella squadra che hai davanti non sembra più così insormontabile, non sembra più quell’invincibile macchina da gol di cui tutti parlano.

Sulle ali dell’entusiasmo allora, ti accorgi che stai realmente dominando il match, e sai che un gol di scarto è troppo poco per sentirsi sicuri, e allora senti di poter sferrare il colpo di grazia, e dopo poco più di 20 minuti lo fai realmente: Morata sembra una freccia, assieme a Cuadrado che lo segue, e la metti un’altra volta lì dentro. Sembra incredibile ma sei già sul 2 a 0. Cosa significa questo? Significa che hai l’80 per cento della qualificazione già in tasca, che un gol a loro non basta più, ma sai che è meglio non fare calcoli, è meglio continuare a sfruttare il momento favorevole. Il Bayern non sembra più il Bayern, e la faccia di Guardiola dopo il 2 a 0 è eloquente. E allora pensi: «Forse si sono realmente scoraggiati, forse, forse ce l’abbiamo realmente quasi fatta». Forse.

E poi arriva quella parata incredibile di Neur su Cuadrado sul finire del primo tempo, a evitare un 3 a 0 che avrebbe voluto dire qualificazione praticamente conquistata, al 99,9 per cento.

Ma nel secondo tempo il copione sembra ancora lo stesso, Bayern impaurito, sminuito e rimpicciolito, e tu Juventus, padrona del gioco come non mai. Finora tutto perfetto, una lezione di calcio per i tedeschi, che non riescono a uscire dalla loro metà campo, perché tu riesci egregiamente a coprire tutti gli spazi. Ma i venti di quell’uragano di inizio partita cominciano inevitabilmente a fermarsi intorno al 60esimo; forse le forze vengono meno, o forse il 2 a 0 dà troppa sicurezza, o forse tutte e due le cose; e in più il Bayern sa che un gol intorno al 70esimo riaprirebbe completamente i giochi, e quindi prova a uscire allo scoperto, proprio mentre la tempesta comincia a placarsi.

Il gigante comincia a risvegliarsi, e a ricordarsi chi è, ma tu Juventus, sai che serve un ultimo sforzo per poterlo contenere. Sai che subire gol proprio ora, riaccenderebbe le sue speranze e gli consentirebbe di ritrovare la sua forza; sai che finora hai speso tanto in termini di forze fisiche e psicologiche, e che sarebbe realmente dura gestire un 2 a 1 per 20 minuti fino alla fine del match. Un gol in questo momento della partita sarebbe la cosa peggiore, ma da un momento all’altro, ecco che al 73esimo arriva.

Allora cerchi di far finta che non è successo nulla, e raccogli tutto quel che ti è rimasto per difendere il risultato. Ma ecco che quelle convinzioni iniziali vengono meno, ecco che torna un po’ di lecita paura, ecco che oramai il gigante si è svegliato. Al 90esimo sei allo stremo delle forze, schiacciata nella tua area di rigore, e loro ancora ci credono. E alla fine, non si sa come, ottengono quello che volevano, e riescono a pareggiare. Questa volta il gelo tedesco lo senti, e anche tanto, ti crolla il mondo addosso e pensi come diamine sia potuto accadere.

Devi rimboccarti le maniche, perché ora ci sono tutti i tempi supplementari davanti, sai che è tutto da rifare, e ci provi. Ma ormai la psicologia si è invertita, è il gigante che soffia, e anche forte, e tu ti senti stanca, senti che le gambe non reggono più e tremano. E allora una dopo l’altra, arrivano le mazzate che non ti aspetti, prima il 3 a 2, poi il 4 a 2 finale. Quella che poteva essere una notte magica si trasforma in un incubo. Sai benissimo che sarebbe bastato un altro gol ai supplementari, anche sul 3 a 2 per i tedeschi, per passare. Ma proprio non è arrivato. Proprio non ce l’hai fatta, hai dato veramente tutto.

Per più di un tempo hai azzerato le differenze economiche, statistiche e ‘qualitative’ che ti separavano dal Bayern Monaco, ribaltando i pronostici e sfidando le aspettative sulla carta; avresti potuto compiere l’impresa sì, riempire le testate di tutti i giornali e sorprendere i grandi del calcio europeo e mondiale. Alla fine sei uscita. La rabbia, il rammarico e il dispiacere sono sicuramente tanti, ma quel che è certo è che sei uscita a testa alta. E che, da questo scontro, il calcio italiano ne ha sicuramente guadagnato.

 

 

 

 
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